Regioni: la manovra va cambiata
La redazione
Ieri durante la Conferenza delle Regioni, presieduta da Vasco Errani, sono state stilate le valutazioni in ordine alle principali criticità della manovra finanziaria 2011- 2013.
Le Regioni ribadiscono la disponibilità a concorrere al risanamento dei conti pubblici come finora sempre accaduto evidenziando che tale responsabilità deve essere collocata in un equilibrio dello sforzo fra i singoli comparti della Pubblica Amministrazione. Oggi così non è: per questo la manovra è irricevibile e le Regioni chiedono di cambiarla.
Le Regioni sottolineano che la manovra è stata costruita dal Governo senza condivisione né sulle misure né sull’entità del taglio, riproponendo una situazione di assenza di coinvolgimento diretto nella definizione della manovra pur dopo l’approvazione delle leggi di contabilità e finanza pubblica (L.196/2009) e di attuazione dell’art.119 della Cost. (L.42/2009) che hanno provveduto a declinare in legge un percorso preciso di condivisione con le Autonomie territoriali delle manovre di finanza pubblica.1 Sostanzialmente si riducono i margini della riforma del federalismo fiscale sia nel percorso istituzionale previsto sia nei fatti con tagli lineari senza nessun concetto di premialità per i comportamenti virtuosi. E questo è un problema gravissimo perché la Conferenza delle Regioni ritiene che occorre dare piena attuazione al Federalismo fiscale come previsto dalla legge 42 del 2009, in tutte le sue parti.
La manovra finanziaria è stata presentata con decreto legge senza l’approvazione della Decisione di finanza pubblica, né la condivisione con la Conferenza permanente per la finanza pubblica (Conferenza Unificata) delle linee guida per la ripartizione fra le amministrazioni degli obiettivi di bilancio: indebitamento netto, saldo di cassa, debito delle Pubbliche amministrazioni, entità del Patto di stabilità che è previsto essere diverso per ogni singolo ente in ragione della categoria di appartenenza (art.8 L.196/2009) e in coerenza con il contenuto del Patto di Convergenza (art.18 L.42/2009).
Nel merito la manovra preclude l’esercizio di molte delle funzioni di competenza regionaledi assoluta sensibilità sociale ed economica, nonché qualsiasi azione anticiclica e disviluppo del proprio territorio, inibendo tutte le politiche d’investimento.
A questi fini, la disposizione finanziaria varata dal Governo pone, innanzitutto, un grande interrogativo su una possibile ulteriore aggressione all’ammontare dei fondi FAS destinati alle Regioni.
L’art. 1, prevedendo il definanziamento delle autorizzazioni di spesa non impegnate per gli anni 2007-2009 e l’art. 2, provvedendo al taglio del 10% a decorrere dal 2011, non escludendo espressamente in entrambi i casi il FAS da tali misure, compromettono pesantemente l’intero impianto programmatorio previsto dal QSN 2007-2013 approvato con decisione della Commissione Europea.
Ciò avviene in una fase di preoccupante deterioramento nei rapporti tra il Governo e le Regioni sull’intera vicenda FAS. Si sottolinea infatti che solo 10 PAR hanno avuto la presa d’atto del CIPE, mentre ulteriori 10 attendono da quasi un anno di essere iscritti all’ordine del giorno dello stesso. Va detto che alla delibera CIPE non è seguito alcun trasferimento di risorse per le Regioni che ne avevano comunque maturato il diritto.
Le maggiori criticità rilevate possono essere così sintetizzate:
‐il mancato raggiungimento degli obiettivi della programmazione unitaria, in particolare del FESR, soprattutto per le Regioni del Mezzogiorno;
‐la mancata alimentazione della risorsa FAS a tutto il circuito di spesa della programmazione unitaria, rischia di compromettere seriamente il raggiungimento degli obiettivi di spesa del FESR con il pericolo del disimpegno automatico di rilevantissime risorse comunitarie;
‐il depotenziamento della utilizzazione in funzione anticiclica delle risorse FAS programmate, ragione per la quale il MISE aveva già effettuato di concerto con le Regioni una revisione in funzione anticrisi su tutti i PAR, seguendo le specifiche indicazioni del Governo.
A questo riguardo è importante sottolineare che proprio nella consapevolezza da parte delle Regioni dell’impatto sul ciclo economico degli investimenti previsti le Regioni si sono esposte con proprie anticipazioni per oltre 1,4 miliardi in termini di impegni vincolanti.
Inoltre la riduzione prevista in capo agli stanziamenti dei Ministeri comporta corrispondenti riduzioni di risorse su linee di intervento che interessano le Regioni. In particolare relativamente al settore trasporti si segnala, in aggiunta ai tagli di cui all’articolo 14:
‐la riduzione delle risorse per il diritto alla mobilità e per le infrastrutture pubbliche logistiche (rispettivamente 231 e 79 milioni a valere sugli stanziamenti del MEF) che colpisce pesantemente l’erogazione dei seguenti servizi ai cittadini: ferrovie regionali, investimenti materiale rotabile, contratto di servizio Trenitalia. E’ evidente come i tagli di cui sopra comporteranno riduzione dei servizi di trasporto, con ripercussioni sull’occupazione del settore e sui viaggiatori pendolari, nonché un forte rischio di aumento delle tariffe.
‐Il previsto azzeramento dei mutui contratti con la CDDPP si presenta come misura indiscriminata in quanto non tiene conto di impedimenti riconducibili a soggetti diversi dagli enti territoriali contraenti ed inoltre non distingue tra casi di inerzia assoluta e casi in cui i procedimenti sono stati comunque avviati. E’ necessario che a tal proposito i decreti di selezione dei mutui da revocare siano adottati di intesa con la Conferenza Unificata.
Più in generale, inoltre, alle Regioni è chiesto un risparmio nel 2011 di 4,5 mld su un totale di riduzioni previste dalla manovra di 10 mld, ciò equivale ad addossare il 40% della manovra alle Regioni. Per il 2012 il contributo a cui sono chiamate le Regioni è del 30% circa.
Nel biennio, quindi, i tagli per il solo patto di stabilità sono di 10 mld a fronte di una manovra pari a 12 mld per il 2011 e 24,9 per il 2012 previsti di riduzione della spesa pari al 35% circa della manovra. Considerando che le spese regionali sottoposte a patto di stabilità sono intorno ai 60 mld (al netto della spesa sanitaria già disciplinata dalle norme del Patto Salute) e che equivalgono a circa il 7% della spesa complessiva della PA circa 799 mld, il taglio prospettato è del tutto irragionevole.
Si ricorda, inoltre, che a legislazione vigente le Regioni sono chiamate a concorrere agli obiettivi di finanza pubblica per 4,06 mld
Si evidenzia di seguito il riepilogo dei tagli a carico delle Regioni (senza considerare gli interventi con impatto non quantificabile degli articoli relativi alla riduzione di spesa per i Ministeri – vedi nota allegata) e il sacrificio richiesto dal patto di stabilità che influisce per lo Stato a livello di fabbisogno e indebitamento netto e non di saldo netto da finanziare ma che per le Regioni nei fatti risulta come un ulteriore taglio.
Tale rappresentazione va integrata con le misure relative alle Regioni a Statuto speciale pari a 500 mln. di Euro per l’esercizio 2011 e 1 mld. di Euro a decorrere dall’esercizio 2012.
Le riduzioni di spesa previste dalla manovra sono a carico delle Regioni e della Sanità per circa il 55% nel 2011 e all’incirca del 42% e del 41% rispettivamente per il 2012 e 2013, ciò a fronte di un peso della spesa regionale di circa il 20% sul totale della spesa della PA che si riduce al solo 7% se consideriamo la spesa regionale al netto della spesa sanitaria.
Il taglio dei trasferimenti a qualunque titolo spettanti per 4 mld per il 2011 e 4,5 mld a decorrere dall’anno 2012 azzera praticamente tutti i “Bassanini” cancellando quasi tutti i trasferimenti per funzioni regionali.
La soppressione dei trasferimenti comporta l’impossibilità di esercitarle interrompendo pertanto le funzioni tra cui viabilità e trasporto pubblico locale, trasporto ferroviario, edilizia residenziale e opere pubbliche, incentivi alle imprese e mercato del lavoro, agricoltura e ambiente.
La prevista pesante riduzione dei trasferimenti finanziari necessari per finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite alle Regioni appare in sicuro contrasto con la Costituzione e contraddice i principi dell’art. 119 e il principio di sussidiarietà previsto dall’art. 118 Cost.
La riduzione colpisce i fondi destinati dallo Stato all’esercizio di funzioni amministrative trasferite alle Regioni in attuazione del processo di decentramento amministrativo realizzato prima della riforma del Titolo V e poi da questa riforma consolidato con le modifiche apportate, in particolare, agli articoli 117, 118 e 119 Cost.
Questo taglio disposto unilateralmente dallo Stato va per la prima volta ad intaccare pesantemente il principio della necessaria corrispondenza tra le funzioni conferite e le
risorse necessarie per il loro esercizio, già affermato dalle leggi che hanno disposto il conferimento di funzioni e, soprattutto, riconosciuto a livello Costituzionale dall’art. 119 , quarto comma “Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite”.
La Corte Costituzionale fin dalla Sentenza n. 37 del 2004 ha dato una lettura molto significativa dell’evidenziato passaggio recato dal quarto comma dell’art. 119 nel senso della doverosità della corrispondenza tra funzioni attribuite e risorse a disposizione.
Peraltro, sempre nella citata sentenza, la Corte ha affermato che, in attesa della definizione della complessa architettura richiesta dall’attuazione dell’art. 119 Cost., se non è ammissibile, in materia tributaria, una piena esplicazione di potestà regionali autonome in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento nazionale, vale ovviamente il limite (ndr, per lo Stato) discendente dal divieto di procedere in senso inverso a quanto oggi prescritto dall’art. 119 della Costituzione, e così di sopprimere semplicemente, senza sostituirli, gli spazi di autonomia già riconosciuti dalle leggi statali in vigore alle Regioni e agli enti locali, o di procedere a configurare un sistema finanziario complessivo che contraddica i principi del medesimo art. 119.
La norma è, inoltre, censurabile dal punto di vista del peso sulle spese delle Regioni a Statuto ordinario al netto della Sanità per circa il 15%, mentre il Patto di stabilità pesa per circa il 16% contro una percentuale di circa il 7% per le Regioni a Statuto Speciale e Province autonome.
Inoltre, in ordine all’accantonamento del 10% dei trasferimenti Bassanini, occorre considerare che la sua erogazione è vincolata al rispetto da parte delle singole Regioni delle norme introdotte dal D.L. 2/2010, che impongono alle Amministrazioni regionali di disporre una riduzione dei compensi spettanti ai Consiglieri regionali tale da renderli non superiori a quelli percepiti dai membri del Parlamento, e al rispetto delle misure di contenimento della spesa corrente prevista per le amministrazioni statali. A riguardo la Corte Costituzionale, con sentenza n. 417/2005, ha già giudicato incostituzionale un analogo intervento disposto dalla Legge n. 191/2004 chiarendo che non possono essere introdotti vincoli specifici alla spesa degli Enti Territoriali. L’entità della riduzione di alcune spese (rappresentanza, consulenza, comunicazioni istituzionali ecc. ecc.) sottintende una pregiudizievole negativa valutazione delle scelte amministrative e non una esigenza di natura finanziaria.
Addirittura la manovra prevede che i risparmi derivanti dall’eventuale riduzione dei trattamenti economici per Presidente, Giunta regionale e Consiglio regionale siano destinati allo Stato che li impiegherà per ridurre il debito pubblico. (art. 5, comma 1)
Le Regioni ritengono che le riduzioni di spesa prospettate siano inique rispetto agli altri comparti della PA, soprattutto alla luce dell’evoluzione della spesa pubblica dell’ultimo periodo.
Ad esempio il debito delle Regioni ha addirittura un trend di crescita negativo e costituisce solo il 2,8% del PIL, rispetto al totale del debito che rappresenta il 115,8% del PIL nel 2009.
A questo ha contribuito tra l’altro la modalità di governance dell’erogazione dei servizi a tutela della salute che presiede alla logica pattizia. Va ribadita pertanto la necessità della verifica della coerenza degli interventi anche normativi introdotti dal DL con i contenuti del Patto della Salute (vedi doc. sanità), a partire da:
– misure sulla spesa farmaceutica (600 mln per ciascun anno del triennio);
– mancata previsione di ulteriori manovre pari a di 834 mln per garantire l’integrale copertura del Patto;
– tagli sul personale sanitario (418 mln per il 2011; 1.132 a decorrere dal 2012, con conseguente riduzione del FSN);
– decadenza degli atti assunti entro determinati termini;
– garanzia delle maggiori risorse di parte corrente previste dal Patto della Salute per gli anni 2011-2012;
– garanzia delle risorse per investimenti per l’edilizia sanitaria;
– modifica della disciplina sanzionatoria e delle condizioni finanziarie nei piani rientro;
– fondi FAS a copertura del debito sanitario;
punti per i quali si determinano evidenti violazioni del Patto.
Relativamente al settore del sociale, l’innalzamento dal 74 all’85 della percentuale per l’ottenimento dei benefici collegati all’invalidità comporta l’esclusione di importanti patologie psichiatriche (sindromi depressive, schizofrenia, autismo, ecc), trisomia 21, demenze, sordomutismo perlinguale, cecità monoculare, persone trapiantate e altre tipologie legate alla perdita di autonomia per lesioni agli arti. Tali esclusioni, in particolare quelle relativa alla trisomia 21 (più nota come sindrome di DOWN), cecità, sordomutismo e autismo, colpiscono circa il 2/3 per mille dei minori fra 0 e 14 anni per una popolazione stimata di circa 17 mila potenziali beneficiari.
Una specifica considerazione va riservata al fatto che la manovra prospettata, incide sulla possibilità di attuare il Federalismo fiscale, in quanto le risorse che servono a finanziare competenze regionali, e sulle quali si sarebbe dovuto applicare la perequazione ovvero il riequilibrio finanziario per le Regioni con il maggior prelievo fiscale a fronte di minori trasferimenti dallo Stato, risultano sostanzialmente azzerate, vanificando il faticoso lavoro di avvio della riforma.
La precisazione inserita all’art.14, co. 2, che afferma che non si tiene conto dei tagli per l’attuazione del federalismo fiscale non ha copertura finanziaria, è quindi solo programmatica. Come è noto, uno dei principi fondamentali della legge 42/2009 è quello che il federalismo fiscale debba essere effettuato a costo zero per la finanza pubblica nel suo complesso. Sulla base di tale principio, non si potrà più aumentare nuovamente i trasferimenti statali da sopprimere e da sostituire con l’equivalente addizionale Irpef. Il taglio previsto dal comma 1, è strutturale e definitivo dal 2012 nell’ammontare di 4,5 mld.
Anche l’abrogazione del comma 302, dell’articolo 1, della legge 244/2007 che disponeva, a partire dal 2011, la fiscalizzazione delle risorse ex art. 9 del D.Lgs. 422/1997 in materia di trasporto ferroviario con compartecipazione al gettito dell’accisa sul gasolio, è chiaramente un passo indietro rispetto all’attuazione del federalismo fiscale. Per di più tali risorse rientrano fra i trasferimenti sottoposti a tagli quasi che senza le stesse il plafond della copertura fosse incapiente per i tagli.
La violazione dello spirito della legge sul federalismo fiscale è ancora più evidente e stride ancor di più quando la legge 42/2009 è richiamata nella manovra per attribuire in via anticipata, nel nome dell’attuazione del federalismo fiscale, risorse a enti territoriali in disavanzo finanziario: invece di essere la chiave per portare responsabilità e autonomia finanziaria si utilizzano i principi della legge per coprire i disavanzi.
Si segnalano anche le disposizioni che anticipano parti del contenuto del DDL 3118 sulle funzioni fondamentali, fondando la potestà legislativa statale sulla materia “coordinamento della finanza pubblica” (concorrente) e finalizzate anche al contenimento della spesa degli enti locali per l’esercizio delle funzioni fondamentali. Anche in questo caso l’anticipazione di parte di un disegno di legge con decreto legge determina l’assenza di confronto e di considerazione delle competenze regionali. La Carta delle Autonomie dovrebbe essere parte di una visione più generale dell’attuazione del federalismo fiscale, l’averne approvato alcune norme soltanto, spinge a pensare a una visione settoriale della riforma ma soprattutto viene a mancare il percorso di condivisione con gli altri protagonisti istituzionali. Al riguardo si rileva che le disposizioni contenute nel medesimo art. 14 non dettano principi generali ma intervengono in modo incisivo imponendo l’obbligo di esercizio associato delle funzioni fondamentali individuando, addirittura, come forma associata esclusivamente le convenzioni oppure le Unioni. Al comma 31 la previsione normativa che un DPCM, da adottarsi senza l’intesa con le Regioni, stabilisca i termini per il completamento dell’esercizio delle funzioni fondamentali in forma associata, appare in violazione del dettato costituzionale laddove la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte ha ribadito che gli atti regolamentari finalizzati al risparmio di spesa devono essere adottati d’intesa con le Regioni qualora incidano su materia di competenza residuale regionale ai sensi dell’art. 117 Costituzione.
Le Regioni, in conclusione, comprendono la necessità di una manovra tempestiva rispetto alla situazione economica attuale per dare risposta concreta ai mercati e all’Unione Europea sulle misure adottate dall’Italia. Ritengono d’altro canto che il taglio indiscriminato sulle spese regionali non sia congruo nell’equilibrio del concorso dei singoli livelli istituzionali alla manovra, per di più i tagli indiscriminati difficilmente sono applicabili e probabilmente non daranno i previsti frutti benefici al Paese e pertanto ritengono la manovra irricevibile.
Fonte: www.regioni.it
Roma, 15 giugno 2010