Razzista, xenofoba e un pò sessista. L’Italia vista da Amnesty International
Joseph Zarlingo
Una lunga lista di decisioni del governo in carica e di quelli degli ultimi anni che hanno danneggiato la difesa dei diritti umani in Italia.
Una lunga lista di decisioni del governo in carica e di quelli degli ultimi anni che hanno danneggiato la difesa dei diritti umani in Italia. Così dice Giusy D’Alconzo, direttrice del settore campagne e ricerche della Sezione italiana di Amnesty International durante la presentazione del nuovo rapporto annuale, avvenuta ieri a Roma nei locali dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana.
Dopo la relazione introduttiva affidata a Christine Weise, presidente di Amnesty Italia, è D’Alconzo a spiegare il capitolo specifico sull’Italia contenuto nelle oltre 700 pagine del Rapporto annuale: «Il 2010 è stato l’anno di Rosarno, ma anche delle case popolari negate ai Rom a Milano e del Piano Nomadi del comune di Roma – dice – così come dei rimpatri forzati e indiscriminati di migranti africani, in forza di accordi chiusi con regimi che ora sono crollati». Tutti punti su cui le politiche del governo Berlusconi, così come l’atteggiamento di altre forze politiche anche dell’opposizione, si sono rivelate miopi e di corto respiro. «Sono temi molto efficaci da un punto di vista della resa elettorale – aggiunge D’Alconzo – ma il modo di affrontarli non ha portato al miglioramento della situazione». Amnesty ha duramente criticato sia gli accordi di rimpatrio conclusi dal governo Berlusconi con il regime libico che il Piano Nomadi di Alemanno. Al primo cittadino romano, anzi, Amnesty ha consegnato 15mila firme di cittadini contrari agli sgomberi forzati e ai campi sorvegliati.
Non sono purtroppo queste le uniche ombre sullo stato dei diritti umani in Italia rilevate dai ricercatori dell’associazione, premio Nobel per la pace nel 1977. Il vuoto più preoccupante riguarda la tutela delle vittime di abusi commessi dalle forze dell’ordine. «In Italia manca il reato di tortura, che avrebbe potuto impedire la prescrizione per i fatti del G8 di Genova del luglio 2001 e manca un’istituzione indipendente in grado di monitorare le condizioni nelle carceri, anche con visite senza preavviso – dice D’Alconzo – Su questi temi non registriamo miglioramenti nelle risposte delle autorità italiane».
Qualche miglioramento, invece, c’è stato per quanto riguarda un altro tema caro alle attività di Amnesty, le discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale, che AI ha inserito nel proprio mandato dal 1991. In Italia continuano atti di discriminazione e crimini specifici contro le persone lesbiche, gay, transgender o bisessuali, ma non è prevista ancora alcuna aggravante specifica, come invece accade in molti altri paesi europei. Di buono, però, c’è che la Polizia ha aperto un ufficio «dedicato» e inizia a prendere molto sul serio questo tema. Per sostenere la sua campagna in merito, Amnesty parteciperà alle iniziative dell’Europride, previste a Roma dall’1 all’11 giugno.
Nonostante queste ombre, però, anche in Italia secondo i ricercatori di Amnesty c’è ormai una diffusa percezione dell’importanza della tutela dei diritti fondamentali. Una percezione e una sensibilità esemplificate dalla solidarietà manifestata dagli abitanti di Lampedusa. Una percezione e una sensibilità che vanno oltre il discorso pubblico italiano, spesso infarcito di razzismo istituzionale e di pregiudizi. In questo, il nostro paese segue quella che secondo Christine Weise è «una rivoluzione silenziosa» sul tema dei diritti umani. «Siamo vicini a un cambiamento storico – ha detto la presidente di AI Italia – le persone sfidano la paura. Persone coraggiose, soprattutto giovani, scendono in strada e prendono la parola nonostante la repressione, le pallottole, i pestaggi, i carri armati».
Il riferimento è alle rivolte della Primavera araba, seguite da Amnesty con un fascicolo aggiuntivo rispetto al Rapporto. I cambiamenti segnalati da Weise sono due. Il primo riguarda l’ampiezza del movimento di protesta, che, con modi e tempi diverse, investe tutta la fascia che va dal Marocco all’Iran. Il secondo, se possibile ancora più strutturale, è l’esplosione ormai inarrestabile delle tecnologie digitali e dei social network come strumento capace di amplificare le proteste, aggirare le censure, denunciare le violazioni dei diritti umani. Per chi, come Amnesty, si occupa di difesa dei diritti fondamentali delle persone ormai da mezzo secolo (il compleanno ufficiale è il 28 maggio), questo è una novità epocale: «Le nuove tecnologie aiutano gli attivisti ad aggirare la censura dei governi, sia verso i propri concittadini sia verso il resto del mondo, e questo naturalmente spaventa tutti i governi autoritari che infatti cercano, senza riuscirci, di restringere l’accesso alla Rete e limitare la libertà di espressione anche nella sfera digitale – ha spiegato Weise – Ma le nuove tecnologie moltiplicano anche la capacità delle persone comuni di attivarsi al momento, in modo capillare, diffuso e in ultima analisi inarrestabile. Sono a tutti gli effetti un moltiplicatore di forza per i cittadini».
Rispetto a quando, il 28 maggio del 1961, l’avvocato britannico Peter Benenson lanciò dalle colonne del quotidiano The Observer l’appello a scrivere al governo dittatoriale portoghese per chiedere la liberazione di due studenti «colpevoli» di aver brindato alla libertà, lo scenario non potrebbe essere più diverso. «Siamo convinti che il mondo sia sul punto di poter fare un passo storico verso la difesa dei diritti umani universali – ha detto ancora Weise – Ma siamo anche consapevoli che i rischi e le minacce sono ancora molte e molto forti». La lettura delle 700 e più pagine del rapporto è la migliore prova a sostegno del timore espresso da Weise. I ricercatori di Amnesty hanno documentato casi di tortura o altre forme di maltrattamento in almeno 98 paesi, processi iniqui in 54, violazioni della libertà di espressione in 48 paesi, esecuzioni di condanne a morte in 23 paesi ed emissione di condanne a morte in 67 paesi. Due terzi della popolazione mondiale, secondo Amnesty, non hanno accesso alla giustizia a causa di sistemi giudiziari assenti, corrotti o discriminatori.
Il Rapporto di quest’anno dunque è anche quello che celebra i primi 50 anni di Amnesty International. Il calendario delle iniziative è molto fitto e si comincia con il volume «Io manifesto per la libertà», edito da Fandango, con 25 poster e 25 storie per celebrare il lavoro di Amnesty. Il 28 maggio, giorno ufficiale del compleanno, ci saranno «brindisi per la libertà» in molte città italiane e partirà anche un tour musicale.
Fonte: Lettera22, il Fatto Quotidiano
13 maggio 2011