Ramla, prove tecniche di convivenza
Tavola della pace
Una città di 73.000 abitanti di cui il 23% arabi e ben il 31% di nuovi arrivati, immigrati. Un modello da esportare.
Al suono degli inni italiano e poi israeliano serpeggia la commozione tra i tanti riuniti al raffinato auditorium dove il sindaco e diverse personalità culturali e religiose ci hanno accolti con una grande festa. Siamo a Ramla. Tra l’aeroporto e Tel Aviv. Siamo venuti ad incontrare una amministrazione locale che del multiculturalismo ha fatto la sua bandiera. Una città di 73.000 abitanti di cui il 23% (17.000 arabi) e ben il 31% di nuovi arrivati, immigrati. Ramla è infatti uno dei centri in cui la nuova immigrazione ebraica viene accolta, istruita, integrata. Vengono, dice il sindaco, da società meno avanzate rispetto a quella israeliana, dal sud America e dalle repubbliche dell’ex Unione sovietica e l’impegno della municipalità è aiutarli ad entrare positivamente nella società israeliana che è molti differente rispetto alla comunità partenza.
Ci sono poi le interazioni sempre più positive tra arabi e israeliani. Lo testimoniano il parroco della comunità cattolica, un consigliere comunale arabo, la dirigente della scuola araba. Lo sforzo della città è sincero e nasce, come sostiene uno degli intervenuti citando papa Benedetto XVI, dalla consapevolezza che la coesione sociale è figlia del rispetto reciproco.
Non poteva mancare, in questo contesto, una domanda prettamente politica: perché non esportare la logica multiculturale e del rispetto anche a pochi chilometri a Est, in Cisgiordania? Il sindaco non si sottrae e dopo aver sostenuto che la maggior parte degli israeliani è favorevole al diritto all’esistenza di uno stato palestinese indipendente cita a riprova il fatto che gli israeliani sono usciti da Gaza. Sono stati cioè capaci rinunce significative per di avere la pace. Anche se pace una pace fragile visto che proprio mentre siamo nell’auditorium si diffonde la notizia dell’ennesimo lancio di missili da Gaza verso Israele. Ma, continua il sindaco, occorre che anche i palestinesi facciano la loro parte e non pare che oggi le autorità palestinesi riescano davvero a coordinare gli sforzi per la pace. Ciò che noi temiamo di più, conclude il sindaco, è il caos. Come per la situazione siriana: di certo Assad non è nostro amico o alleato ma noi temiamo moltissimo il giorno dopo la fine di Assad perché sappiamo che con molta probabilità il paese sarà preda del caos e degli estremisti. Noi viviamo in una regione di assurdi: non siamo amici di Assad ma temiamo che la sua fine comporti seri guai anche per noi.
Salutiamo l’ospitale Ramla e risaliamo verso Gerusalemme sino a giungere sulla collina dove si trova la tomba di Samuele. Metà moschea e metà sinagoga, quasi una conferma dell’impegno nel dialogo indicato dal sindaco di Ramla. Ma lo spiazzo della tomba di Samuele, stupenda terrazza da cui lo sguardo si perde su Gerusalemme, consegna anche altre visioni. Basta aprire una cartina con indicati gli insediamenti dei coloni sulla terra palestinese per leggere uno spartito diverso. E percorrere la famosissima arteria stradale 433 è ancora più impressionante: ai lati scorrono in diversi punti ben tre diverse barriere.
Il filo spinato, la rete metallica, il muro. Linee di demarcazione che corrono parallele a circa 10 metri di distanza l’una dall’altra. Sino a confluire ad un grande incrocio in cui al muro sembrano aggiungersi anche diverse torrette di guardia. Ma non è il muro, è il famoso carcere di Ofra. Dal punto di vista delle losanghe di cemento armato con cui è costruito è del tutto simile al muro. Solo che è un carcere. Osserviamo le guardie entrare e ripartiamo lungo la 433 road. Che in fondo non è altro che la linea di un altro tipo di carcere che gli abitanti della West Bank non possono oltrepassare. Ripenso a Ramla. Così vicina, eppure così lontana, da queste brulle colline di Gerusalemme est.
Aluisi Tosolini, dirigente scolastico del Liceo “Bertolucci” di Parma