Quello strano silenzio di gente che parla


Silvia Beconi, Reporter di pace


Silvia Beconi, reporter di pace, ci racconta la sua marcia. È il Forum che esce dalle stanze dei palazzi storici e si mette in marcia. Perché mentre si cammina si continua a discutere di pace, di nonviolenza, di giustizia sociale.


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Quello strano silenzio di gente che parla

Il giorno prima della Marcia, mentre correvano da una parte all’altra del centro storico, con i piedi a mollo e gli ombrelli ribaltati dal vento, i ragazzi del Forum della Pace di Perugia ci credevano davvero: “ vedrai che domani non pioverà”, dicevano.

E avevano ragione: la marcia parte sotto un cielo grigio che promette pioggia ma non la mantiene. Il popolo della pace pressato tra Porta San Pietro e Porta San Girolamo inizia a distendersi nella strada che attraverso la campagna e va verso Assisi. Appena fuori dalle mura, il clamore della ressa iniziale sfuma rapidamente in un brusio leggero. Non c’è l’aggressività delle manifestazioni di piazza, non c’è la protesta vibrante, niente megafoni che strillano, niente tamburi che picchiano in testa. Le migliaia di partecipanti sfilano quietamente, a gruppetti, e intanto parlano. È il Forum che esce dalle stanze dei palazzi storici e si mette in marcia. Perché mentre si cammina si continua a discutere di pace, di nonviolenza, di giustizia sociale. Il  tempo non manca, ci sono ventiquattro chilometri da fare, l’aria è fresca e la strada, almeno all’inizio, in discesa.

Mentre si lasciano alle spalle Perugia e attraversano la campagna umbra che la pioggia ha reso di un verde ancora più intenso, Issa e Nourredine parlano di come si sopravvive in un paese straniero: come fare con il permesso di soggiorno, dove affittare un posto letto economico, da chi cercare un lavoro. Sono qui con il gruppo Arci di Torino. Issa è sudanese, viene dal Darfur, una regione devastata dalla guerra; lui è scappato in Italia. La sua città si chiama Tina e si trova al confine con il Ciad. Ora frequenta una scuola di carpenteria e saldatura, quando capita accetta qualche lavoretto di carico-scarico. Il suo sogno è tornare a casa “perché nessuno può vivere lontano dalla famiglia”. Sa che non potrà farlo finché non ci sarà la pace. Per questo è venuto alla Marcia. Nourredine gli fa notare che almeno lui può contare sugli aiuti che spettano a chi scappa dalla guerra: permesso di soggiorno, 150 euro al mese dal comune, appartamento  gratis. Anche se Nourredine sa di essere più fortunato, perché viene dal Marocco dove  non c’è la guerra, dice che in Italia per lui è molto dura: “c’è più guerra qui che in Marocco”; parla delle battaglie che combatte tutti i giorni per un alloggio, per un lavoro, per guadagnarsi i diritti e la dignità che gli spetterebbero.

Non la pensa così Jean-Claude. Viene dal Congo e porta appesa al collo una cassettina di legno che percuote con due bacchette; dice che si chiama “cajeta”, e che è uno strumento afro-peruviano. Jean-Claude è in Italia da venticinque anni e secondo lui qui si vive bene.

Procedendo verso Assisi il serpentone pacifista si allunga, si dirada. Cadono anche due gocce di pioggia. Poi smette di nuovo. Ancora riparate sotto l’ombrello due signore parlano di integrazione e dei tagli alla pubblica istruzione. Sono due insegnanti di una scuola media di Milano; prese come sono dal loro discorso non si sono accorte che non piove più. Tra gli scout si discute della colonna sonora della Marcia. Massimo viene da Roma, ha 15 anni, le guance piene e lo sguardo allegro. Vorrebbe che il furgoncino verde lì davanti la smettesse di suonare “Bella Ciao”. A Massimo la Marcia piace perché i suoi valori sono gli stessi della promessa scout ma “Bella Ciao” non lo convince: “è dei comunisti”, dice. Preferirebbe una canzone che fosse “più di tutti”. Da dietro qualcuno lo incalza: “ma è una canzone partigiana, i partigiani c’erano di tutti i tipi”. Massimo risponde: “sì, ma più che altro erano comunisti. Sarebbe meglio… che ne so… Bocelli”. Anche Francesco dice la sua, e la dice da scout sugli scout: “Ma se gli scout vengono fondati da un ex generale, allora in origine non erano pacifisti?”. Una signora sente tutto e lo gela: “Ma cosa dici? Gli scout sono pacifisti!Baden Powell mette l’esperienza militare al servizio della pace!”. Francesco ha i capelli biondi e la pelle chiara e quando arrossisce si vede subito: “Sì, però… in origine…”, risponde piano. Opinioni.Baden Powell mette l’esperienza militare al servizio della pace!”. Francesco ha i capelli biondi e la pelle chiara e quando arrossisce si vede subito: “Sì, però… in origine…”, risponde piano. Opinioni.

Anche se ha già fatto più di metà del percorso, Pito ha ancora molta voglia di parlare e il suo accento lombardo quasi rompe il silenzio che la stanchezza di tutti ha reso ancora più presente. Pito è qui con la Caritas di Lodi e pensa che la Marcia sia ricerca di un confronto. Per chi come lui è impegnato quotidianamente in progetti d’accoglienza è importante creare una rete, incontrare persone e associazioni che da un’altra parte stanno facendo la stessa cosa. È reduce da alcuni giorni a Castel Volturno “là -dice- dove la ferita sanguina, non c’è spazio per l’ideologia e laici e cattolici lavorano insieme”. Ha visto le condizioni di povertà del “ghetto” africano, ha visto la fatica del costruire un senso di appartenenza comune come lavoratori. “Il pericolo di disgregazione nasce paradossalmente quando arriva il permesso di soggiorno. Quello è il momento più pericoloso in cui si rischia di smettere di lottare per gli altri”. Poi  continua: “andare là è stato importante per accumulare rabbia”. Rabbia come antidoto all’indifferenza.

I chilometri passano sotto un cielo che si fa sempre più scuro. Il fiato è corto, le parole, ora, sono faticose. La mente è concentrata sulla strada che sale verso Assisi. Non c’è più energia per conversare, tutti salgono portandosi dentro le proprie storie, le proprie parole di pace. Le associazioni, i comuni, i familiari delle vittime di mafia, i precari, i dissidenti iraniani. La società civile che ripudia la guerra. Un ultimo sforzo tutto di gambe per portare fino in fondo queste storie e queste parole.

Silvia Beconi, Reporter di pace

 

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