Quel sogno interrotto


Piero Piraccini


  I lavoratori del porto di Ravenna, pur consapevoli che il loro atto di testimonianza a favore della pace per i popoli israeliano e palestinese neppure lontanamente costituisca un’azione risolutiva per la soluzione del conflitto, credono che l’unico modo per opporsi pacificamente alla guerra sia prendere attivamente una posizione contro di essa. E così l’armatore, […]


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ARKIV 941212 - Israels utrikesminister Shimon Peres (v) och PLO-ledaren Yassir Arafat h嬬er upp en griffeltavla med ordet fred skrivet p堲espektives spr嫬 under fotograferingen p堇rand Hotel i Stockholm. Peres och Arafat mottog, tillsammans med Israels premi䲭inister Yatzhik Rabbin, Nobels Fredspris i Oslo tv堤agar tidigare, den 10 december 1994.   
Foto: Claes L�en  Kod: 1029 
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Israele, morto l'ex presidente Shimon Peres
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I lavoratori del porto di Ravenna, pur consapevoli che il loro atto di testimonianza a favore della pace per i popoli israeliano e palestinese neppure lontanamente costituisca un’azione risolutiva per la soluzione del conflitto, credono che l’unico modo per opporsi pacificamente alla guerra sia prendere attivamente una posizione contro di essa.

E così l’armatore, a fronte dello sciopero indetto contro l’imbarco di armi per Israele, ha rinunciato al carico dei container.

Già nei primi anni ‘50, a fronte dell’adesione al Patto Atlantico, la lotta per la pace in Europa si concretò nel rifiuto dei portuali, da Genova ad Amsterdam, allo sbarco di armi americane destinate ai paesi della NATO. E sì che a quei tempi erano il PCI e il PSI a sostenere questa forma di lotta, loro che avevano la rivoluzione russa nel loro carnet ideale.

Così nessuna bomba lanciata su Gaza è passata da Ravenna.

Poco cambia per quel popolo: una bomba vale l’altra, ma è bene sapere da che parte si sta. Così com’è bene sapere che pochi giorni prima degli attacchi sulla Striscia di Gaza, il tiepido Biden ha approvato la proposta di vendere armi a Israele per 735 milioni di dollari senza porre alcuna condizione all’uso. I razzi di Hamas, evidentemente, consentono di ignorare i bombardamenti contro il popolo palestinese, bambini compresi, contro gli ospedali (anche quello di Emergency), contro le sedi dell’informazione.

E sarebbe stato bene che l’Italia, membro del Consiglio dei Diritti Umani presso l’ONU, avesse approvato la proposta di un’inchiesta internazionale sulle “violazioni dei diritti umani commesse nei Territori palestinesi occupati e in Israele (…)”.

Per l’Alto Commissario Michelle Bachlet, gli attacchi di Israele sulla Striscia potrebbero costituire “dei crimini di guerra”. L’Italia, invece, si è astenuta.

Ciò spiega la presenza nello stesso palco di gran parte del Governo (la componente LEU, esclusa) a sostegno di Israele, senza profferire parola sui palestinesi.

Anni fa, in un campo profughi vicino a Gerusalemme, si ragionava con Diego Novelli, l’ex dirigente del PCI sindaco di Torino, dicendo che in altri tempi, al ritorno da quell’esperienza (una guerra contro Gaza si era consumata pochi mesi prima), le sezioni dei partiti sarebbero state rese partecipi di quel dramma, perché l’internazionalismo era parte integrante del “fare” della politica. In quegli altri tempi nessun segretario Letta avrebbe affiancato un Salvini qualunque, solidale con chi scarica bombe su una popolazione che chiede di potersi riconoscere in un proprio stato.

Lo stato che l’ebreo Rabin era disposto a riconoscere all’arabo Arafat prima di essere ucciso da Ygal Amir, colono ebreo con una concezione deformante dell’ebraismo, il mito della sacralità di Israele concretizzato in un’avversione totale verso i palestinesi. La scoperta dello stato di Israele fu che non esiste solo l’Islam fondamentalista: si può uccidere in nome di Dio anche nella propria terra. Ogni giorno, da allora, ha costituito una pietra contro l’idea di due stati per due popoli.

Il territorio abitato dai palestinesi suddiviso in una miriade di enclave è privo di una configurazione unitaria. Anni fa, in un acceso incontro a Nablus, la maggioranza gridava l’impossibilità di quel loro sogno. Lo scorso anno fu il patriarca latino a Gerusalemme a dire che quella giusta ipotesi da perseguire trovava il limite nell’impossibilità a realizzarla. Dunque un solo stato con due popoli e con gli stessi diritti?

Ce ne vorrà perché il nuovo governo faccia proprie le parole di Rabin : “Lo sforzo di realizzare il sogno di vivere in pace è il nostro lascito ai nostri figli, palestinesi e israeliani… Sono fiducioso che attraverso il dialogo e la cooperazione, i nostri due popoli supereranno gli ostacoli posti da coloro che si oppongono alla coesistenza”.

18 giugno 2021

Piero Piraccini

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