Quale futuro per il nuovo Sudan?
Enzo Nucci
Auguri Nuovo Sudan: ne hai bisogno. Dopo sei mesi di transizione, il 9 luglio sarà annunciato il nome del nuovo paese che ancora deve essere scelto. Ma per questa data dovranno anche essere sciolti i nodi cruciali per la sopravvivenza di nord e sud.
Il risultato del referendum che sancisce la secessione del Sud Sudan dall’autorità centrale di Khartoum è scontato. Ma lo era fin dal 2005 quando furono sottoscritti gli accordi di pace tra le due parti: il sud animista e cristiano vuole da sempre emanciparsi dal nord islamico e arabizzato che lo ha condannato alla schiavitù ed al sottosviluppo, come recita la propaganda che si legge in questi giorni sui muri di Juba, la capitale del nuovo stato che sta nascendo.
Il referendum in fondo ha costituito una necessaria liturgia imposta dalla diplomazia occidentale per suggellare un cammino impervio con un bagno di popolo alle urne e di granitico consenso. Gli Stati Uniti in primis si sono esposti moltissimo per portare in meta una palla che sembrava impossibile, spingendosi fino a promettere a Khartoum la rimozione dalla lista nera degli “stati canaglia” che proteggono il terrorismo islamico. Questo in pratica significherebbe annullare le sanzioni economiche in vigore dagli anni ’90.
Fino all’ultimo infatti sembrava che la consultazione popolare saltasse per i continui intralci posti dal governo di Khartoum (presieduto da Omar Al Bashir, inseguito da un mandato di cattura internazionale per crimini di guerra e genocidio commessi nel conflitto del Darfur) che ha cercato di sabotare lo storico appuntamento. Una strategia che però ha consentito al nord di portare a casa un significativo risultato. Infatti contemporaneamente a questo referendum se ne sarebbe dovuto tenere un altro in cui gli abitanti della contesa regione meridionale e petrolifera di Abyei dovevano decidere se far parte del nord o del sud. Ma la consultazione è saltata.
In ogni caso gli analisti considerano questa scadenza un successo per tutto il continente africano poiché in maniera pacifica (dopo 39 anni complessivi di guerra dal 1955 al 2005 e milioni di morti) nascerà il cinquantaquattresimo stato dell’ Africa, due volte più grande dell’Italia per estensione.
Dopo sei mesi di transizione, il 9 luglio sarà annunciato il nome del nuovo paese che ancora deve essere scelto. Ma per questa data dovranno anche essere sciolti i nodi cruciali per la sopravvivenza di nord e sud. I pozzi petroliferi infatti sorgono tutti nella parte meridionale del paese che però non ha sbocchi sul mare. Questo significa che le due parti dovranno trovare per forza un accordo perché è Khartoum a detenere la rete di oleodotti che assicurano al greggio l’arrivo nelle raffinerie ed il successivo imbarco da Port Sudan sul Mar Rosso.
Intanto il presidente Bashir ha annunciato che si sta accingendo a rivedere la costituzione alla luce di una interpretazione più rigorosa della Sharia, ovvero della legge islamica. Questo significa in pratica un ulteriore giro di vite per i cristiani residenti al nord. Una “stretta” che potrebbe costringere un milione e ottocentomila persone a riversarsi al sud per sfuggire alle discriminazioni e che aprirebbe una immediata e gravissima crisi umanitaria.
Khartoum inoltre teme che il risultato elettorale del Sud possa incoraggiare i ribelli del Darfur a lanciare una nuova offensiva. E Bashir è già pronto ad avviare una repressione più dura in quel martoriato territorio.
Inoltre, di fronte ad una ipotetica ma non impossibile diminuzione al 20 per cento delle rendite petrolifere imposta dal Sud, il Sudan del nord si troverebbe a fronteggiare senza strumenti adeguati una inflazione crescente ed un pesante debito interno che stanno già causando proteste di piazza e disordini contro il rincaro dei generi alimentari.
Tra i punti in discussione tra le parti c’è anche la gestione delle acque del Nilo, ancora regolata da un accordo firmato nel 1919 tra Egitto e Inghilterra quando il Sudan era in “comproprietà”. L’Egitto (che appoggia Bashir) teme che una revisione del trattato possa danneggiarlo. E non è una questione di poco conto perché l’oro bianco comincia a diventare più prezioso di quello nero.
Il Sud vive anche il grande problema delle endemiche guerre tra clan e tribù che nei giorni precedenti il referendum hanno causato una cinquantina di morti ed un centinaio di feriti. Se fino a ieri la lotta contro il nord ha contribuito a sopire le antiche faide ed a costituire un elemento unificante per tenere uniti i vari gruppi etnici, oggi il tappo è saltato. Ed il sud potrebbe dover far fronte ad un revival di violenza etnica.
Nasce dunque un nuovo stato animista e cristiano nel momento meno favorevole in cui soffia la tempesta della guerra santa sul confinante Egitto che rischia di travolgere tutto.
Auguri Nuovo Sudan: ne hai bisogno.
Fonte: www.articolo21.org
14 Gennaio 2011