Profughi per la seconda volta
Michele Giorgio, Il Manifesto
Nell’immenso bagno di sangue della guerra civile in Siria si consuma anche la tragedia dei palestinesi, molti dei quali sono diventati profughi o sfollati per la seconda volta.
Nell’immenso bagno di sangue della guerra civile in Siria si consumano tragedie che spesso passano inosservate. A cominciare da quella dei palestinesi, molti dei quali sono diventati profughi o sfollati per la seconda volta. Fuggiti o cacciati dalla loro terra durante le fasi che nel 1948 portarono alla nascita dello Stato di Israele, 65 anni dopo i palestinesi in Siria sono costretti in gran numero a lasciare le case sotto la furia dei combattimenti tra Esercito governativo e miliziani ribelli. Ne abbiamo parlato con Filippo Grandi, Commissario Generale dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste i rifugiati palestinesi. «Sì, è un dramma nel dramma – sottolinea Grandi -, calcoliamo che su 500.000 profughi palestinesi in Siria almeno 250.000 non vivono più nelle loro case nei campi, a causa dei combattimenti. Dove fuggono? Principalmente all’interno della Siria.
In parte perché per loro la fuga attraverso i confini è molto difficile. I palestinesi portano con loro una difficoltà: quella di essere palestinesi. La Giordania ha chiuso loro le frontiere che invece ha lasciato aperte ai profughi siriani. Hanno poche possibilità di andare in Turchia e l’Iraq non è terra ospitale per loro come sappiamo. Hanno un’unica via d’uscita dalla Siria, il Libano, paese in cui purtroppo non sono accolti bene.
Quindi non resta che lo sfollamento interno presso famiglie (siriane) che li ospitano o da altri palestinesi. Cosa sta facendo l’Unrwa per assistere questi palestinesi che diventano profughi una seconda volta? Cerchiamo prima di tutto di continuare i nostri programmi abituali di aiuto. Lavoriamo da 60 anni in Siria, diamo ai palestinesi istruzione attraverso una rete di scuole, sanità mediante una rete di ambulatori e assistenza sociale ai più poveri. Oggi tutte queste attività sono molto difficili in Siria. Solo la metà delle scuole è operativa e ogni giorno è un drammatico rischio calcolato decidere se tenere una scuola aperta: c’è il pericolo che sia bombardata da una parte o dall’altra in guerra. Inoltre siamo sempre più costretti a ricorrere ad attività di emergenza: distribuzione di cibo e anche di soldi. L’economia non c’è più in Siria, le attività produttive sono in buona parte ferme e la gente ha bisogno di soldi per sopravvivere. A tutto ciò dobbiamo aggiungere l’ospitalità che offriamo nelle nostre scuole anche a migliaia di sfollati siriani che non sanno dove andare.
I palestinesi, almeno all’inizio, hanno provato a rimanere fuori dalla guerra civile siriana. Poi cosa è accaduto ? Il conflitto li ha raggiunti. Un conflitto che ormai occupa ogni angolo della Siria, soprattutto le zone urbane o semiurbane quelle dove vivono i profughi palestinesi: Damasco, Homs ma anche Deraa, Aleppo, la costa. Purtroppo le parti in lotta tentano di coinvolgere i palestinesi. Noi dell’Unrwa abbiamo vigorosamente protestato e riaffermato l’importanza che i palestinesi siano tenuti fuori perché questo popolo ha già una storia di coinvolgimento in conflitti di altri che poi si sono rivelati catastrofici, per tutti. Un esempio è il Libano. Dobbiamo quindi riconoscere la pertinenza delle parole del presidente Abu Mazen che ha sottolineato l’importanza della neutralità dei palestinesi ed esortato le parti in guerra a rispettarla. La situazione appare difficile soprattuttto per i palestinesi che vivono nei campi di Yarmouk e Khan el Sheeh . Questi sono campi che si trovano nell’area urbana di Damasco, tra le più devastate dall’impatto del conflitto. Tuttavia sono rare ormai le zone abitate da profughi palestinesi estranee alle battaglie in corso.
A nord, i campi vicini ad Aleppo sono stati teatro di combattimenti violentissimi perché sono situati nei pressi dell’aeroporto. Cosa pensa dell’intesa raggiunta in principio da Usa e Russia per una soluzione negoziata della guerra civile siriana? Non farei il lavoro che faccio da quasi trent’anni in mezzo a crisi e conflitti se non fossi un ottimista. Leggo quell’intesa in modo positivo. Il linguaggio delle parti in lotta per la prima volta induce a un cauto ottimismo.
Sono però consapevole che esistono differenze, al momento ampie, a proposito dell’inevitabile transizione politica sulla quale dovranno raggiungere un accordo le varie parti. Come responsabile di un’agenzia umanitaria dell’Onu tra le più coinvolte, mi auguro che si abbia un pensiero per le sofferenze inaudite della popolazione siriana e dei palestinesi che sono stati generosamente ospitati per decenni dalla Siria. Sofferenze che stanno arrivando a livelli insostenibili.
Fonte: il Manifesto
12 maggio 2013