Primavera palestinese?
Zvi Shuldiner
Al Cairo è stato firmato un accordo fra Fatah e Hamas che potrebbe significare la riunificazione palestinese. Gli elementi dell’accordo sono diversi e non univoci, restano ancora aperti alcuni punti potenzialmente esplosivi…
Al Cairo è stato firmato un documento molto problematico fra Fatah e Hamas che potrebbe significare la riunificazione palestinese. Gli elementi dell'accordo sono diversi e non univoci, restano ancora aperti alcuni punti potenzialmente esplosivi, le divergenze sono ancora tutte lì e minacciano di far saltare la riunificazione. Tuttavia sembrerebbe aprirsi un capitolo nuovo in Medio Oriente. Prima di tutto bisogna chiarire l'enorme importanza dell'accordo per il processo di pace: senza riunificazione palestinese, la pace fra Israele e Palestina non sarebbe altro che mera finzione. La riunificazione è la condizione essenziale, anche se non ancora sufficiente, per il processo.
La reazione ufficiale israeliana è negativa come è ovvio per un governo di estrema destra che non cerca strade reali per arrivare a un accordo. Il premier Benjamin Netanyahu chiama il presidente dell'Anp, Abu Mazen, per intimargli: «o i negoziati con noi, o l'unità con Hamas», e con questo dimostra il suo totale disprezzo delle condizioni di base per un vero processo di pace. Un accordo con un settore palestinese – qualunque sia il suo peso- non avrebbe nessun senso e porterebbe a un vicolo cieco.
Il premier di Hamas a Gaza, Ismail Haniyeh, è come sempre corso in sostegno di Netanyahu e della destra israeliana lamentando la perdita del grande bin Laden: «Ecco, guardate, amici americani ed europei, con chi abbiamo a che fare». Però la stupide parole di Haniyeh non devono essere il pretesto per gli stereotipi e l'ignoranza dominanti in Occidente. L'imbecillità di quelli che ballano in strada per la morte di bin Laden come pure il carattere criminale di bin Laden e al Qaeda, non possono cancellare un punto di fondo: è arrivato il momenti di cercare di capire cosa significhi l'Islam, che significhino le diverse correnti al suo interno e, soprattutto, è arrivato il momento di tornare a un'analisi intelligente della reazione di centinaia di milioni di persone di fronte ai lunghi anni del dominio imperialista, dei dittatori asserviti al neo-liberismo e agli interessi della grande democrazia Usa e dei suoi alleati europei.
La morte di bin Laden non significa la fine del rifiuto e della protesta di milioni di persone contro un sistema che li condanna alla povertà e alla dipendenza, un sistema oppressivo al servizio dell'Occidente e del capitalismo.
Mentre alcuni leader di Hamas già si affrettano a proclamare che la terra di Palestina è sacra e quindi non riconosceranno mai «l'entità sionista», altri, più realisticamente, riconoscono che Abu Mazen dovrà continuare i negoziati, che dovranno portare alla nascita di due stati entro le frontiere del 1967. È un fatto: leader e popoli dovranno cominciare a capire la differenza fra postulati fondamentalisti e decisioni pragmatiche.
La sorpresa per l'accordo è stata enorme, però l'accordo era lì, in gestazione, ormai da più di due anni. Nel Cairo di Mubarak, il presidente palestinese firmò due anni fa il documento che anche Hamas ha firmato la settimana scorsa. Mubarak vedeva Hamas come un pericoloso alleato dei Fratelli musulmani e come agente dei siriani, e quindi non aveva alcun interesse reale all'accordo, preferiva le sue intese con gli israeliani e gli americani.
Ma i cambiamenti in Tunisia e in Egitto hanno scosso il Medio Oriente e sono stati il preambolo dell'attuale sconquasso in Libia e Siria, come della prossima fine di Saleh in Yemen.
Il nuovo governo in Egitto, che pure non sembra aver fretta a promuovere cambiamenti strutturali, può tuttavia garantirsi un risultato eccezionale che muterebbe lo status del paese sul teatro arabo. Dopo anni di decadenza e isolamento, l'Egitto riprende un ruolo centrale, si rilancia l'orgoglio nazionale e la nuova politica del governo dà segnali di una ritrovata indipendenza. Che può «obbligare» Hamas a un accordo con relativa riapertura del valico di Rafah anziché continuare la collaborazione con la politica d'assedio imposta a Gaza da Israele e accettata da Mubarak. Per Hamas è un gran risultato e lo aiuterà a spiegare perché ha firmato ora quello che aveva rifiutato prima.
Ma non è tutta la storia. La rivolta in Siria continua, centinaia di morti sono il prezzo che la dittatura di Assad impone agli aneliti di libertà che risuonano in tutta la regione e fanno tremare tutte le alleanze. L'Iran, insieme agli Hezbollah libanesi, guarda preoccupato alla possibile caduta del suo alleato e l'opposizione della Turchia alla politica repressiva di Assad è chiara.
Mentre tutt'intorno si levano le fiamme, Khaled Meshaal e la leadership di Hamas hanno capito che non possono più contare a scatola chiusa sulla loro alleanza con Assad e in apparenza stanno già pensando a trasferire i loro uffici in altri paesi arabi poiché Damasco non è più così sicura.
Davanti a una situazione come questa, specie in Siria, il patto d'unità palestinese si è fatto urgente. È necessario finirla con i balletti sulla morte di bin Laden e con il razzismo anti-islamico, aprire menti e cuori. La riunificazione palestinese è una condizione importante per la pace e non si deve regalare nessun alibi al negazionismo annessionista di Netanyahu e dei suoi alleati dell'estrema destra israeliana.
Fonte: il Manifesto
5 maggio 2011