Preoccupazione per il domani e voglia di cambiamento


La redazione della Marcia


I ragazzi si confrontano sui temi dei diritti dei lavoratori, degli immigrati e sul proprio futuro. Lo studio come diritto ad un futuro migliore, che deve essere accessibile a tutti.


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Preoccupazione per il domani e voglia di cambiamento

Sono davvero giovanissimi i circa quaranta partecipanti al laboratorio “I diritti del lavoro e i diritti dei migranti” che si è tenuto oggi al Meeting. Studenti delle scuole superiori provenienti da tutta Italia, qualche universitario, una stagista: tutti arrivati a Bastia Umbra per partecipare ai laboratori, alle lezioni e ai seminari perché credono che costruire un futuro migliore sia possibile, anche a partire dai diritti di chi lavora e da quelli di chi arriva in Italia alla ricerca di un lavoro.
Dopo una breve introduzione del moderatore Luca De Zolt, rappresentante del settore giovanile della Cgil, sono stati gli ospiti internazionali a raccontare la loro esperienza.
Lamis Khoury, palestinese, responsabile della sezione giovanile del sindacato locale PGFTU, ha parlato delle difficoltà concrete che si trovano ad affrontare i suoi connazionali. Se è vero che per avere un lavoro dignitoso è necessario poter studiare, il primo ostacolo per i palestinesi è proprio l’accesso allo studio ad alti livelli. Innanzitutto per motivi economici: quando le famiglie non possono permettersi di pagare le rette universitarie ai propri figli, questi giovani si trovano costretti a lasciare gli studi e impegnarsi in lavori non qualificati. A ciò si aggiunge il fatto che andare all’università in Palestina significa spesso doversi spostare in città diverse dalla propria e affrontare anche due o tre check- point, operazione per nulla semplice né rapida. “Ecco uno dei tanti motivi per cui la Palestina lotta per la pace e per la libertà di cui abbiamo bisogno”, ha concluso l’intervento Lamis.
Il secondo ospite, Tamer Fathy, egiziano, responsabile delle relazioni internazionali del sindacato nazionale CTUWS, ha spronato i ragazzi a riflettere sul potere di cambiamento che hanno i  lavoratori. La rivolta egiziana, che ha portato alla caduta del regime di Mubarak, è nata proprio dagli scioperi a oltranza cominciati dai metalmeccanici e poi seguiti da altri lavoratori che rivendicavano, e continuano a rivendicare, il rispetto dei propri diritti. “Scioperare – ha affermato Tamer – è un modo per far sentire la propria voce: se i lavoratori si rifiutano di lavorare e bloccano il Paese, i governi devono rispondere, non possono tirarsi indietro”.
A partire da questi spunti i partecipanti, divisi in tre gruppi di lavoro, hanno ragionato sulla propria condizione, non ancora di lavoratori ma di studenti o disoccupati, chiedendosi se e in che modo, anche senza scioperare, si possa fare qualcosa per rivendicare maggiori diritti per i lavoratori e per gli stranieri. Molto utile il suggerimento di Tamer: “E’ vero: chi non lavora non è in grado di paralizzare il sistema produttivo di un Paese, ma può manifestare a fianco dei lavoratori, incoraggiare e rafforzare le lotte”.
Ognuno, infine, ha cercato di immaginare la propria condizione fra dieci anni, quando tante cose potrebbero essere cambiate. Molto diverse le riflessioni conclusive: tra gli studenti delle scuole superiori da una parte regna l’ottimismo e la convinzione che presto, grazie alla sempre maggiore integrazione dei cosiddetti immigrati di seconda generazione, il razzismo verrà sconfitto, perché tutti saremo a contatto quotidianamente con persone provenienti da altre culture. Dall’altra vi è una profonda preoccupazione per la questione lavorativa: tanti ragazzi, nonostante abbiano meno di diciotto anni, si vedono già precari o alle prese con una situazione economica non rosea. Tuttavia, questa paura per il futuro, non li porta a rinunciare al sogno di un mondo migliore, in cui il lavoro non sarà un’utopia, ma una realtà. Anzi, li spinge a lottare affinché un giorno la cultura sarà accessibile a tutti e la meritocrazia sarà la base per ottenere un lavoro.

24 settembre 2011

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