Prendere atto della Terza Guerra Mondiale


Lucia Annunziata - Huffington Post


Dal 2001 siamo in guerra permanente: abbiamo, come Europa, combattuto in Afganistan, e in Iraq, in Siria, in Libano e in Africa. In questo momento l’Italia porta sulle spalle l’intervento in Libia, altra nazione che ha avuto grande parte in almeno un capitolo della Terza Guerra Mondiale, e quello in Siria.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
frasecharliehebdo

Quando nel 2001 ci fu l’attacco alle Torri Gemelle, qualcuno avvertì che si trattava dell’inizio della Terza Guerra Mondiale. Un coro di critici seppellì questa previsione come esagerata e catastrofista: ma quello che in questi anni si è svolto sotto i nostri occhi ha semmai peggiorato le previsioni di allora in termini di velocità di sviluppo delle operazioni. Papa Bergoglio anche su questo tema sembra aver anticipato tutte le élite intellettuali evocando un paio di mesi fa “una terza guerra mondiale che si svolge in capitoli”.

Le colpe, responsabilità di persone e idee, sono tutte dibattibili, e non manca una ampia letteratura in merito.
Ma nel frattempo c’è una questione molto più urgente che l’attacco a Parigi ci ha presentato – mentre continuiamo a discutere sulla natura del conflitto in corso, il conflitto stesso ci ha raggiunti. E ci ha trovato impreparati.

Le immagini che ci arrivano dalla Francia, da ore e ore, grondano di questo incredibile, surreale, ultraterreno senso di stupore. La perfetta bellezza delle strade della capitale, l’augusta serenità dei campi infiniti della Francia del Nord, il panorama denso dei vignoble dello champagne, in cui uomini armati, elicotteri, e spari sono irreali come un film di fantascienza sulla invasione degli alieni.

Non che la impressione sia sbagliata – il terrorismo è un sbarco alieno, è esattamente quello che pensavamo fosse di là e altrove, l’inimmaginabile, che si è materializzato. Questa è la natura degli eventi francesi – l’impossibile è diventato reale. E il modo come si sta svolgendo inizia anche a farci capire cosa abbiamo di fronte.

Vanno fatte alcune precisazioni: non è un nuovo 11 settembre 2001. Ce n’è uno solo, e quello fu la dichiarazione di guerra. A Parigi assistiamo invece a un capitolo avanzato del conflitto iniziato allora. Va anche precisato che l’attacco non è terrorismo, ma un atto di una guerra che usa il terrorismo come strumento. Una distinzione che pare secondaria, ma che invece fa tutta la differenza. Il termine terrorismo come viene usato in genere copre infatti eventi considerati per loro natura occasionali, anche se numerosi e devastanti. Una guerra è invece innanzitutto un atto politico: richiede una piattaforma ideologica che aggrega i suoi soldati, un obiettivo che li motivi, e una pianificazione di forze, strumenti, armi, e progetto. Questo sforzo bellico conta oggi assi orizzontali e verticali di collaborazione nel mondo tra le organizzazioni – unisce Isis e al Qaeda, va dal cuore dell’Africa all’Europa, al Medioriente, può spingersi a mobilitare risorse in tutti i paesi , dai più avanzati ai più lontani dell’estremo oriente. E l’Europa che ne è solo il nemico, ne è anche pieno titolo una delle madri – senza la ricchezza, la scienza, la libertà dell’Europa questa guerra avrebbe avuto un corso completamente diverso.

Ecco il punto dove siamo: l’esercito che iniziò a formarsi nel 2001 è cresciuto, si è ramificato, ha formato una sua piattaforma, ha addestrato le sue truppe – e ora queste truppe sono qui fra noi. Questo succede oggi a Parigi, questo succederà in tutti i nostri paesi. Prendere atto di questa realtà, dirci che la guerra ci ha raggiunti, di nuovo, dopo settanta anni ,non è per nulla semplice . La storia del continente europeo è tale che oggi la opinione pubblica rifugge da ogni discorso di tensione. Spesso la semplice apertura di una discussione sul che fare ti fa apparire come un guerrafondaio.

Eppure, negare di essere parte di un conflitto è una ipocrisia bella e buona – dal 2001 siamo in guerra permanente. Abbiamo, come Europa, combattuto in Afganistan, e in Iraq, in Siria, in Libano e in Africa. In questo momento l’ Italia porta sulle spalle l’intervento in Libia, altra nazione che ha avuto grande parte in almeno un capitolo della Terza Guerra Mondiale, e quello in Siria. Che questi interventi militari siano stati sempre limitati o seminascosti dalla nostra classe politica non ne ha certo cambiato natura.

Diciamolo dunque. Ammettiamolo. E cominciamo a pensare a nuove politiche, ad interventi di difesa seri. Chiediamo alla politica di fornirci un piano di preparazione militare, un progetto di messa in sicurezza chiaro, una idea di investimenti in questa stessa sicurezza. Del resto, non affrontare queste questioni in questi ultimi anni ci ha portato solo ad esserne risucchiati, ha portato la nostre società ad essere sempre più dominate dal timore, e attratte da politiche emotive e razziste.

Non ci illudiamo più: gli attacchi di Parigi hanno chiuso un’epoca per l’Europa , quella della politica degli struzzi, come dimostra la manifestazione di Parigi di domenica. Non si tornerà indietro.

Fonte: http://www.huffingtonpost.it

9 gennaio 2014

 

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento