Prawer Plan, una nuova colonia in Naqab
Emma Mancini - nena-news.globalist.it
Via libera del governo alla costruzione di un insediamento ebraico al posto di un villaggio palestinese. Un bambino perde la vita nella demolizione di una casa beduina.
L’annuncio della nuova manifestazione contro il Piano Prawer arriva insieme a due notizie drammatiche per le comunità beduine palestinesi del Naqab, a Sud dello Stato di Israele.
Venerdì un bambino di dieci anni è rimasto ucciso durante la demolizione di una casa palestinese nel villaggio non riconosciuto di Sawawin. Per evitare l’intervento della polizia israeliana e il pagamento di una multa salatissima al governo, una famiglia beduina ha deciso di procedere da sola alla distruzione della propria abitazione, su cui pendeva un ordine di demolizione. Durante la distruzione, però, alcune macerie sono cadute dove due bambini stavano giocando: uno di loro è morto, l’altro – gravemente ferito – è in terapia intensiva. Non è il primo caso di autodemolizione in Naqab: sono sempre più numerose le famiglie palestinesi costrette a distruggere il luogo dove vivono per evitare la violenza della polizia israeliana.
Risale a domenica, invece, l’approvazione da parte del consiglio dei ministri israeliano di un piano per la creazione di una nuova comunità ebraica in Naqab. Ad essere direttamente minacciati, sono i 500 residenti del villaggio beduino di Umm Al-Hiran, che sorge esattamente dove si prevede la costruzione della nuova colonia israeliana di Hiran. Non solo: il governo Netanyahu ha dato il via libera anche alla creazione di un secondo insediamento ebraico nell’area, Kasif. Ai beduini di Umm Al-Hiran Tel Aviv ha già “offerto” delle soluzioni, accompagnate agli ordini di sgombero: siti alternativi dove muovere la loro comunità (senza però promettere di riconoscere poi l’eventuale nuovo villaggio), esempio dell’aperta discriminazione etnica delle politiche israeliane.
Queste le conseguenze drammatiche e dirette del Piano Prawer, progetto delle autorità israeliana per “ripulire” il deserto del Naqab dalle comunità beduine che vi risiedono da decenni, alcune arrivate dopo la Nakba del 1948, altre residenti nell’area da ben prima la creazione dello Stato di Israele. Il Piano Prawer, già approvato in prima lettura alla Knesser (il parlamento israeliano, ndr), prevede la distruzione di 45 villaggi beduini non riconosciuti da Tel Aviv, l’espulsione e il trasferimento forzato di 40-70mila beduini palestinesi e la seguente urbanizzazione forzata in nuove “township” e, infine, la confisca di oltre 800mila dunam di terre (un dunam è pari a mille metri quadrati, ndr).
Da mesi in tutta la Palestina storica, da Haifa a Gaza, si susseguono manifestazioni di protesta contro il piano, manifestazioni seguite a una dura repressione da parte delle forze militari israeliani, con decine di feriti e di arrestati. Il 30 novembre si terrà un nuovo evento nazionale, l’International Day of the Naqab – con manifestazioni in Naqab a Ramallah, a Gaza City e in alcune città estere – contro quella che l’alto commissario per i diritti umani dell’ONU, Navi Pillay, ha definito “una politica discriminatoria di trasferimento forzato delle comunità beduine”. Un progetto che risale al 2011 e che prevede un complesso sistema di rimborsi, quasi impossibili da ottenere, e la cacciata dei beduini da villaggi già oggi privi di alcun servizio pubblico: mancano acqua, elettricità, scuole, mezzi pubblici, fognature, perché per Tel Aviv quei 45 villaggi non esistono.
Ma a spaventare di più le comunità beduine è la minaccia di trasferimento in township costruite dal governo israeliano, dove perderebbero il loro tradizionale stile di vita, il contatto con la natura, una vita quotidiana fatta di cura della terra e del bestiame. Un timore fondato: Tel Aviv ha già costruito sette nuove città in cui ha trasferito con la forza circa 135mila beduini.
“Il Piano Prawer non sarà fatto passare – annunciano gli organizzatori dell’International Day del 30 novembre – Nessuno vivrà tranquillamente e comodamente fino a quando ci sarà anche una sola famiglia minacciata di espulsione. Nessuno nel Paese godrà di libertà e dignità se noi palestinesi, specialmente in Naqab, non potremo vivere dignitosamente nella nostra terra”.
A criticare il progetto, perché potenziale minaccia al processo di pace con l’Autorità Palestinese, è anche l’ex direttore generale del Ministero degli Interni israeliano, Alon Liel: “Il numero di colonie è enorme e probabilmente irreversibile e il segnale che il governo israeliano sta inviando ai palestinesi, al Medio Oriente e al mondo, continuando a colonizzare, è un segnale molto negativo perché se il dialogo non si concluderà con un accordo, non si potrà più sperare in un processo di pace”.
Fonte: Nena News
12 novembre 2013