Poveri ragazzi, non c’è posto


Roberto Ciccarelli - Il Manifesto


Disoccupazione. L’Istat registra un lieve calo, ma si conferma un indice record tra i giovani: 37,8%.


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I dati sulla disoccupazione comunicati ieri da Eurostat sembrano una rappresentazione plastica dell'Europa dell'austerità: spezzata in due tra i protestanti rigorosi del Nord che vivono in una società dove la disoccupazione è molto bassa e i cattolici lassisti del Sud dov'è ormai fuori controllo. In Austria o in Germania oscilla tra il 4,8% e il 5,4%, mentre in Spagna è fissa al 26,3%, in Portogallo è al 17,5%, mentre in Grecia è al 26,4%, un record ma fermo a dicembre. Negli ultimi mesi i dati non sono stati aggiornati. Un silenzio minaccioso che sembra annunciare il peggio. Nei 17 paesi dell'Eurozona febbraio è stato il mese del record: i senza lavoro sono 19 milioni, il 12% della forza lavoro attiva.
L'Italia è stata rassicurata dall'Istat: la disoccupazione a febbraio era «solo» all'11,6%, in calo dello 0,1% rispetto a gennaio, ma in crescita di 1,5 punti negli ultimi dodici mesi. Cresce invece l'occupazione femminile: 48 mila persone assunte a gennaio, mentre quella maschile diminuisce di 2 mila unità. Una progressione impressionante che porta i senza lavoro ad un gradino sotto i 3 milioni, per la precisione 2 milioni 971 mila. Rispetto ai dati dei «Pigs» mediterranei c'è ancora una notevole distanza che però viene letteralmente ribaltata se si considerano i dati sulla disoccupazione giovanile, nella fascia 15-24 anni: la disoccupazione è diminuita di qualche millesimo, ma l'Italia si mantiene salda al terzo posto nella graduatoria continentale: il 37,8% (-0,8% rispetto a gennaio) contro il 55,7% della Spagna e il 38,2% del Portogallo.
Contro-riforma Fornero
In realtà, questi dati non sono il risultato del lassismo dei giovani italiani, bensì il frutto della recessione e l'eredità del «pacchetto Treu» del 1997 raccolta dal governo Monti. La lunga stagione contro-riformista del lavoro ha cercato di cambiare le regole dell'accesso al mercato del lavoro, peggiorandole al punto da escludere i più giovani. Con professorale alterigia la contro-riforma ha coltivato il convincimento che i posti di lavoro si creano per via legislativa e non con gli investimenti e welfare a tutela delle persone.
La riforma Fornero avrebbe dovuto stabilizzare il precariato e far emergere il «sommerso» tra le partite Iva. Invece, nel terzo trimestre 2012 le assunzioni con i contratti «atipici» sono aumentate. Da ottobre 2011 a settembre 2012, in pieno governo Monti, sono dilagati il lavoro intermittente e a chiamata, il «job on call». Su 2.462.314 rapporti di lavoro attivati nel periodo solo 430.912 risultano a tempo indeterminato (il 17,5% del totale). Il 67,1% (1.652.76) è a tempo determinato. Il 65% degli intervistati iscritti a Confartigianato hanno dichiarato in un sondaggio Ispo condotto tra l'8 e il 12 marzo che la riforma ha frenato la propensione ad assumere, aumentando il costo dell'apprendistato e dei contratti a tempo determinato. Una conferma viene da un sondaggio condotto dai giovani «Non più» della Cgil. Su 500 professionisti e precari il 5% è stato stabilizzato, il 27% ha perso il contratto, il 22% si è dovuto accontentare di un contratto peggiore. Il 14% dei cocopro sono stati trasformati in partita Iva, oggi molto accessibile perché la riforma permette di aprila con un reddito di 18 mila euro lordi. Quanto all'apprendistato, riformato seguendo la legge tedesca Herzt per «germanizzare» un mercato del lavoro che si presume «lassista», si annuncia un'ecatombe. Nel terzo trimestre 2013 ne saranno attivati 8.800, duemila in meno dell'anno precedente.
1641 disoccupati al giorno
La rilevazione dell'Osservatorio permanente del Gi Group Academy conferma che la riforma ha ridotto l'utilizzo improprio di alcuni contratti flessibili (-54%), ma non ha aumentato l'occupazione. Anzi, le imprese continuano a surfare tra un contratto precario e un altro, cercando quello che costa di meno. Il 76% dei cocopro e partite Iva trasformati in contratti da dipendenti – il vero cavallo di battaglia della riforma – è stato convertito in altre forme flessibili, e solo il 24% a tempo determinato. Per gli intervistati di questa rilevazione la riforma ha inciso negativamente sulle assunzioni («flessibilità in ingresso», il 58%) e sui licenziamenti, rendendoli anche più costosi nel 46%.
Su questo ci sono anche i dati del sistema della comunicazioni obbligatorie approntato dal ministero del lavoro. A settembre 2012 i licenziamenti sono stati 640 mila, con un aumento dell'11% rispetto all'anno precedente. Ogni giorno hanno perso il lavoro 1641 persone, il peggior risultato degli ultimi nove anni.
Cercasi vocazione all'impresa
La ricerca Isfol «Lavoratori autonomi: identità e percorsi formativi» rappresenta un temibile ritorno alla realtà per il governo Monti. Tra il 2007 e il 2012, 330 mila autonomi hanno perso il lavoro. I più colpiti sono stati gli imprenditori: l'87,4% dichiara che il mercato è peggiorato negli ultimi tre anni. È «venuta meno la vocazione a fare impresa» commentano i ricercatori. Un dato che contrasta, ma solo apparentemente, con l'esplosione delle partite Iva. Per la Cgia di Mestre nel 2012 ne sono state aperte 549 mila, il 38,5% sono intestate agli under 35. La crescita è avvenuta a Sud, nel commercio, nelle professioni e nelle costruzioni. Per la maggioranza sono partite Iva monocommittenti, cioè svolgono un lavoro dipendente mascherato. Il monitoraggio su questo fenomeno partirà solo nel 2014, come si legge nella circolare Inail del 20 marzo 2013 vanificando l'impatto della riforma. Oggi sono in molti a sospettare che questo sia un altro colpo ad una riforma mai nata.

Fonte: Il Manifesto
3 aprile 2013

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