Tra i più deboli, dove l’emergenza è più forte!


Atlante delle Guerre


“L’impatto del Covid19 può essere fortemente aggravato dalle condizioni sociali, economiche e ambientali di chi vive senza un tetto, in baraccopoli, campi rom, carceri. In Italia è il caso di Foggia o Roma. All’estero un esempio sono i rifugiati ammassati sul confine turco-greco”. La testimonianza di un medico di Intersos. In prima linea


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clinica-mobile

“L’emergenza è più forte tra le fasce deboli, ad esempio nelle baraccopoli con poca acqua e spazi abitativi ridotti ai minimi. E’ la situazione di Roma o Foggia, dove stiamo operando”. Alessandro Verona (nella foto sotto) non impiega molto a spiegare i pericoli che il Coronavirus porta con sé, anche in casa nostra. E’ il referente medico dell’Unità Migrazione in Italia di Intersos. In questi giorni è in prima linea, come tutta la sanità mondiale. Quello delle categorie sociali particolarmente vulnerabili al virus, è un “problema già molto grande e potrebbe diventare enorme”.

Lei vuole dire che Covid19 è un rischio maggiore per le persone più fragili, in Italia come all’estero…
Esatto, l’impatto di un epidemia come quella di Covid19 può essere fortemente aggravato in negativo dalle condizioni sociali, economiche e ambientali nelle quali vivono le persone colpite. In Italia i più fragili sono gli abitanti di baraccopoli, campi rom, senza tetto, carcerati. All’estero, lo sono ad esempio i rifugiati ammassati sul confine turco-greco, dove sta avvenendo un abominio, vivono in condizioni di ammassamento, scarsissimo se non assente accesso ai servizi igienico-sanitari e spesso in già precarie condizioni di salute. E’ chiaro che per loro Covid19 rappresenta un rischio ulteriore. L’Europa e i nostri governi nazionali però stanno completamente ignorando le sorti di queste persone che fuggono da situazioni disperate per salvarsi la vita, lo facevano prima e lo fanno soprattutto ora, con un’emergenza in casa, come quella dell’epidemia di Covid19.

Come sta impattando Covid19 sulle attività di assistenza sanitaria di Intersos in Italia?Intersos è attiva a Roma e nella Provincia di Foggia. Nella capitale siamo presenti con un ambulatorio, che siamo stati costretti a chiudere, per buon senso e norme derivanti dal Decreto Legge del Governo. Nel foggiano abbiamo invece adattato il nostro servizio di medicina di prossimità alla situazione corrente, agendo sotto il coordinamento operativo delle autorità sanitarie locali e della Regione Puglia. A Roma ci stiamo organizzando e ritorneremo operativi a breve. A Foggia invece stiamo già sul campo, abbiamo firmato un Protocollo d’Intesa con l’amministrazione competente locale e ci muoviamo con autorizzazioni ufficiali. A breve (rispetto a quando parliamo) sarò operativo.

Dove si trova lei, ora? Cosa sta facendo Intersos per fare fronte alla crisi? Io sono appunto nel foggiano, dove con un “team mobile” di 5 operatori per volta – due medici, due mediatori culturali e un assistente socio-sanitario – svolgiamo azioni di due tipi principali. Da una parte di prevenzione primaria, illustrando norme igienico-sanitarie e sociali da tenere in situazioni come quella attuale; dall’altra di diagnosi precoce, orientando i casi con sintomatologia sospetta verso le giuste modalità di accertamento ed eventuale cura. Agiamo nei cosiddetti “ghetti”, dove stimiamo vivano circa 2500 persone, per lo più lavoratori agricoli sfruttati. L’area che copriamo con le nostre operazioni ha un raggio di 60 km da Foggia, dove vi sono 8 insediamenti informali.

I casi in Puglia sono ancora molto pochi: qual è la situazione attuale, in base alla vostra percezione? L’epidemia sta seguendo un gradiente socio-economico abbastanza chiaro, è partita nella “prima classe”, poi è arrivata nella fascia media ed ora potrebbe arrivare in quella più bassa, quella più fragile. Gli insediamenti informali sono sostanzialmente baraccopoli, insediamenti composti da edifici improvvisati, costruiti con materiale di riciclo o ad esempio ricavati all’interno di vecchie fabbriche. Il rischio è che a causa dell’elevata densità abitativa, dello scarso se non assente, accesso all’acqua corrente e potabile, e quindi agli scarsi servizi igienico-sanitari, un problema già molto grande, possa diventare enorme”.


Intervento ambulatoriale eseguito in una clinica mobile.

Qual è quindi la difficoltà maggiore, la comunicazione? A dir la verità no, non è informare e spiegare, quanto invece rendere operative le istruzioni fornite dalle istituzioni e da noi ribadite. Immagini 4 o 5 persone che vivono in uno spazio di pochi metri quadrati e che non hanno altro luogo nel quale andare, così come mancano dell’accesso ad acqua corrente. Si può spiegare di lavarsi spesso le mani, ma l’acqua la prelevano sempre dalle medesime cisterne e taniche. Si può raccomandare di stare ad un metro l’uno dall’altro, ma le case sono di pochi metri quadrati e da qualche parte dovranno pur dormire. In queste aree, del cui delle cui criticità abbiamo chiesto già alle Autorità locali e nazionali di occuparsi, il problema è soprattutto operativo: di applicabilità delle raccomandazioni e istruzioni fornite quindi. Le persone non accedono ai servizi e la densità abitativa è elevata.

Come pensate sia importante agire?
Innanzitutto che Roma e Foggia siano dei nervi scoperti lo denunciamo da sempre, tanto che in queste aree abbiamo dei progetti socio sanitari ormai strutturati, a Roma dal 2016, a Foggia dal 2018. E’ chiaro poi che il problema è legato più alla situazione abitativa e sociale delle persone a rischio. Servirebbe fornire loro un luogo migliore in cui vivere. Per il problema Covid19 ci aspettiamo un picco epidemico di contagi e casi verso la fine di marzo e l’inizio di aprile. Sino ad ora non abbiamo riscontrato casi nelle aree nelle quali operiamo nel foggiano e sappiamo che sono così marginalizzate, che il vero fattore di rischio potremmo essere noi, che siamo più esposti alla possibilità del contagio. Siamo i primi a prendere precauzioni, quindi. Vi sono altri due problemi. Da una parte la fragilità di salute della popolazione. Il 6% circa in questa stagione presenta delle patologie croniche ed è quindi a rischio. E’ inoltre importante non sottovalutare Covid19 anche per coloro che non sono anziani. Nelle terapie intensive italiane, infatti, vengono ricoverati anche ventenni e trentenni o comunque i più giovani, che sono la maggior parte della popolazione nelle aree delle quali le sto parlando. Dall’altra il virus potrebbe mutare e variando potrebbe diventare più trasmissibile e più letale.

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