Pensieri di pace sotto le bombe
Enzo Scandurra
UCRAINA E NON SOLO. Pensieri di autori che hanno saputo ben rappresentare la barbarie della guerra e la speranza di un cambiamento
Non trovando più parole adeguate per esprimere l’impotenza, lo sdegno e la sofferenza causati da questa follia collettiva chiamata guerra (non solo quella in Occidente, ma tutte le guerre), sono andato a rileggere pensieri dolci e leggeri di autori che hanno saputo ben rappresentare questa barbarie e la speranza di un cambiamento. Con la convinzione che anche le utopie, talvolta, modificano il corso della storia. L’ho fatto premettendo un brevissimo mio racconto suggerito da queste letture, dove mi sono immedesimato nelle figure di un aviatore e di un soldato che osserva da terra il proprio nemico, che lo ucciderà.
Volo su un aereo alla velocità superiore a quella del suono. Della terra che sorvolo non vedo nulla, ma il mio aereo è programmato per raggiungere l’Obiettivo di cui non so nulla. So che l’aereo mi ci condurrà in pochi minuti, poi l’Obiettivo apparirà nel mirino. Allora premerò il pulsante rosso, distruggendolo.
Il soldato alza gli occhi verso il cielo, vede avvicinarsi un oggetto scintillante, si chiede quale zona bombarderà quell’aereo. Vede l’aereo ma non lo sente, ma ha imparato a riconoscerlo, porta con sé la morte. Sono quasi arrivato, il mirino ha inquadrato l’Obiettivo. Da terra partono frecce lucenti: è la contraerea; se mi colpisce tutto è perduto: il mio lavoro di insegnante, la mia famiglia, i miei bambini. Mi prende una strana euforia, forse ce la faccio; ora il mirino è fisso sull’Obiettivo.
Eccolo, sussurra il soldato, è sopra di me, inutile tentare di scappare, devo solo sperare che l’Obiettivo sia lontano da me, non posso farci nulla. Una manciata di secondi e l’aereo sarà sopra il bersaglio, il soldato ha paura: aspetta e trema nell’attesa. Ci sono! Fremo di emozione mentre poggio il mio pollice sul bottone rosso.
Ora lo premo: un breve scossone dell’aereo avverte che il missile è partito. Colpisce l’Obiettivo quasi nello stesso istante in cui premo il pulsante. Nel mirino ora c’è l’immagine di uno scoppio, una nuvola di fumo avverte che è stato centrato.
Il soldato a terra vede un lampo che si sprigiona dall’aereo; una manciata di secondi per ripassare tutta la propria vita, vede la morte qualche istante prima che essa arrivi. I suoi commilitoni sono nel capannone che era l’Obiettivo dell’aviatore. Non può avvertirli, moriranno, come lui, senza sapere perché.
Ottant’anni prima.
«È caduta una bomba. I vetri delle finestre vibrano. Le contraeree hanno reagito nel prossimo futuro non ci saranno armi, esercito, marina o aviazione e nessun giovane sarà più addestrato per andare in guerra. Il che stuzzica un altro calabrone nel vespaio della mente, ed ecco l’ennesimo ronzio: « più d’ogni cosa desideravo combattere contro il nemico, ottenere onore e gloria eterni eliminando nemici che fossero stranieri in tutto e per tutto e rimpatriare con medaglie e decorazioni. A questo scopo fino ad oggi, avevo dedicatola vita, lo studio, la preparazione del corpo, tutto…..Non appena la paura è passata, la mente si rilassa per istinto, torna in sé cercando di creare qualcosa. Ritornano in mente le voci degli amici, e stralci di poesie. Ciascuno di questi pensieri è ben più positivo, rigenerante e creativo della stupida trepidazione provocata dall’odio e dalla paura. Perciò per compensare il giovane soldato della rinuncia alla gloria che avrebbe potuto ottenere con l’uso delle armi, dovremmo senz’altro offrirgli la via delle emozioni creative. È nostro dovere creare la felicità, liberarlo dalla mitragliatrice, dalla sua prigione e farlo uscire all’aria aperta» (Virginia Woolf, Pensare la pace durante un raid aereo).
E, ancora. «Nell’ottobre del 1940, di ritorno dall’Africa del nord, essendo la mia vettura (leggi aereo) parcheggiata esangue, in qualche polverosa rimessa, ho scoperto la carretta e il cavallo. E, con essa, l’erba delle strade di campagna. Le pecore e gli ulivi. Ho scoperto che gli ulivi avevano un’altra funzione che di cadenzare il tempo dietro i vetri del finestrino a centotrenta chilometri l’ora. Essi si mostravano nel vero ritmo, che è di fabbricare lentamente le olive. Le pecore non avevano più come fine esclusivo di fornire dati per le rivelazioni statistiche. Ridiventavano vive. Facevano del vero sterco e producevano della vera lana. E anche l’erba aveva un senso, perché la brucavano. E io mi sono sentito rivivere nel solo angolo del mondo dove la polvere è profumata. E m’è parso d’essere stato, in tutto il resto, della mia vita, un imbecille». (Antoine de Saint-Exupéry, Lettera al Generale X, in, «Dare senso alla vita», Macond libri, 2015).
Enzo Scandurra
Il manifesto
28 maggio 2022