Pechino allenta la censura sbloccati diversi siti internet
Federico Rampini
Dopo le proteste dei giorni scorsi un’importante apertura. Ma altri segnali vanno nella direzione opposta.
PECHINO – Dal mio ufficio di Pechino oggi posso accedere al sito Internet di Amnesty International. E' un'esperienza che dà quasi le vertigini, un tuffo nella libertà a cui non ero abituato da quando vivo qui. Non era mai accaduto da anni. E' una concessione importante, quasi clamorosa per la censura del regime. E' accaduto grazie alle Olimpiadi, e alla costante pressione dell'opinione pubblica internazionale. Le proteste degli ultimi giorni sono servite a qualcosa. Non è stato inutile mettere sotto accusa il Comitato olimpico e il governo della Repubblica Popolare per il mancato rispetto degli impegni presi sulla libertà di informazione durante le Olimpiadi. Alla fine il governo ha fatto un gesto significativo, liberando l'accesso a molti siti Internet che erano stati sempre oscurati dalla censura: comprese le versioni cinesi della Bbc e di Wikipedia. La novità di oggi dà ragione a coloro che pensano che questi Giochi avranno alla fine un effetto benefico sulla situazione dei diritti umani in Cina. E' presto però per cantare vittoria. Altri segnali infatti indicano che il regime non è disposto ad accettare "lezioni" dall'Occidente.
"Esprimiamo il nostro forte disappunto e una ferma condanna di questa risoluzione, che vincola tra loro temi senza alcun nesso come i diritti umani, la libertà religiosa, il problema del Darfur e della Birmania, insieme con le Olimpiadi di Pechino, e critica il governo cinese senza alcuna ragione". E' questa la dura reazione della Cina alla risoluzione approvata dal Congresso di Washington. Il portavoce ufficiale della Repubblica Popolare ha attribuito quella risoluzione a "un pugno di parlamentari anti-cinesi" e ha aggiunto che questi deputati americani "sono animati dalla malvagia intenzione di politicizzare, sabotare e rovinare i Giochi". E' l'immagine di una Cina che risponde a muso duro contro ogni critica esterna, demonizza come sabotatore chiunque osi sollevare questioni come i diritti umani e il rispetto delle libertà.
A una settimana dall'apertura di questi Giochi molti occidentali si pongono una domanda legittima: perché la Cina si irrigidisce nella sua intransigenza, con effetti così disastrosi sulla sua immagine internazionale? Perché non ha saputo fare finora un gesto distensivo – un ramoscello d'ulivo al Dalai Lama, un'apertura simbolica sui diritti umani – per spezzare lo stato d'assedio in cui si è cacciata agli occhi dell'opinione pubblica mondiale?
Molti stranieri sono pronti a riconoscere che la Repubblica Popolare ha una classe dirigente efficiente in tanti campi: esibisce tassi di crescita economica superiori al 10% annuo dall'inizio del XXI secolo, ha realizzato una fantastica modernizzazione delle sue infrastrutture, ha allargato l'influenza politico-diplomatica di Pechino dall'Asia all'Africa all'America latina. Com'è possibile che la stessa classe dirigente appaia rozza e sprovveduta nel gestire l'immagine del paese presso le opinioni pubbliche occidentali… che coincidono tra l'altro con la maggioranza dei consumatori di prodotti made in China?
La crisi olimpica illumina la contraddizione interna fra lo sviluppo capitalistico, la notevole apertura al resto del mondo, la modernizzazione anche culturale del paese, e la chiusura dei vertici verso le riforme politiche. I Giochi – poiché hanno offerto un'opportunità di azione ai tibetani; e poiché eccitano una straordinaria attenzione critica del resto del mondo – mettono a nudo un limite serio del modello cinese. Proprio in questo 2008 che doveva segnare la sua consacrazione finale, ecco che l'universalità e il fascino "alternativo" della Repubblica popolare (il suo capitalismo illiberale, la modernizzazione autoritaria come garanzia di stabilità) hanno incassato dei colpi duri.
In parte la spiegazione va cercata in un'accelerazione della storia che nessuno poteva prevedere. Nel luglio 2001 quando la Cina ottenne l'assegnazione dei Giochi era ancora una debuttante che si affacciava con molte insicurezze sulla scena dell'economia globale. Puntò sulle Olimpiadi come una grande festa per celebrare il proprio ingresso nella comunità internazionale, farsi conoscere meglio e farsi apprezzare. Nessuno allora poteva prevedere che lo sviluppo economico e lo status politico della Cina avrebbero fatto un balzo così gigantesco in così poco tempo. Quando è arrivata la data stabilita per la festa di presentazione, in realtà tutto era già accaduto troppo in fretta. La Cina è già da molti considerata a tutti gli effetti la seconda superpotenza mondiale dietro gli Stati Uniti. I suoi muscoli – economici, finanziari, militari, diplomatici – sono gonfi come quelli di un sollevatore pesi drogato dagli steroidi. Ma la capacità di apprendimento del ceto politico cinese in materia di comunicazione con le opinioni pubbliche dei paesi occidentali è rimasta molto più indietro.
Fonte: Repubblica.it
1 agosto 2008