Patrick arrestato e torturato
il Manifesto
Il giovane fermato al rientro dall’Italia, dove studia: è accusato di istigazione al golpe. Impegnato per i diritti Lgbtqi, delle donne e dei prigionieri, è detenuto dalla Sicurezza di Stato. Iniziative a Bologna per il rilascio.
Patrick George Zaky, 27 anni, è uno studente iscritto all’università di Bologna. Il 7 febbraio stava rientrando dall’Italia in Egitto per trascorrere una breve vacanza con la famiglia, ma non è mai arrivato a casa. Cristiano copto originario di una provincia del Delta, è stato sequestrato dalla Sicurezza di Stato alle 4 del mattino di venerdì, al suo arrivo all’aeroporto del Cairo.
Dopo una sparizione forzata di circa 24 ore, durante le quali è stato torturato e brevemente trasferito in una struttura degli stessi apparati al Cairo, è riapparso nella procura di Mansoura ovest, la sua città, iscritto nel fascicolo di inchiesta n. 7245. Lì è stato finalmente raggiunto dagli avvocati.
Patrick Zaky è uno studioso e attivista per i diritti umani. È ricercatore per l’ong Egyptian initiative for personal rights (Eipr) e si occupa dei diritti della minoranza cristiana, della comunità Lgbtqi, delle donne e di libertà di espressione. È noto per essersi sempre speso anche per i prigionieri politici meno noti. E ha sempre manifestato pubblicamente il suo sostegno alla campagna di verità e giustizia per Giulio Regeni.
Nel tardo pomeriggio di ieri è stata convalidata la custodia cautelare per 15 giorni e sono stati formalizzati contro di lui pesanti capi d’accusa, gli stessi usati sistematicamente contro i dissidenti. Patrick è attualmente indagato per aver diffuso false notizie che possono disturbare la pace sociale; aver convocato proteste con l’obiettivo di denigrare l’autorità e disturbare pace e sicurezza; aver promosso il rovesciamento del regime; aver promosso terrorismo e violenza.
Secondo le notizie diffuse su Twitter da un suo amico, Amr Abdelwahab, Patrick è stato interrogato illegalmente per 20 ore negli uffici della Sicurezza di Stato egiziana dell’aeroporto, dove «è stato privato dei suoi diritti legali, tra cui quello a un difensore».
Dal verbale di arresto della polizia risulta invece che Patrick sia stato arrestato sabato in casa dei suoi genitori, cancellando così traccia del fermo e dell’interrogatorio. Secondo lo stesso verbale Patrick sarebbe stato arrestato in base a un mandato per accuse risalenti al 2019.
Secondo l’Eipr durante le 24 ore di sequestro, è stato picchiato e sottoposto a elettroshock, minacciato e interrogato su diversi aspetti del suo lavoro e attivismo e molti dei suoi effetti personali sono stati distrutti o trafugati. «Queste ore sono cruciali – ha dichiarato un suo amico al manifesto – Devono capire che trattenerlo causerà loro più problemi che rilasciarlo».
Da settembre 2019 Patrick vive a Bologna, dove è iscritto al master in Studi di Genere e delle donne e dove è conosciuto come persona brillante e appassionata. E proprio all’ateneo bolognese è rivolta una petizione lanciata dai suoi amici affinché faccia pressione sul governo egiziano per l’immediato rilascio dello studente.
Anche un gruppo di docenti si è rivolto all’università per chiedere una presa di posizione. «È indispensabile dare subito un segnale di vigilanza attentissima e di motivata inquietudine, se il caso Regeni ci ha insegnato qualcosa», scrivono i firmatari. Non c’è notizia al momento di iniziative ufficiali dell’Alma Mater, i cui uffici non hanno finora risposto a una nostra richiesta di commenti.
Immediata invece è scattata la solidarietà dei colleghi e le colleghe di master, dell’associazione dottorandi e dottori di ricerca e di Link Coordinamento universitario che in un appello scrivono: «Si tratta dell’ennesimo schiaffo che il nostro paese riceve da un regime disumano e rappresenta un’ulteriore dimostrazione che l’Egitto non ha intenzione di collaborare con l’Italia per fare finalmente chiarezza sulla tragica fine di Giulio; e anzi si accanisce contro chiunque solidarizzi o si avvicini alla storia di Giulio Regeni». Nei prossimi giorni sono previste iniziative in zona universitaria a Bologna per spingere anche l’ateneo a esprimersi pubblicamente sulla vicenda.
L’Eipr denuncia che dall’ottobre 2019 sei membri del suo staff sono stati temporaneamente detenuti e interrogati «nell’ambito di una serie di operazioni di fermo e perquisizione che sembrano colpire chiunque sia considerato politicamente attivo in qualunque modo».
In Egitto ci sono almeno 60mila prigionieri politici, tra questi figure simbolo della rivolta del 2011 come Alaa Abdel Fattah e Mahienour el-Massry o politici di primo piano come l’ex candidato presidenziale Abdel Moneim Aboul Fotouh.
La repressione di recente ha cominciato a colpire anche i familiari degli attivisti in esilio all’estero. Notoriamente, i funzionari dei servizi egiziani sono molto attivi anche in Italia, come denunciato anche pochi giorni fa dai genitori di Giulio Regeni nel corso dell’audizione in commissione parlamentare d’inchiesta.
Il manifesto
9 febbraio 2020
Pino Dragoni