Parità di genere, la svolta a Tunisi
Ilaria D'Ottavi
La Commissione per la realizzazione degli obiettivi rivoluzionari ha adottato la parità delle opportunità tra uomo e donna nella composizione delle liste elettorali, pena la cancellazione della lista.
I gelsomini della Tunisia continuano a far sentire il loro profumo; la Commissione Suprema per la Realizzazione degli obiettivi della Rivoluzione, ha deciso di mantenere la promessa di uguaglianza fatta agli uomini e alle donne che hanno creduto nella possibilità di una rinascita tunisina, di una nuova realtà; una primavera in anticipo, iniziata nelle strade e nelle piazze a metà dicembre del 2010 e che ha portato alla caduta del regime di Ben Alì, in carica da 23 anni, il 14 gennaio scorso.
La Commissione per la realizzazione degli obiettivi rivoluzionari, creata per traghettare il Paese verso l'elezione dell'Assemblea Costituente, prevista per il 24 luglio prossimo, ha preso una decisione senza eguali nel mondo maghrebino; per voce del suo presidente Yadh Ben Achour, ha adottato la parità delle opportunità tra uomo e donna nella composizione delle liste elettorali, con l'obbligo, per i partiti, di avere un identico numero di candidati di ambo i sessi, disposti a cremagliera, pena la cancellazione della lista.
L'emendamento dell'articolo 16 del decreto legge per l'elezione dell'Assemblea Costituente, che fino all'11 aprile scorso, concedeva alle donne solo il 25% dei seggi, oggi rappresenta una grande opportunità per il mondo femminile che si ritrova automaticamente ad avere identica rappresentatività di quella riservata agli uomini. Ma malgrado una maggioranza di voti a favore, quasi l'unanimità dei votanti, non stentano ad arrivare le critiche e le prime preoccupazioni.
Dei 155 membri che hanno varato il nuovo codice elettorale c'erano partiti molto eterogenei e diversi tra loro: dagli islamisti di al-Nahda (Rinascimento), passando per il Partito Comunista degli operai; sintomo di uno slancio democratico di rara forma nel mondo arabo. Un evento plaudito dalla società civile e dalle associazioni femminili come il Gruppo di Sostegno alla Parità, di cui è coordinatrice Faiza Zouaoui Skrandani, che ha pubblicato sulla sua pagina di Facebook il Manifesto della Parità.
Curiosamente, l'unico voto contrario della Commissione per la Realizzazione degli obiettivi della Rivoluzione) è arrivato da una donna, l'economista Zuhur Kurda, secondo la quale molte delle candidate “imposte” per legge finiranno per ricoprire un ruolo puramente “decorativo”, insistendo anche sulle remore per i piccoli partiti che si troverebbero svantaggiati perché hanno poche donne candidabili.
“Una decisione storica” tuona Sophie Bessis, segretaria generale della Federazione Internazionale dei Diritti dell'Uomo; “le donne”, ha aggiunto “hanno partecipato alla rivoluzione su un piano di uguaglianza ed è, dunque, giusto che contribuiscano a forgiare l'avvenire politico della Tunisia”. Un gelido silenzio, invece, arriva dagli altri paesi arabi. La Tunisia, insieme al Libano, è da sempre stato il paese più lungimirante della regione in campo di parità tra sessi.
Nel 1957 con il Code du statut personnel, promulgato dopo l'indipendenza della Tunisia dal vecchio presidente Habib Bourguiba, le donne hanno avuto accesso ad uno status assolutamente inusuale per il mondo arabo. Il Codice dello statuto personale aboliva la poligamia, sostituiva il divorzio al ripudio, rendeva il matrimonio legale solo con il consenso di entrambi gli sposi e legalizzava l'aborto; una concessione, quest'ultima, che, all'epoca, superava perfino le liberà di cui godevano le donne francesi.
Una normativa che però, bucò un aspetto fondamentale per l'emancipazione delle donne e che permetterebbe davvero l'indipendenza femminile: la questione ereditaria. Ancora oggi le ragazze, ad esempio, ereditano la metà di quanto spetta ai ragazzi e come dice Neila Jrad, insegnante e membro del partito progressista Ettajdid e dell'Associazione Tunisina delle Donne per la Ricerca e lo Sviluppo: “oggi, abbiamo visto la cacciata del dittatore, ma continua a non esserci l'uguaglianza nel diritto all'eredità, in questo le donne tunisine sono ancora prigioniere del diritto musulmano, per quanto più avanzato di quello vigente in altri paesi, anche da noi non c'è separazione tra il codice di legge e i principi fondamentali dell'islam. Ma noi donne che ci battiamo per la democrazia pensiamo che se non si andrà avanti si andrà indietro: vogliamo l'uguaglianza totale”.
Ma intanto l'indipendenza e la parità per le tunisine nella scena politica non sembra essere approvata da tutti. Per molti la nuova legge che concederebbe il 50% dei seggi alle donne è considerata troppo avanzata rispetto alla mentalità tunisina.
Tra quelli che la pensano così c'è anche il Primo ministro Essebsi, che ha proposto di abbassare da 50 al 30% la soglia della legge; una richiesta considerata da molti(e soprattutto da Molte) inaccettabile.
Probabilmente in molte regioni tunisine alcune liste, se verrà mantenuta la parità uomo-donna per i candidati, rischieranno di essere annullate a causa di un numero insufficiente di donne.
Intanto l'unica certezza che sembra rimanere intoccabile è l'esclusione del personale politico che faceva parte del governo di Ben Alì e i responsabili del suo partito.
L'ultima parola sarà lasciata al Consiglio dei Ministri che si riunirà per discutere della proposta venerdì 22 Aprile prossimo.
Fonte: www.lettera22.it
21 Aprile 2011