Palestinesi: ritorniamo alle nostre case
Roberto Prinzi - Nena News
Continua la battaglia dei palestinesi dei villaggi di Iqrith e Bir’am in Israele. Una dinamicità dal basso che contrasta con l’immobilismo dei vertici.
Alcune centinaia di palestinesi d'Israele dei villaggi di Bir'am e Iqrith hanno manifestato ieri davanti alla Knesset, il Parlamento israeliano, chiedendo di poter tornare alle loro case da cui sono stati cacciati nel novembre 1948 dall'appena nato Stato d'Israele.
Oltre allo scontato sostegno dei partiti arabi la loro protesta ha incassato anche la solidarietà dei parlamentari israeliani Moshe Mizrahi e 'Amram Matznea del partito laburista che hanno deciso di incontrare i manifestanti ed hanno espresso il loro pieno sostegno alla lotta. Lotta che non sembra destinata a concludersi con il presidio partecipato di ieri. "La sensazione è che i leader dello Stato passati e presenti abbiano creduto che coloro che sono stati sradicati dalla loro terra e i loro figli avrebbero dimenticato, ma hanno sbagliato", ha detto al quotidiano Ha'aretz Saher, abitante di Bir'am. "Noi difendiamo con tenacia il nostro diritto a ritornare e non ci rinunceremo – ha sottolineato – perché io e molti altri giovani riteniamo questa causa una missione santa e non ci fermeremo fino a quando non faremo ritorno".
A confermare la determinazione di Saher sono il progetto elaborato ad Iqrith che permetterà di definire il villaggio un insediamento collettivo e le tante proposte "concrete" pronte per essere presentate al governo. Na'omi Ashker, presidente dell'associazione Comunità di Iqrith, punta il dito contro l'impasse delle politiche dei governi israeliani: "Da più di sessant'anni conduciamo una lotta pubblica che mira ad applicare le decisioni della Corte Suprema israeliana così che venga realizzato il nostro legittimo diritto a costruire le nostre case sulla nostra terra. La Corte Suprema ha decretato che l'evacuazione dei villaggi non è legale, i leader dello Stato hanno promesso alle loro generazioni di riparare il torto storico che ci è stato causato, la Commissione dei ministri ha stabilito che non ci sono motivi di sicurezza che vietino il ritorno dei cittadini di Iqrith e Bir'am alle loro terre, i parlamentari e personalità pubbliche di tutto l'arco politico hanno sostenuto in passato e sostengono oggi la giusta lotta che portiamo avanti, ma, purtroppo, continuano ad ignorarci. Siamo cittadini di pari diritti e giustizia deve essere fatta. Da 65 anni ci ignorano. Oggi diciamo: non più".
Lotta per il diritto al ritorno
Ma la lotta degli abitanti di Iqrith e Bil'am ha due grossi significati. Il primo è che, sebbene la battaglia popolare dei palestinesi d'Israele (o "palestinesi dell'interno") sia trascurata ed ignorata in Occidente, è quanto mai viva e non differisce affatto da quella più celebrata resistenza in Cisgiordania e a Gaza. La scorsa estate il movimento dal basso palestinese, incentrato sul diritto al ritorno, ha riscosso un notevole successo. In Galilea numerose attività politiche hanno riaffermato la connessione delle più giovani generazioni dei rifugiati interni palestinesi ai loro villaggi natii. I workshop e le iniziative organizzate miravano a ribadire la necessità di potersi riappropriare della propria terra e a ricostruire i propri villaggi distrutti da Israele.
Il secondo elemento significativo è la centralità del diritto al ritorno, la questione più sentita da tutti i palestinesi qualunque sia la loro collocazione geografica. Tornare alla proprio terra diventata quasi interamente Israele con la Nakba (la "catastrofe") che vide la distruzione operata dalle truppe sioniste di più di 530 villaggi arabi e l'espulsione (forzata e solo in minima parte "volontaria") di oltre 750.000 palestinesi. Di questi la maggior parte divenne rifugiata negli Stati arabi limitrofi o in quelle parti di Palestina che rimasero fino al 1967 (cioè fino alla "ricaduta" della Naksa) fuori dal controllo israeliano (Cisgiordania e la Striscia di Gaza).
Solo un numero di palestinesi – tra i 30.000 e i 40.000 – riuscì a rimanere dentro il neonato Stato d'Israele. Ma anche per loro il destino non fu meno tragico: dovettero, infatti, trovare una nuova sistemazione in quei villaggi che non erano stati soggetti alla pulizia etnica che aveva invece riguardato le altre comunità palestinesi. Il tentativo di ritornare alla propria terra da parte degli espulsi palestinesi fu immediato, ma la reazione d'Israele brutale. Chi provò a varcare i confini del nuovo Stato veniva colpito a vista dall'esercito di Tel Aviv e i "fortunati" che riuscirono ad entrare venivano spesso scoperti e deportati come "infiltrati".
Ad aggravare la situazione fu la Legge sulla Proprietà degli Assenti che permise a Tel Aviv di confiscare le terre dei palestinesi che essa stessa aveva reso rifugiati interni. Tra il 1948 e il 1955 la maggioranza di questi villaggi fu distrutta dall'esercito israeliano e ciò che ne rimaneva fu coperto da foreste di pini o da insediamenti ebraici. I toponimi arabi furono sostituiti da quelli ebraici. Il nuovo Stato aveva bisogno di cancellare tutte le tracce arabe dell'altro per potersi legittimare, per poter affermare con più forza il diritto al "Eretz Yisrael" e poterla dominare più agevolmente. Si ritenne che la riduzione dei villaggi palestinesi in ruderi potesse indebolire la memoria dell'altro, di chi quella terra l'abitava da secoli.
Tel Aviv credeva (seguendo infausti esempi della storia) che la cancellazione della memoria avrebbe infiacchito la lotta di resistenza delle nuove generazioni di palestinesi che, privati delle radici e depoliticizzati, sarebbero stati facilmente domati. Ma sbagliò perché la storia ad Iqrith i giovani la conoscono bene. Siamo nel 1948, lo Stato d'Israele ha da poco visto luce e già le prime operazioni di pulizia etniche pianificate dalla dirigenza sionista hanno preso piede. Tra i villaggi coinvolti c'è quello di Iqrith i cui abitanti vengono cacciati per due settimane per "motivi di sicurezza".
Contrariamente a quanto aveva stabilito Tel Aviv però, tre anni dopo la Corte Suprema israeliana decide di approvare il ritorno della popolazione locale per il giorno di Natale. Un giorno particolarmente importante per una popolazione costituita per lo più da cristiani. Ma quel giorno del 1951 non ci fu niente da festeggiare: nonostante il parere contrario della Corte Suprema, carri armati israeliani entrarono nel villaggio e lo rasero al suolo.
Kufr Bir'im, villaggio situato a pochi chilometri dal confine di Israele con il Libano (non lontano da Iqrith) condivide la stessa triste storia. La lotta degli abitanti di Iqrith e Bir'im per ritornare alla loro terra è emblematica dell'attaccamento palestinese alla proprio terra, della loro sete di giustizia, del loro prepotente desiderio di poter vivere con dignità. Il presidio di ieri delle centinaia di palestinesi è solo l'ultima iniziativa messa in atto dagli abitanti dei due villaggi evacuati da Israele.
I giovani attivisti di Iqrith dormono da tempo in due piccole stanze costruite nei pressi della chiesa (l'unica testimonianza di quel che fu) e si danno il turno per mantenere una presenza fissa sul territorio. Quest'estate un piccolo stadio di calcio è stato costruito e campi estivi hanno luogo dal 1996. Le ultime iniziative di due mesi fa rientravano nella campagna "Estate del Ritorno" che ha riscosso un notevole successo di partecipanti. Ad agosto 200 giovani di età compresa tra gli 8 e i 16 anni hanno preso parte ai gruppi di lavoro promossi per ricordare/insegnare alle giovani generazioni la propria storia e identità. Arduo compito se si considera che Israele prova a cancellare nei suoi curricula scolastici qualunque traccia non ebraica come recenti decreti legge e studi di accademici israeliani hanno dimostrato. Manifestazioni simili si sono registrate a Kufr Bir'im dove anche qui si è voluto mantenere una presenza fissa nel villaggio.
Le difficoltà non sono mancate. Iqrith è stata più volte soggetta alle ispezioni dell'Autorità delle terre israeliane e massiccio è stato lo schieramento dei poliziotti. Nonostante la repressione delle autorità israeliane, gli abitanti di Iqrith hanno resistito e sono riusciti a diffondere il loro modello di lotta ad altre realtà dimenticate come Saffuriyya, Miar, Maalul, Lajjun. Ma la lotta di Iqrith e Bil'am, insieme a quella dei villaggi "fratelli" di Bil'in, Kafr Kaddum, Nabi Saleh e tanti altri ancora nella Cisgiordania occupata, mostra con tutta evidenza la profonda divisione che investe i palestinesi. Una divisione che non riguarda solo Fatah e Hamas (sebbene l'attenzione di molti analisti e studiosi si concentri solo su questo aspetto) ma che tocca il rapporto stesso tra il governato e chi governa. É quel sempre più visibile scollamento tra la popolazione palestinese e le istituzioni, tra chi l'Occupazione e la violenza di Tel Aviv la paga ogni giorno e chi di queste politiche ne trae arricchimento e ne perpetua pertanto l'azione. Resta solo da capire quando la bomba sociale dal basso esploderà tutto il suo malcontento contro chi ha solo per nascita il diritto ad essere chiamato palestinese.
Fonte: Nena News
15 ottobre 2013