Palestinesi di Gaza presi di mira in Egitto
Michele Giorgio - Near Neast News Agency
Mentre l’Esercito egiziano continua la sua offensiva nel Sinai, i palestinesi di Gaza sono vittime di una assurda caccia alle streghe e soggetti a restrizioni e detenzioni.
L’Esercito egiziano ha lanciato un’offensiva massiccia nel Sinai contro le formazioni jihadiste armate. Non è la prima volta che accade. Stavolta però ha a disposizone un maggiore apporto di mezzi corazzati e di aviazione leggera, grazie al via libera ottenuto da Israele che, sulla base degli Accordi di Camp David, deve dare il suo assenso ai movimenti di armi pesanti egiziane nel Sinai.
Dopo gli attacchi compiuti dai miliziani islamici nel weekend a El Arish – in risposta al golpe militare al Cairo – in cui sono rimasti uccisi sette fra poliziotti e soldati e un sacerdore copto, nella notte tra sabato e domenica è stato fatto saltare il gasdotto che collega l’Egitto alla Giordania. Qualche ora dopo un commando armato ha attaccato quattro postazioni militari a Sheikh Zuweid, a ridosso della frontiera con Israele e la Striscia di Gaza. Una rivendicazione indiretta è giunta dal Majlis Shura al Mujahidin, il gruppo armato salafita ad aprile rivendicò il lancio di razzi sul porto israeliano di Eilat.
Di pari passo all’offensiva militare, si aggrava la condizione dei palestinesi di Gaza messi sotto pressione dalle autorità egiziane. La chiusura del valico di Rafah sta bloccando, soprattutto in uscita dalla Striscia, migliaia di persone mentre alcuni giornali egiziani alimentano una caccia alla streghe senza senso. Della spaccatura tra pro e anti Morsi in Egitto, rischiano di fare le spese anche i palestinesi di Gaza (e non solo), associati senza distinzioni al movimento dei Fratelli Musulmani. Dagli attivisti e dirigenti di Hamas all’ammalato bisognoso di cure urgenti, dall’islamista fanatico fino allo studente laico che aveva sostenuto la rivoluzione del 25 gennaio 2011. Tutti sullo stesso piano, tutti potenzialmente pericolosi, tutti fiancheggiatori dei jihadisti che l’Esercito sta affrontando nel Sinai. Notizie di stampa prive di fondamento danno i palestinesi schierati, anche in armi, tutti dalla parte dei Fratelli musulmani contro i manifestanti di Piazza Tahrir.
L’ufficio del Procuratore di Qars al Nil (Cairo), sostiene che indagini in corso rivelano che il movimento islamista egiziano starebbe reclutando siriani e palestinesi per combattere in armi contro le forze di sicurezza e gli oppositori di Morsi. Un presunto siriano, Mohamed Hassan al-Berdkany, arrestato durante i recenti scontri al Maspero, avrebbe riferito che i capi della comunità palestinese pagherebbero fino a 500 lire egiziane (poco più di 50 euro) a coloro che accettano di prendere parte ad azioni armate. Sedicenti membri di Hamas sarebbero stati arrestati al Cairo in possesso di armi. Notizie che non possono essere verificare con fonti indipendenti ma che contribuiscono ad aggravare il clima di sospetto verso i palestinesi che cresce in quella parte di popolazione egiziana schierata contro i Fratelli Musulmani.
A dare il segno della gravità della situazione è stato ieri un comunicato di allarme lanciato dal Centro palestinese per i Diritti Umani che denuncia la detenzione di fatto per decine di palestinesi all’aeroporto internazionale del Cairo. Persone che nella maggior parte dei casi sono arrivate dall’estero allo scopo rientrare a Gaza per l’inizio del Ramadan. In pochi giorni si è passati dall’amicizia di Morsi nei confronti di Gaza – frutto dell’alleanza dei Fratelli Musulmani con Hamas – al sospetto e alle restrizioni.
I motivi sono politici e a pagare il conto sono civili palestinesi incolpevoli. Senza dimenticare che l’Esercito egiziano, per «bloccare i movimenti dei jihadisti», sta intensificando la distruzione dei tunnel sotterranei tra il Sinai e Gaza, il polmone dell’ approvviggionamento di merci e carburante alla Striscia. E gli effetti già si sentono. A Gaza stanno per esaurirsi le scorte di benzina e gasolio. Non bastano i rifornimenti che arrivano da Israele, peraltro a un costo doppio rispetto a quelli dall’Egitto.
Tutto lascia prevedere un ulteriore sviluppo della campagna militare nel Sinai, con un appesantimento delle restrizioni nei confronti di Gaza. Secondo il quotidiano Gomhoriye, l’Esercito intende intensificare l’offensiva nel quadro di un piano pronto da tempo (approvato da Israele) che Morsi invece aveva congelato. L’obiettivo è evitare che gli attentati possano colpire anche la zona del Canale di Suez, una delle poche bombole d’ossigeno dell’Egitto alle prese con una devastante crisi finanziaria. La Banca Centrale riferisce con forte allarme che le riserve di valuta pregiata rappresentano meno di tre mesi di import e solo la metà sono in contanti. Secondo la banca d’affari Merryl Lynch, l’Egitto ha sei mesi di autonomia dopo i quali non riuscirà a pagare i debiti e i fornitori. Nasce anche da questo l’offensiva per strappare il Sinai ai jihadisti.
Fonte: Nena News
9 luglio 2013