Palestina, quel leader moribondo che grida alla pace
Michele Giorgio, Il Manifesto
Si può parlare davvero di “svolta di pace” in Medio Oriente? La pace “più vicina che mai” annunciata da Ehud Olmert a Parigi ha trovato poco spazio sui quotidiani dello Stato ebraico. Come stanno realmente le cose tra israeliani e palestinesi?
Strillando ieri in prima pagina sulla “svolta di pace” in Medio Oriente, alcuni dei principali quotidiani italiani hanno perduto un’altra occasione per aiutare i loro lettori a comprendere come stanno realmente le cose tra israeliani e palestinesi.
La pace “più vicina che mai” annunciata da Ehud Olmert a Parigi ha trovato poco spazio sui quotidiani dello Stato ebraico che conoscono bene l’andamento delle trattative con i palestinesi e sono consapevoli che il premier sta disperatamente cercando di salvare con la politica estera la sua carriera destinata a finire presto per gli scandali in cui è coinvolto. Di quale accordo imminente parla Olmert mentre i suoi bulldozer spianano le terre palestinesi sulle quali sorgeranno altre migliaia di case per i coloni e dove si allungherà ulteriormente il muro di separazione?
Proprio ieri la presidenza francese dell’Unione Europea ha emesso un comunicato ufficiale nel quale si è detta “profondamente preoccupata” per l’espandersi della colonizzazione ebraica, in particolare a Gerusalemme est. Ed Ehud Olmert, ha scritto ieri sullo Yedioth Ahronoth, Nahum Barnea, “è già un ex”. La sua carriera è finita.
I suoi colleghi in politica lo sanno, i leader stranieri che ha incontrato a Parigi lo sanno e così pure i legali e gli ufficiali di polizia che stanno conducendo le inchieste nei suoi confronti”. Un premier così debole, vicino all’uscita di scena, potrà mai prendere le decisioni necessarie per arrivare a un accordo con i palestinesi, si chiedeva ieri Herb Keinon sul Jerusalem Post.
A non vedere tutto ciò è proprio Abu Mazen. Malato della stessa debolezza di Olmert, il presidente palestinese a Parigi ha abbracciato la tesi di Olmert di una pace “davvero vicina”. A meno che Abu Mazen, pur di salvare la pelle sua e quella del “partner di pace” Olmert, non abbia deciso di muovere un passo verso l’accettazione di un accordo non definitivo ma provvisorio con Israele.
Una soluzione che pure ha continuato a respingere sin dal giorno dell’incontro di Annapolis (novembre 2007). Un altro accordo temporaneo, simile a quello di Oslo del ’93, che prevedeva un “percorso a tappe” verso l’indipendenza, di fatto gestito da Israele, sarebbe una catastrofe per i palestinesi. Darebbe agli occupanti il tempo di proseguire la colonizzazione e completare quei cantoni palestinesi che stanno emergendo in Cisgiordania.
Finirebbe per dare il via libera al progetto che vuole la nascita di un’entità palestinese prima di tutto in Cisgiordania, lasciando Gaza nell’isolamento perché controllata da Hamas.
Un pericolo che è stato avvertito perfino dall’accomodante premier Salam Fayyad che ha esortato, senza successo, il movimento islamico ad accettare una riunificazione immediata di Cisgiordania e Gaza.
Fonte: il Manifesto
15 luglio 2008