Palestina-Israele: fumata nera
Michele Giorgio - Near Neast News Agency
Il segretario di Stato Kerry fallisce ancora: l’OLP pretende la ripresa del negoziato sulle basi dei confini del 1967. Netanyahu risponde con altre colonie nei Territori.
John Kerry tornerà oggi negli Stati Uniti dopo aver nuovamente fallito rilancio delle trattative dirette israelo-palestinesi ferme da tre anni. Prima di decollare da Amman alla volta di Washington il Segretario di Stato avrà un ultimo incontro con i suoi interlocutori ma a meno di sorprese clamorose l’annuncio della ripresa dei colloqui bilaterali non arriverà neanche questa volta.
Siamo di fronte a nuova fumata nera dopo l’eccessivo l’ottimismo di ieri quando sembrava che fosse stata trovata un’intesa sul ritorno alle frontiere precedenti alla Guerra del 1967 come base per il negoziato, punto sul quale battono i palestinesi, in cambio di un riferimento esplicito nella dichiarazione di principi all'”identità ebraica” di Israele. Il premier Benyamin Netanyahu però ha smentito di aver accettato la ripresa delle trattative sulla base delle «linee del 1967». E poco dopo i dirigenti di Fatah – il partito del presidente Mahmud Abbas – e i membri del Comitato esecutivo dell’Olp, hanno respinto i termini avanzati da John Kerry per far ripartire i colloqui. Il capo negoziatore dell’Olp, Saeb Erekat, oggi ad Amman chiederà al Segretario di Stato garanzie precise sui confini del (futuro) Stato di Palestina.
Da quanto si è saputo la maggioranza assoluta di Fatah ha respinto i termini proposti da Kerry per riavviare i colloqui, troppo vaghi su punti cruciali. «La leadership palestinese ha formato una commissione speciale incaricata di formulare una controproposta da presentare al Segretario di Stato», ha fatto sapere Wassel Abou Youssef, presente alla riunione. Ieri sera dall’ufficio del Segretario di Stato Usa hanno negato l’imminenza di un annuncio per la ripresa dei colloqui israelo-palestinesi, nonostante il “via libera” indiretto arrivato mercoledì dal capo della Lega araba, Nabil al-Arabi, e dalle petromonarchie del Golfo.
Formule diplomatiche che consentono solo di fare ipotesi su una possibile ripresa del negoziato diretto tra Netanyahu e Abu Mazen. Quello che è certo a questo punto è la rinuncia (apparente) dei vertici di Fatah e dell’Anp alla condizione sulla quale i palestinesi hanno insistito negli ultimi anni e su cui hanno ritrovato una minimo di unità nazionale: lo stop totale della costruzione ed espansione delle colonie israeliane in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. La richiesta non figura più nel dibattito sul testo della dichiarazione di intenti, ora imperniata sulle linee del’67 e il riconoscimento dell’identità ebraica di Israele. Sembra averla spuntata, come si prevedeva, Netanyahu che si è rifiutato di congelare tutte le costruzioni negli insediamenti. Da qui l’insistenza di Fatah sull’indicazione esplicita delle linee del 1967 come base della trattativa. Altrimenti si darebbe per scontata l’annessione a Israele di Gerusalemme Est e delle porzioni di Cisgiordania dove si trovano i blocchi principali degli insediamenti colonici israeliani.
I vertici israeliani cercano inoltre di legare la ripresa del negoziato a un ammorbidimento o a un congelamento delle linee guida dell’Unione europea che, a partire da oggi, impongono agli Stati membri di non cooperare e finanziare in alcun modo le colonie israeliane nei Territori occupati. È stato fin troppo esplicito il capo dello Stato, Shimon Peres, che ha chiesto a Bruxelles di congelare le direttive «per non compromettere gli sforzi di pace».
Da parte sua il presidente della Commissione europea, José Barroso, ieri dopo un colloquio telefonico con Netanyahu ha confermato che le linee guida saranno «adottate come previsto così come Israele sapeva benissimo che sarebbe avvenuto». Un interessate editoriale di Avi Temkin, pubblicato ieri dal giornale economico The Globes, metteva in risalto l’inspiegabile sorpresa degli israeliani, incapaci di comprendere che per tutto il mondo Cisgiordania e Gerusalemme Est appartengono ai palestinesi e che Israele è solo nel considerarli parte del suo territorio.
Fonte: Nena News
19 luglio 2013