Pacifisti contro Di Paola. E Bersani si schiera
Emanuele Giordana - ilmanifesto.it
Dopo pressioni, incontri e mailbombing del movimento anti militarista, il Pd addotta sul decreto legge di riforma delle Forze armate la linea dura.
A un pugno di giorni dall’approvazione del ddl Di Paola, la legge delega al ministro della Difesa per la riforma delle Forze armate, si snodano in tutta Italia gli appuntamenti della società civile per dire no al progetto del ministro ammiraglio o per ribadire un’altra lettura del capitolo militare. Ma anche in parlamento Di Paola ha già incassato un secco niet da parte del Partito democratico. Un cambio di rotta che Di Paola ha registrato direttamente in un incontro con Bersani, trovandosi poi a Montecitorio a fare i conti coi parlamentari del Pd e con quelli dell’Idv, questi ultimi sin dalla prima ora contrarissimi al progetto dell’ammiraglio. Ma c’è di più: anche i militari cominciano a fare rumore (www.assodipro.org), visto che il ddl prevede migliaia di esuberi e nessuno ha chiesto il loro parere (ieri hanno manifestato davanti al parlamento). Andiamo con ordine.
L’opposizione a Roma
La lunga marcia di Di Paola inizia appena il ministro si insedia. Sarebbe in vista di una spending review che di fatto, denuncia il movimento pacifista, risparmia mandando a casa 43mila unità (su 183mila soldati, cui si aggiungono circa 30mila civili). La legge autorizza le gerarchie militari a riorganizzarsi in proprio in 12 anni ma non indica criteri specifici, rinviati ai decreti attuativi. Una “delega in bianco”, dicono i detrattori. Le autorizza a rivedere il modello organizzativo, le infrastrutture e la loro dislocazione sul territorio con una riduzione complessiva del 30%. Consente anche che chiedano il pagamento dei servizi per attività di protezione civile: una sorta di privatizzazione di Stato della gestione calamità naturali, che fa insorgere i Comuni. Introduce infine il principio dell’invarianza della spesa: in sostanza, il risparmio ottenuto resta nelle casse della Difesa con una flessibilità gestionale che le dà autorità a spendere come le pare. Un conto a spanne che consente di gestire circa 20 miliardi l’anno. Come? In armi ad esempio: il caso più noto è quello degli F 35.
Tutto sembrava filar liscio ma la pressione sui parlamentari (la mailbombing nelle loro caselle di posta) fa cambiare marcia soprattutto al Pd, che blocca i decreti attuativi, in sostanza la parte operativa della legge che Di Paola sperava passasse senza problemi. Dopo il voto per il via libera alla legge martedi prossimo (giorno nel quale Tavola della pace, Rete italiana per il disarmo e Sbilanciamoci! hanno indetto una manifestazione davanti a Montecitorio) Di Paola e Monti avrebbero potuto emanarli con due mesi di tempo per un parere del parlamento che, nel marasma pre elettorale, li avrebbe probabilmente lasciati come Di Paola li ha (già) scritti. Vista la mal parata in commissione e in aula, Di Paola ha cercato Bersani per chiedere via libera ai decreti ma il leader Pd, forte della vittoria alle primarie, gli ha detto no. La legge probabilmente passerà (coi voti della destra) ma non passeranno i decreti che dunque andranno scritti dal prossimo ministro o, come suggeriscono i pacifisti, dal Pd stesso a cui chiedono comunque martedi di votare contro e di far passare un ordine del giorno che certifichi il passaggio del pacchetto al governo che verrà.
Il No alla base a Vicenza
Se a Roma si dibatte sul comparto nazionale, a Vicenza si torna oggi a parlare di relazioni (militari) internazionali. Cento fumogeni rossi da segnalazione nei pressi della nuova base militare americana della città marcheranno uno sconfinamento e una “disinstallazione temporanea” che si oppone “alla volgarità politica che ha trasformato una città culturale in una città militare”, come dicono gli organizzatori di quest’azione artistico-sovversiva prevista in tarda mattinata. Sarà una performance dal titolo “Vicenza patrimonio vergognoso dell’Unesco” perché l’azione, ideata negli ambienti che si battono contro la base, vuole spingere l’Unesco a decidere se togliere la sua egida alla città, prendendo atto che la base ormai è stata fatta ma illegalmente e contro i principi stessi dell’organismo delle Nazioni unite, o mantenerla a una condizione: riconvertire la struttura militare in qualcosa di culturalmente utile. Ad esempio, suggeriscono i contestatori, in un un campus universitario di livello internazionale.
I non violenti a Firenze
C’è infine da registrare l’appuntamento di Firenze in occasione dei 40 anni (1972-2012) dall’approvazione della prima Legge per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza (coll’istituzione del servizio civile). Il Movimento Nonviolento e la Conferenza nazionale degli Enti di servizio civile organizzano un convegno il 15 e il 16 dal titolo chiarissimo: Avrei (ancora) un’obiezione!
Fonte: www.lettera22.it
8 dicembre 2012