Pace in Afghanistan, quel che Karzai dirà a Obama


Emanuele Giordana - Lettera22


Un piano che prevede amnistia, ruolo politico o esilio ai talebani, soldi per chi lascia la lotta armata. E’ la strategia che il presidente afgano presenterà a Obama, un documento che gira per gli uffici di Kabul.


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Pace in Afghanistan, quel che Karzai dirà a Obama

Quanto sia stata definita nel dettaglio la strategia per il futuro dell'Afghanistan che Karzai intende presentare a Obama non si sa. Quel che è certo è che settimana prossima, al sospirato incontro bilaterale di Washington, il presidente afgano andrà con un piano abbastanza dettagliato elaborato da Kabul per favorire una riconciliazione nazionale che ha già un un nome: Afghan Peace and Reintegration Program (Aprp).
La bozza del documento, che abbiamo potuto leggere, fissa il quadro di riferimento, i passi e gli obiettivi di qualcosa che Karzai ha già in mente da diversi anni ma che, finalmente, può adesso formalizzare trovando orecchie più attente tra i suoi interlocutori internazionali, convinti sino a ieri che la Nato avrebbe vinto la guerra coi talebani per dettare poi condizioni da un punto di forza. Poiché in realtà in molti lo pensano ancora e non tutti sono d'accordo a parlare col nemico in questa fase, Karzai ha davanti una strada in salita. E molti punti del suo piano, ancora ufficioso, rischiano di saltare o di essere ridimensionati.
Il documento del presidente parte dal suo discorso di insediamento del novembre scorso, quando i magheggi del meccanismo elettorale lo rimisero sulla poltrona di capo di stato. Per la prima volta in maniera forte, Karzai aveva definito la riconciliazione una “priorità”, reiterata poi nel 2010 alla Conferenza di Londra, che ha avallato la nascita di un “trust fund”, un fondo di garanzia (160 mln di dollari ndr), per “comprare” i talebani buoni, o meglio i cosiddetti foot soldiers (la truppa), combattenti più per necessità che per vocazione o adesione ideologa. Il documento ribadisce le condizioni (i “principi chiave”) perché ai soldati in turbante sia garantito il reintegro nella società o nell'esercito nazionale: rinuncia della violenza, riconoscimento della Costituzione, ritorno a casa. In cambio il governo promette non solo un'amnistia, ma anche un pacchetto di benefici, in denaro o opportunità di lavoro. Fissa un tempo per la smobilitazione e la consegna delle armi (tre mesi) e sottolinea che l'operazione intende “offrire una mano aperta ai talebani e agli altri gruppi insurrezionalisti”, iniziativa, sta scritto nel documento, che “gode del supporto del'Onu, di Isaf/Nato, dei partner regionali e della comunità internazionale”. Affermazione su cui sarebbe lecito sollevare qualche dubbio.
Ma il punto controverso arriva poi: dopo aver delineato lo sviluppo del piano in tre fasi (costruzione di un processo di reciproca fiducia tra le parti, smobilitazione in 90 giorni, reintegro e consolidamento della pace), Karzai arriva ai nodi controversi. Dell'amnistia si è già detto: prevede poi un periodo di training (deideologizzazione) che competerà a insegnanti e mullah afgani, e fin qui ci siamo. Ma per chi l'amnistia? Gli americani, qualche europeo e anche diversi afgani, vorrebbero sottolineare i distinguo tra foot soldier e leadership che il documento fa fino a un certo punto, spingendosi anzi, su quello che definisce un argomento “molto sensibile”, a proporre ai leader talebani il riconoscimento di un ruolo politico (a Kabul) o la scelta dell'esilio in paesi terzi, a condizione che rinuncino alla vita nei “santuari” (pachistani) e recidano i legami con Al Qaeda. Misure da accompagnare con la rimozione dei loro nomi dalla lista nera delle Nazioni unite, cosa finora avvenuta solo per figure minori e già di fatto reintegrate.
Il resto del piano si spinge nel dettaglio dell'“afganizzazione” dell'intero processo, che coinvolge un Segretariato generale a Kabul, in collegamento con presidenza e ministeri, ma che lavora poi a livello di distretto e di provincia: un quadro nel quale i governatori avranno un peso (e si suppone, finalmente, risorse) notevole. Ma il punto più controverso, ammesso e non concesso che gli alleati occidentali di Karzai accettino di lasciare solo agli afgani la guida del processo, restano i talebani: negoziare con mullah Omar? Garantirgli vita felice a Dubai o un posto in parlamento a Kabul? La stampa americana ha già suggerito che questo punto specifico, e cioè il passaggio dal foot soldier al leader, è il più rovente. Quello su cui Obama dovrà dire se è d'accordo o no.
Quel che è certo è che un'apertura di 360 gradi ai talebani, la “mano aperta” di Karzai, a molti non piace, a cominciare da Hillary Clinton o dagli strateghi del Pentagono che pensano che prima si debba dare una “spallata” decisa alla guerriglia, già prevista per l'inizio dell'estate con un'operazione Nato già largamente annunciata e mentre la “Jirga (assemblea) di pace”, il primo passo negoziale reiterato nel documento, è già stata rinviata rispetto all'agenda originaria. Funzionerà in queste condizioni il piano di pace del presidente o arriverà a Washington già mondato e annacquato rispetto al documento originale?

Fonte: Lettera 22

08 maggio 2010

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