Oratorio per Rachel


Tommaso Di Francesco - Il manifesto


Cinque anni fa, il 16 marzo 2003, veniva assassinata la pacifista americana Rachel Corrie. Come mantener memoria per quello che, nella sequenza del sangue versato, sembra scorrere eguale? Come raccontare gli uomini testimoni di guerra e dannazione fuori dalle agende ufficiali?


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Oratorio per Rachel

Come mantener memoria per quello che, nella sequenza del sangue versato, sembra scorrere eguale? Come raccontare gli uomini testimoni di guerra e dannazione fuori dalle agende ufficiali? Cinque anni fa, il 16 marzo 2003, la pacifista americana dell’International Solidarity Movement che sostiene la resistenza non violenta del popolo palestinese all’occupazione militare israeliana, veniva uccisa all’età di 23 anni da un Caterpillar 139 mentre cercava di impedire una demolizione di case. Tre decenni prima, racconterà il padre “anche io guidavo un bulldozer in Vietman”. Come tenerla viva, allora, nel quotidiano confronto con la scena in Palestina. Immutata nonostante – anzi, grazie – il ritiro israeliano, l’atto unilaterale che ha consentito a Israele di controllare la Striscia da terra, mare, cielo e di estendere il Muro e gli infiniti insediamenti l’occupazione in Cisgiordania. Ora che il cuore dei palestinesi, dopo la morte di Arafat, è spezzato in due anime per ora irriconciliabili, di Hamas e di Fatah.
C’era un solo modo. Un oratorio teatrale composto dai suoi scritti, un recitativo che rappresentasse la meglio gioventù che vive per “sconfiggere i suoi mostri interni” – diceva Rachel Corrie – e quelli della storia. Così i suoi diari, le sue poesie e lettere sono state lette e curate dalla giornalista Katharine Viner, del Weekend Magazine del Guardian, e dall’attore Alan Richman – il colonnello Bradon nell’adattamento del romanzo di Jane Austen Ragione e sentimento per la regia di Ang Lee, e il professor Piton nella serie di Harry Potter. Fino a diventare una rappresentazione teatrale vera e propria per la regia dello stesso Alan Richman. Protagonista la giovane attrice Megan Dodds nella parte di Rachel, con debutto al Royal Court Theatre di Londra nell’aprile 2005, e nove settimane di repliche al Playhous Theatre nel West End. Fino al tentativo, fallito – l’avevano proposto a tempo indeterminato – di cancellare il debutto negli Usa dove è arrivato con grande successo a New York al Minetta Lane Theatre, un teatro off-Broadway. Tutto questo lavoro è diventato un libro agile e appassionato, Mi chiamo Rachel Corrie (Elliot Edizioni – patriziarenzi@elliotedizioni.it – pp. 90. 13 euro) tradotto da Monica Capuani e Marta Gilmore. La prefazione di Naomi Klein tra l’altro ricorda come nei Territori occupati ovunque ci siano bambine chiamate Rachel in suo onore, e propone il provocatorio legame con l’altra ragazza americana allo sbaraglio nella guerra: la soldatessa “eroica” Jessica Lynch. Il libro è chiuso da una lettera-accusa di Vanessa Redgrave contro il tentativo di censura, una “seconda uccisione”. Qual’è l’essenza della solidarietà di Rachel Corrie? “Avvertire la consistenza della storia vivente del popolo palestinese – scrive nel libro Edward Said con un intervento nel giugno 2003 – come comunità nazionale e non semplicemente come un gruppo di poveri rifugiati”.

Fonte: Il Manifesto

14 marzo 2008

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