Omaggio a Nicola Occhiofino


Mosaico di pace


In memoria di Nicola Occhiofino, caro amico, politico e operatore sociale esemplare, pubblichiamo di seguito un suo articolo (Mosaico di pace, dicembre 2009) in cui riprende con calore e profezia la sua profonda amicizia con don Tonino Bello.


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Omaggio a Nicola Occhiofino
Ricordiamo con affetto Nicola e, nel giorno della sua morte, uniamo la nostra preghiera a quella di tutti coloro che hanno incrociato i suoi sentieri.
 
Per un Sud liberato

Capaci di pace, di giustizia e amore per il creato. Il realismo della profezia in don Tonino.


Nicola Occhiolino (Già assessore al Comune di Bari)

Il volto pulito, il dolce sorriso sulle labbra, la luce di contagiosa bontà negli occhi, la gioia nel comunicare: è l’immagine che conservo di don Tonino.

Sentiva profondamente l’obbligo, per il cristiano, di non negarsi mai, armonica sintesi delle tre virtù teologali, fede, speranza e carità. Erano sempre presenti in lui i versi del salmo 84: “Misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno. La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo”.

Riguardo al tema affidatomi dagli organizzatori, che ringrazio fraternamente per il convegno e per aver invitato la mia modesta persona, mi soffermerò, nel mio intervento, sulle grandi sfide che interpellano nell’oggi soprattutto la politica.

In una crisi economica, a livello mondiale, dai risvolti catastrofici, tragici, nella difficile ma determinante materia, gli insegnamenti di don Tonino, a ben riflettere, si rivelano, come non mai, attuali e doviziosi.

Per lui, prima di tutto, soprattutto era la pace.

Nella sua vita emergeva continuamente l’identità con la costruzione e la salvaguardia della stessa. Gravemente ammalato volle recarsi con i cinquecento a Sarajevo.

Fu un salire veramente sulla croce.

Tale, indimenticabile missione ha rappresentato una straordinaria testimonianza che rimarrà non solo nel movimento pacifista, un’impronta indelebile ed emblematica per la Chiesa cattolica.

Si trattò anche di un importante, inedito scavo in tema di scienza della pace, da riprendere con la dovuta urgenza e con la costante sistematicità. Furono battute strade mai percorse congiuntamente, si dischiusero nuovi orizzonti.

L’elaborazione divenne realtà.
Sorsero allora le aree di nonviolenza attiva negli stessi luoghi e spazi contemporaneamente battuti dalle armi, un nuovo salvifico paradigma.
Assunse la dimensione di una formidabile e vissuta scoperta nello studio della nevralgica necessità della permanente tutela della pace.
Un modello d’assoluta novità che si staccava decisamente dal passato bruciando le brutali scorie del tempo.
Incominciò così ad ardere un dolce fuoco, al quale accostarsi, riscaldarsi, tonificarsi.

Contro la follia della guerra
Si levò come il suono di una campana che richiamava la follia della guerra, chiamandola per nome: inutile, devastatrice, insomma sempre ingiusta, mortale.

Nell’oggi è doveroso scoprire le nuove ragioni e le nuove lettere della pace, avendo per laboratori le strade, forgiando l’apposita cassetta informatica, dotandola dei suoi migliori attrezzi.

Necessita mobilitare le innamorate e gli innamorati della nonviolenza, formare nel contempo il necessario, aggiornato vocabolario. La guerra, in verità, infligge morte, risponde sempre a miserabili interessi, colpisce al cuore lo stesso cosmo, alimenta l’antigenesi, è una micidiale offesa alla povera gente, un’oscena sozzura.

Per far radicare la pace, il suo vescovo era sempre in cammino, senza dar mai alcun segno di stanchezza.
Chi per essa andava dappertutto non poteva certamente disinteressarsi dei pericoli e degli attentati di violenza presenti nella sua regione.
Meraviglioso il suo appello, riguardante i poligoni di tiro sulla Murgia, rivolto ai consiglieri regionali. Si batteva contro l’estesa occupazione del territorio della Puglia, divenuta la più militarizzata regione del Paese. Le aree attrezzate per l’uso delle armi, i luoghi, ad esse adibiti, sono incompatibili con il suo sviluppo. Viene
cancellata del tutto la sua funzione di cerniera tra il Mediterraneo e l’Europa.
L’armamentario puntato contro i nemici, artatamente costruiti, sradicano tutto, bloccano il più tenue tentativo di dialogo, uccidono anche le parole.

Il rischio Mediterraneo
Il bacino pugliese prende il volto, agli occhi dell’importantissima area mediterranea, di una sofisticata, pericolosissima, moderna postazione bellica.
Si attua così una miope politica, braccio del complesso industriale militare, che trasforma la gente, dal comune cammino e destino, in “potenziale nemico”. Favoloso il documento sugli F-16, annunciati per Gioia del Colle. Don Tonino non nascose le difficoltà di un nuovo documento dei vescovi della metropolia di Bari sulla rilevante, complessa tematica. Com’era nel suo costume, si impegnò nel modo migliore. Ho presente vivamente in me la felicità con la quale mi comunicava telefonicamente l’avvenuta approvazione del famoso testo.
Venne fuori uno scritto stupendo, del quale se ne parlò in sede ONU. Nel nostro Paese suscitò un grande clamore.

Intervennero l’allora presidente del Consiglio dei ministri Ciriaco De Mita, criticandolo aspramente e l’on. Bettino Craxi che, in modo insensato, chiamò in causa il Concordato.

Don Tonino, impegnato nel Congresso Eucaristico Nazionale in Calabria, mostrò sul caso una serafica tranquillità. Forte era in lui l’amore per i Sud del mondo, anche del suo, che continuano a essere rapinati dai potenti, si batteva per la loro liberazione.

Amava moltissimo la sua terra vivendone la passione creativa. La voleva pura, nemmeno minimamente inquinata, non intaccata nella sua vocazione, non violentata da nessun tipo d’armi, neanche dal più piccolo ordigno di morte. Perché bella, feconda per natura, baciata da splendidi mari, gravida di vita,dalle notevoli potenzialità di bene.

Accorata era l’esortazione alla sua gente a levar alto lo sguardo e incamminarsi con passo spedito per dare vita ai necessari, radicali cambiamenti.

Chiedeva il quotidiano impegno, il non più delegare, antico morbo dell’impotenza, il dotarsi di conoscenza, competenze, sapere. Incitava a mettere in moto le vive intelligenze, a far esplodere le innate creatività, a indicare orientamenti, elaborare proposte, apprestare progetti. Spronava a partecipare con coraggio, fatica, sacrificio, a mettere fuori le grandi, inutilizzate risorse, a radicare in concreto la cittadinanza attiva, allargando gli spazi della democrazia, non facendo mai venir meno la passione civile, il trascinante entusiasmo.

Tutto questo è determinante, oggi più di ieri, per le nuove complesse sfide che il Mezzogiorno deve affrontare, per dare vita al suo liberante affrancamento. Considerava il Mediterraneo arteria di pace, area di cooperazione e di sviluppo, benedetta dalla geografia, arricchita dalla storia.

Un mare che doveva creare, ancora una volta, una nuova civiltà, generatore di cultura, irripetibile, inimitabile caleidoscopio di originali entità, sintesi di eredità storiche popolari, di specifiche, singolari configurazioni, originale crocevia a cui tocca scrivere nuove pagine di storia.

È tempo dunque che scrutando nel pensiero dell’amato vescovo, per un collettivo impegno, diventi, per varie e valide ragioni, il mare della pace, della costruzione della nonviolenza, del nuovo umanesimo, dei copiosi incontri, del tonificante soffio di spiritualità, simbiosi creatrice di religioni dagli annunci profetici.

Può aiutare in tale direzione il disgelare le sue ancora tante, sconosciute capacità, la sua peculiare ricchezza, il patrimonio nei molteplici campi non ancora arati del tempo moderno, dei nostri giorni.

Un mare solcato, con velocità, da navi amiche, via maestra e provvidenziale che intensifica scambi culturali, di ricerca, di scienze, libera investimenti nella cooperazione paritaria e liberante tra genti, Paesi, popoli, alimentando soprattutto lo sviluppo delle aree più povere, sfruttate, emarginate. Frequentato da collettività,
artefice dell’equo e necessario progresso, agente di grande solidarietà, di globale emancipazione, segno gioioso e collettivo di vita, non più triste e costante connotato di morte.

La valenza etica dell’impegno politico
L’attuale stagione politica, nel nostro Paese, si presenta gretta e greve. Soffia un vento che abbatte le povere e i poveri. Calpesta la sfera dei diritti, l’area dell’emarginazione, della sofferenza, l’universo dei disagi conoscono gravi, delittuosi segni. Il lavoro, espressione di dignità per ogni persona, subisce una vergognosa
aggressione, i mentitori maneggiano l’informazione, l’illegalità serpeggia nei palazzi governativi, in più di uno è visibile dalla piazza.

Circola sempre più un’aria mefitica di regime. È la devastante conseguenza di un iniquo sistema economico, militare e mass-mediatico che ignora, danneggia, esclude con le invereconde leggi del mercato e del capitale. Di fronte a un così tragico quadro bisogna scendere in campo.

Scegliendo il pensiero di don Tonino, si tratta di impegnare tutte le positive energie per incarnare nella lotta alla povertà, alla disoccupazione, alla precarietà, all’illegalità, i fondamentali diritti umani. Su tutti il primato della persona, la pace, la
giustizia, il lavoro, l’eguaglianza.

È il bene comune, che può essere conseguito solamente declinando in concreto la centralità delle ultime e degli ultimi. Per raggiungere tale salvifica meta, s’impone in qualsiasi scelta la valenza etica dell’impegno politico.

Don Tonino Bello, con adamantina chiarezza, così affermò: “A ogni modo il consenso politico non si può esigere nel nome della fede. Diversamente si farebbe un uso ideologico e strumentale della fede stessa. In politica i cristiani devono ottenere il consenso non nel nome di Gesù Cristo, ma nel nome del programma valido, della loro coerenza, della loro onestà, della loro capacità politica e professionale. Agli uomini politici va chiesta la pulizia morale, una prassi di vita trasparente, scelte rigorose e convincenti”.

La politica, con le sue parole”arte nobile e difficile”, deve tornare ad avere il fascino di una grande tensione ideale, civile, morale. Va esercitata, anche nell’età del computer, con pulizia, competenza, rigore, onestà, integrità, rettitudine, coraggio, sacrificio, dignità, autorevolezza.

Con l’esempio che trascina nella dimensione del servizio. Essa non può essere slegata dai valori, altrimenti diventa una ben misera cosa. Dotati di laicità e autonomia, educati al pluralismo, le cattoliche e i cattolici nell’agire politico sono chiamati, in quanto cittadine e cittadini, a essere competenti, coraggiosi, credibili, profetici, a lottare contro qualsiasi, ingiustizia, a stare sempre dalla parte di
coloro che hanno più bisogno.

Ci sono numerosi esempi al riguardo. Il vescovo, tanto amato, di Pax Christi stimava molto Giorgio La Pira, del quale voglio richiamare un passo tremendamente attuale nell’oggi. Lo scrisse nel 1955 da sindaco di Firenze, ”fino a, quando voi mi lasciate in questo posto mi opporrò con energia massima a tutti i soprusi dei ricchi e dei potenti. Non lascerò senza difesa la parte debole della città:chiusura di fabbriche, licenziamenti e sfratti troveranno in me una diga non facilmente abbattibile Tuttavia la vera politica sta qui: difendere il pane e la casa della più gran parte del popolo italiano. Il pane e quindi il lavoro è sacro; la casa è sacra: non si tocca impunemente né l’una né l’altra… e che essere senza casa e senza lavoro è la peggiore delle calamità. Questo non è marxismo,questo è Vangelo”.

È il porre al centro, anche del più piccolo atto di governo, la prioritaria domanda: va in direzione di chi non ha o in direzione di chi ha già? Nell’attenzione a non ammalarsi di integrismo, le donne e gli uomini di fede devono impegnarsi con tutte le forze del cambiamento. Un’arte del governare aperta alle vere e necessarie
novità, che abbia il senso della storia pur attentissima alla cronaca, faccia precedere i fatti alle parole, inveri la cultura nell’azione, che sveli l’impotenza della violenza e la potenza liberatrice della nonviolenza, difenda la dignità anche di una sola persona.

Con la speranza delle donne e degli uomini nuovi, ispirandosi alla prima lettera di S. Pietro, a quella di Diogneto, hanno il compito di contribuire a dischiudere nel mondo la primavera della giustizia e della pace.

Sorreggono questo, arduo ma fascinoso compito le stesse parole di don Tonino:”Coraggio, profeti della primavera, la terra per non rabbrividire ha bisogno di vestali della speranza”.

Una benefica contaminazione
Anche sull’umana questione dell’immigrazione, il vescovo nato nel profondo Sud, ha lasciato un patrimonio dal quale attingere continuamente. Emblematica la lettera al fratello marocchino con lo stupendo affresco “se passi da casa mia fermati”.

La tematica delle migranti e dei migranti, ci ha insegnato, è un pellegrinare planetario, frutto di sistemi economicamente iniqui, sfida lanciata al cuore malato dell’Occidente, affamato di senso, prigioniero di un offensivo egoismo, com’è accaduto, in questi giorni sulla crisi economica nei confronti dei Paesi dell’Est. Simbolo unitario delle tante e diverse sofferenze che colpiscono in modo infraumano e non fanno più vivere.

Colpisce i cuori, con lancinante tristezza, le disumane tratte delle donne, delle bambine e dei bambini. È tornata la schiavitù nella celebrata società dell’informazione. Il nuovo secolo che si è aperto ne sarà profondamente segnato. Lo è già nei suoi, primi anni, come stiamo vivendo.

Diventerà diversa l’attuale geografia del mondo. Si odono accenti di molte e diverse lingue ma non è la nuova Babele. Dalla contaminazione nascono nuovi valori,si affacciano virtù non ancora conosciute, una lingua verrà finalmente riconosciuta, quella dell’umanità, già presente nell’intelligenza e nel cuore di ogni vivente.

I volti mai visti parlano delle meraviglie delle differenze, si fa strada un nuovo internazionalismo.

Don Tonino andava a trovare le migranti e i migranti, ponendo in essere una straordinaria caratura biblica.

C’incontrammo al loro primo arrivo, su una nave, nel porto di Bari. Non si trattava ancora delle albanesi e degli albanesi che arrivarono invece nella torrida estate del 1991, sempre nel porto di Bari e furono trattati dal governo italiano in modo cinico, da nuova barbarie, oggi purtroppo codificata in vergognose leggi.

Un atteggiamento condannato duramente da don Tonino, accorso sul luogo con la solita tempestività,dettata da traboccante umanità. Instancabile viandante, costruttore di nuovi orizzonti, don Tonino, ha sempre insegnato ad accogliere i senzaterra, a costruire ponti, ad abbattere confini e barriere, ad andare incontro alle ultime e agli ultimi,divenendo loro compagno di vita. Con il salmista sapeva che “Il
Signore protegge il forestiero…..(salmo 145)”.

Perché nella sua vita la centralità apparteneva al Cristo, al volergli bene, dopo veniva tutto il resto.

Aveva un rapporto magnetico con i giovani, frutto dello stupore ancora intatto che manifestava su tutto, della sua esortazione a non spezzare sogni, speranze, delle straordinarie virtù che esprimeva, della sua autentica, fascinosa coerenza evangelica.

Come pochi sapeva ascoltare ,parlare, stare con loro.
Era singolare il suo modo di comprenderli, stimarli, amarli. È stato sempre seguito dai lontani dalla Chiesa, stimato, voluto bene. Nei suoi confronti mai un cenno di strumentalizzazione. Avevano un’alta concezione della sua persona. Le notizie, sulle sue condizioni di salute, quando era ammalato, erano chieste, a me consta direttamente, con crescente ansia e sincera preoccupazione, da tanti, anche da chi
non aveva il dono della fede.

Un gran dolore accompagna le innamorate e gli innamorati della vita per la crisi di questi giorni, con i massacri economici che lacerano corpi, sconvolgono animi . Il mondo diventa sempre di più una polveriera. A pagare sono soprattutto, i senza voce. Quante volte ce l’ha ripetuto: “Ma perché dopo tanti secoli di cristianesimo
l’ingiustizia imperversa e il potere dell’uomo sull’uomo umilia ancora le turbe dei poveri? Ma perché sui banchi di teologia abbiamo consumato tanto tempo per studiare l’uguaglianza delle persone divine, se poi non abbiamo la voce per mettere in discussione questo perverso sistema economico che fa morire di fame ogni anno cinquanta milioni di persone. Quando riusciremo a capire che le ingiustizie anche quelle nostre private non solo sono causa di tutte le guerre ma sono anche
eresie trinitarie? E invocheremo lo Spirito Santo non solo perché rinnovi il volto della terra ma anche perché faccia un rogo di tutte le nostre paure”.

Le istituzioni sono chiamate ad aprire con urgenza una nuova stagione quella della sapienza di governo e del cuore generoso.

È necessaria un’urgentissima rivoluzione nelle menti e nei cuori, una vera e propria metanoia nella politica a tutti i livelli, locale, nazionale, europeo, internazionale.

Bisogna rovesciare la piramide, leggere la realtà con altri occhi.

È tempo che negli atti amministrativi si pongono al centro le escluse e gli esclusi, le vittime che sono il cuore della politica. Da noi deve formarsi, con la massima urgenza, una nuova classe dirigente del Paese perché le istituzioni diventino presidi di legalità, trasparenza, solidarietà, agenzie di giustizia e di pace. La politica
non deve mai più essere luogo di personali interessi, di individuali scalate, di vergognose speculazioni, di osceni affari, di immondi guadagni che conducono, tra l’altro, al suo massacro, alla sua fine.

Deve diventare, invece, pulita anche del più piccolo residuo machiavellico, un luccicante firmamento di equità, sede di umanesimo mai conosciuto, inedito lido del giusto e del bello, esercizio responsabile di utopia e concretezza nel quotidiano in modo che ogni persona possa dignitosamente vivere.

Per tutto questo bisogna rivolgersi sempre di più a don Tonino Bello.
Il vescovo di Dio, il profeta, il santo ci dice ancora…: “Torniamo ad essere limpidi…Innamoriamoci della trasparenza…Cambiamo rotta…È già tardi e il tempo stringe”.

 
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Fino a, quando voi mi lasciate in questo posto mi opporrò con energia
massima a tutti i soprusi dei ricchi e dei potenti. Non lascerò senza
difesa la parte debole della città:chiusura di fabbriche,
licenziamenti e sfratti troveranno in me una diga non facilmente
abbattibile. Tuttavia la vera politica sta qui: difendere il pane e la
casa della più gran parte del popolo italiano. Il pane e quindi il
lavoro è sacro; la casa è sacra: non si tocca impunemente né l’una né
l’altra… e che essere senza casa e senza lavoro è la peggiore delle
calamità. Questo non è marxismo,questo è Vangelo.

Giorgio La Pira

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