Olimpiadi 2008: troppe complicità, scrive il New York Times



Roberto Reale


Il Times ricorda che per conseguire il diritto a ospitare le Olimpiadi Pechino aveva promesso di migliorare gli standard riguardanti la libertà di stampa e il rispetto dei diritti umani…


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Olimpiadi 2008: troppe complicità, scrive il New York Times


 

 

 

 

 

 

 

 

Che cosa racconta la stampa mondiale a due settimane dall'inizio delle Olimpiadi di Pechino? Che immagine dà dell'evento? Anche se non c'è una chiave di lettura univoca, di sicuro cresce sul pianeta la frenesia per un evento sportivo che è anche politico, mediatico, commerciale. Del resto stime attendibili parlano di un affare complessivo da 42 miliardi di dollari. Una cifra da brivido che surclassa i 15 di Atene 2004. E già questo ci dà un indispensabile quadro di riferimento per capire l'enormità degli interessi in gioco. Un business che coinvolge (come ci ha fatto sapere il Corriere della Sera) ben quaranta aziende italiane che la loro "medaglia d'oro" l'hanno già vinta conquistando importanti contratti e appalti. Ma c'è anche chi si ostina a parlare di diritti umani, a porre interrogativi, a pretendere risposte. Merita particolare attenzione l'esplicito impegno in questa direzione del 'New York Times'. Il 22 luglio questo autorevole quotidiano ha pubblicato sull'argomento un editoriale non firmato (e dunque espressione della direzione) dedicato proprio allo show politico televisivo che sta coinvolgendo l'intera umanità, ancora prima dello stesso inizio dei Giochi. Proviamo a riassumere i punti fondamentali. Il Times ricorda che per conseguire il diritto a ospitare le Olimpiadi Pechino aveva promesso di migliorare gli standard riguardanti la libertà di stampa e il rispetto dei diritti umani. "Non sapremo mai – aggiunge l'editoriale – se i leader cinesi intendessero mantenere la parola data. Quello che sappiamo è che il Comitato Olimpico Internazionale, le aziende sponsor dell'evento e i governi degli altri paesi avrebbero dovuto chiedere alla Cina di mantenere i propri impegni. Non l'hanno fatto e le autorità cinesi hanno letto il loro silenzio come complicità". La denuncia insomma è netta e esplicita. Suffragata da dati precisi: il governo di Pechino ha continuato a incarcerare i dissidenti e a far sapere ai media che non avrebbe gradito servizi critici rispetto all'organizzazione dei Giochi. Nel frattempo decine di giornalisti hanno ricevuto esplicite minacce. Fra questi anche il responsabile della redazione cinese di 'Newsweekì. Le autorità hanno inoltre usato pesanti intimidazioni per ridurre al silenzio i familiari dei ragazzi morti nel crollo delle scuole nel terremoto di maggio in Sichuan. Le aziende che sponsorizzano le Olimpiadi si sono girate dall'altra parte. Molti leader, compreso Bush, sono rimasti in silenzio. Anzi, il Presidente Usa ha accettato di partecipare alla cerimonia di apertura senza aver conseguito nulla sul piano del rispetto dei diritti. Eppure proprio Bush aveva denunciato il genocidio in Darfur e i sistemi brutali usati da Mugabe in occasione delle elezioni nello Zimbabwe. In entrambi i casi la Cina si è opposta a interventi e sanzioni senza che la Presidenza Usa dicesse alcunché. E non è finita. Secondo il 'Times', Cina a parte, una critica speciale va riservata al Comitato Olimpico Internazionale che ha sostenuto Pechino qualunque cosa facesse. Il Cio sarebbe ancora in tempo – sostiene l'editoriale – per garantire condizioni minime di protezione a sostegno dei giornalisti e della libertà di stampa. Malgrado tutte le intimidazioni, i sostenitori dei diritti umani e forse anche gli stessi atleti, potrebbero cercare di usare i Giochi per protestare contro la repressione. E Pechino "ha bisogno" di avvertire che ha su di sè gli occhi del mondo. Fin qui l'editoriale che rilancia i temi di un dibattito che fortunatamente resta aperto sulla stampa internazionale più autorevole e avvertita. La questione fondamentale, al centro delle considerazioni del 'Times', è quella delle complicità e dei silenzi di aziende e governi occidentali, sulle quali varrebbe/vale la pena interrogarsi anche da noi.


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