Oggi sabato 11 gennaio, per la Siria e per padre Paolo Dall’Oglio


Il Mondo di Annibale


“Giornata di Solidarietà per la Siria” sit-in, flash mob e cortei in numerose città d’Italia. A Roma si chiederà libertà anche per Paolo Dall’Oglio.


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Sabato 11 gennaio, in occasione della giornata mondiale di mobilitazione per la libertà del popolo siriano, a Roma, in piazza del Campidoglio, alle 15.00, si chiederà la libertà anche per Paolo Dall’Oglio, sequestrato in Siria, dove è sparito il 29 luglio scorso dopo avervi fatto ritorno per una missione umanitaria.Una manifestazione drammatica, perché a ridosso dell’ormai imminente “conferenza di pace” di Ginevra, detta di Ginevra 2, che segnerà l’avvio ufficiale della riabilitazione di Bashar al-Assad e del suo regime criminale, grazie alla sua più sofisticata creatura, la banda dei terroristi dell’ISIS, o al-Qaida, che sono tati posti dal regime, con la sapiente regia iraniana, nella posizione di loro finto contraltare, in realtà assassini della rivoluzione e partner del regime.
Mentre la battaglia infuria in tanta parte del nord della Siria, dove la popolazione vuole liberarsi anche di al-Qaida dopo l’insurrezione contro il regime di Assad, pensare a padre Paolo Dall’Oglio vuol dire pensare anche a loro, alla loro solitaria, disperata, irrisa, dimenticata, deformata bataglia per la verità e la libertà. La libertà di Paolo oggi come non mai appare tremendamente legata a quella del popolo che ha scelto come “suo”, e dal quale è tornato per una appassionata missione umanitaria. Ma quella missione presuppone una comprensione. Eccola, atualissima ancora oggi.

Nell’ottobre del 2012 Paolo Dall’Oglio scriveva proprio qui, sul Mondo di Annibale (come su altri blog che lo ospitarono nell’occasione): ” Benché in ritardo, mi sembra necessario reagire all’articolo di Marc de Miramon e Antonin Amado, “Syrie, champ de bataille mèdiatique”, su Le Monde diplomatique del settembre scorso. Sono un osservatore diretto della situazione siriana e un protagonista dell’evoluzione del paese da oltre trent’anni, una persona che ha raccolto le drammatiche testimonianze in patria e all’estero delle vittime del regime, specie riguardo all’uso sistematico della tortura e della carcerazione disumane, nonché dell’omicidio indiscriminato e incontrollato.

Sono di fatto anche un attore di questa dolorante insurrezione, nata non violenta, giovanile e nazionale, e costretta dalla repressione più feroce a trasformarsi in lotta armata di popolo fino a calarsi nello stampo della guerra civile impostale. Per questo ritengo mio dovere, dopo aver seguito per oltre vent’anni, di mese in mese, il mio giornale cult, Le Monde diplomatique, reagire con passione ad un testo sulla Siria che ritengo politicamente non innocente e professionalmente disonesto. Devo invece fare i complimenti a colui che ha scelto la bella opera d’arte del siriano Moudarres dove si esprime la muta angoscia del nostro popolo.

L’articolo percorre con dovizia di particolari la storia della mala informazione lungo tutti i diciotto mesi dell’insurrezione siriana, e, seppur in modo più elegante, finisce con il corroborare la tesi negazionista riguardo alla rivoluzione siriana, tale e quale viene elaborata nelle strutture di manipolazione di regime e rilanciata, arricchita e accresciuta, da agenzie di disinformazione internazionale quali il Réseau Voltaire di Thierry Meyssan e dei suoi complici ecclesiastici.

Lungo tutto l’articolo si da come per scontato, e dunque come sostanzialmente irrilevante, il fatto che il regime siriano sia dittatoriale e quindi liberticida per natura . Fatto questo che in definitiva non deve influenzare la considerazione obbiettiva dell’osservatore distaccato che i nostri articolisti conducono per mano fino a riconoscere che, regime per regime, violenza per violenza, manipolazione per manipolazione, ecc . , “chi lascia la via vecchia per la nuova sa quello che lascia ma non sa quello che trova”!

Il lettore quindi non capisce da questo testo quanto il regime di Assad abbia immediatamente e ferocemente represso le manifestazioni non violente e come, rapidissimo, e sulla base d’una quarantennale esperienza, abbia provveduto all’elaborazione d’un’interpretazione complottista e paranoica dei fatti al fine di delegittimare e criminalizzare la rivoluzione.

Chi legge l’articolo di Miramon e Amado è portato a pensare che le Tv satellitari del Golfo siano strumenti di mala informazione come le Tv di stato e para stato del regime siriano. Si dimentica allora che la diffusione delle Tv satellitari -quelle del Golfo, quelle europee, ma anche tutte le altre- ha costituito l’inizio e il mezzo principale di disintossicazione ideologica dei popoli arabi fino ad allora costretti a ingurgitare i prodotti d’indottrinamento ideologico più volgari, nell’ambito delle strutture autoritarie venutesi a consolidare nella fase post coloniale.

Con tutti i loro difetti, dovuti certamente a un sistema capitalista di finanziamento, i canali Tv satellitari sono stati uno dei grandi mezzi di de-ghettizzazione intellettuale della nostra gente. I nostri giovani sono andati più oltre, e per mezzo dei social networks si sono trasformati in protagonisti, sorprendendo infinitamente noi della vecchia guardia dell’opposizione al contagocce, costretti sempre a fare i conti con la meteoricità, l’imprevedibilità e tuttavia l’infallibilità del sistema repressivo del regime! Ci hanno imposto la rivoluzione abbreviando la memoria comune e non rimanendo schiavi delle nostre previsioni riguardo alla ferocità del regime. Oggi dopo diciotto mesi di repressione inqualificabile sono costretti a darci ragione, mentre noi ormai benediciamo la loro irruente irresponsabilità. L’articolo ridicolizza il pericolo dell’impiego delle armi chimiche da parte del regime siriano. Si dimentica di dire che il regime si era astenuto dall’usare gli aerei da caccia per circa un anno, proprio perché temeva le reazioni della solidarietà internazionale, e che -anche per opera del cinico scetticismo, purtroppo qui di sinistra, d’una parte determinante dell’informazione occidentale- era passato impunito a bombardare indiscriminatamente dal cielo la nazione siriana in rivolta.

Chi ci garantisce che ora, anche sulla base dell’opera corrosiva dei compagni del Le Monde diplomatique, la linea rossa delle armi chimiche non possa essere rimossa, per facilitare la soluzione finale d’un conflitto nel quale sembra che l’Occidente debba necessariamente scegliere tra regimi nemici di nome ma complici di fatto e l’avanzare dell’islam politico?

Naturalmente Le Monde diplomatique fa sua la tesi dell’islamizzazione della rivolta e dell’infiltrazione qaedista. In sintesi, occorre dichiarare che la componente islamica è certamente consustanziale alla rivolta ma evidentemente in modo non esclusivo. L’opposizione siriana resta variegata e pluralista. All’interno di essa, gli islamisti e i musulmani secolarizzati, assieme agli altri siriani, si esercitano al pluralismo politico sotto lo sguardo di degnazione e i sorrisi scettici, se non addirittura i ghigni cinici, di coloro che non hanno imparato il prezzo rosso della democrazia e possono prendersi il lusso di disprezzarla.

L’uso per remot control del jihadismo qaedista da parte del regime siriano in Iraq e in Libano è noto e dimostrato. Quando e quanto gli spezzoni takfiriti fondamentalisti siano sfuggiti al controllo del regime e si siano mossi sulla base d’un’agenda del tutto autonoma non è dato di sapere con esattezza. Lo stesso si può dire delle organizzazioni criminali, soprattutto dedite al contrabbando, protette e promosse da questo o quel gerarca . Sta di fatto che, a seconda delle zone, questi si sono trasformati in milizie armate al soldo del regime oppure hanno gradualmente preso le distanze mutandosi a volte in gruppi rivoluzionari oggettivamente pericolosi. Altro discorso va fatto riguardo ai combattenti stranieri, presenti per altro sui due fronti: dall’Iran e dal Sud del Libano per il regime, e da altri paesi arabi e musulmani per la rivoluzione. Il fatto è che non ci siamo mai sentiti così arabi come in questa Primavera che ha saputo mobilitare anche gli arabi esiliati o emigrati in Occidente, fino al punto di riportarne i figli in patria a morire per la libertà persa dei padri e dei nonni. Certo il padre Paolo scrive facile retorica, . oppure ha imparato ad ascoltare le insanguinate poesie dei giovani rivoluzionari siriani! Mi rifiuto di definire qaedisti tutti i giovani venuti per il jihad in Siria, tanto quelli spinti da solidarietà araba quanto quelli spinti da solidarietà islamica . Ed io, quale solidarietà mi spinge? Perfino i giovani qaedisti che mi è capitato d’incontrare sono purtuttavia figli nostri, come d’altronde i ragazzi del regime . Abbiamo il dovere fin d’ora di pensare, di prevedere, di organizzare il loro recupero umano, civile e politico. Solo passando dall’islamofobia all’islamosofia, dall’odio alla saggezza, eviteremo l’afghanizzazione della Siria e l’incancrenimento dell’Afghanistan. Invece Le Monde diplomatique fa il contrario: tutte le vacche musulmane sono nere nella notte dell’islamo-scetticismo.

L’uso del “ma” nell’articolo di Miramon e Amado è propriamente negazionista. Nella seconda colonna del testo si afferma che la democrazia è l’obbiettivo della rivolta, “ma” la versione dei giornalisti coraggiosi che rischiano la pelle per contrastare quella del giornalismo manipolato è considerata con ironia “storytelling”, “contar storie”, dai nostri “obbiettivi” analisti impegnati nell’audit della rivoluzione siriana.

Dopo una lunga disquisizione sull’affidabilità delle agenzie di difesa dei diritti dell’uomo testimoni dell’efferatezza della repressione di regime, e a volte anche dei gravi errori dell’opposizione armata più o meno collegata con i centri decisionali della rivoluzione, e dopo aver discreditato anche un’organizzazione talmente essenziale all’emancipazione dei popoli come Amnesty International, Miramon e Amado concludono che siamo tutti succubi della vera dittatura, tutti vittime inconsapevoli della sola oppressione da combattere, “la dictature de l’instantané”, “la dittatura dell’istantaneo”, “che condiziona l’economia mediatica, e in particolare le sue reti numeriche informatiche”. Elementare, noi siriani ci siamo sbagliati di dittatura.”

Ricordare queste parole illuminanti è utile. E lo sarà anche lunedì mattina,quando, presso la Pontificia Accademia delle Scienze, si aprirà un importante simposio sulla Siria dal titolo, “possiamo rimanere indifferenti?”
La risposta evidentemente è no, sia per chi legge sia per chi scrive.

Fonte:  http://ilmondodiannibale.globalist.it

10 gennaio 2014

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