Obama abbandona lo scudo antimissile
Tommaso Di Francesco - Il manifesto
Alla fine ha avuto ragione Petr Uhl, l’ex protagonista della Primavera di Praga e portavoce di Charta 77 che ci raccontava a Praga che ormai c’era una sola speranza: "Obama deve dire no, e lo dirà, non è un cowboy come Bush". E Barack Obama ha rinunciato al sistema antimissile.
Alla fine ha avuto ragione Petr Uhl, l’ex protagonista della Primavera di Praga e portavoce di Charta 77 che, diventato anche portavoce del movimento contro lo scudo antimissile, ci raccontava a Praga che ormai c’era una sola speranza: «Obama deve dire no, e lo dirà, non è un cowboy come Bush». E Barack Obama ieri ha rinunciato al sistema antimissile che, secondo il volere di George W. Bush, schierava una base Usa con un mega-radar a 70 chilometri da Praga e dieci rampe di missili intercettori in Polonia. È stato di parola, sciogliendo i dubbi che aveva lasciato quando arrivò a Praga nell’aprile scorso, annunciando un «approccio diverso», preso «all’unanimità» all’interno dell’Amministrazione americana, che intanto coinvolga e protegga davvero gli alleati della Nato – anche perché l’Alleanza atlantica stessa era stata aggirata dalle decisioni che la Casa bianca aveva preso all’inizio del 2007.
Non è, naturalmente una scelta «di pace», anche perché dopo le dichiarazioni di Obama pressato dallo stato maggiore americano e dalla lobby della armi, è subito arrivata la comunicazione del ministro della difesa Robert Gates. Ha spiegato che, allora, dal 2015 il nuovo piano antimissile verrà avviato sulle navi da guerra Usa «per proteggere l’Europa dalle minacce immediate».
Ma ci troviamo di fronte ad una scelta storica, che ha tenuto, ha dovuto tenere conto, della protesta della maggior parte delle popolazioni ceche e polacche, come di un vasto movimento pacifista di protesta. Che non si è fermato ai sit-in, ma ha intessuto un dialogo con la sinistra del partito democratico coinvolgendo anche la presidente del Congresso, Nancy Pelosi.
Il fatto ancora più straordinario, proprio dalle parole di Obama anticipate da una informativa passata per alcuni giornali importanti come il Wall Street Journal, è che i missili dell’Iran «restano una grave minaccia» alla sicurezza americana e degli alleati, ma quel paese «canaglia» di fatto non ha ancora sviluppato una capacità missilistica tale da impensierire realmente. Insieme alla considerazione-ammissione che «Mosca ha equivocato le intenzioni degli Stati uniti perché l’obiettivo era la minaccia iraniana».
Ora i governi ceco e polacco, tremano, nei loro mille contorcimenti e subalternità. Ma anche l’euforia a Praga è grande tra le migliaia di giovani che non hanno smesso un giorno di battersi contro. Del resto com’era possibile che, per una volontà superiore e con la subalternità dei governi locali, aree di eccezionale valore naturale fossero trasformate in un micidiale sistema d’armi che avrebbe messo a repentaglio proprio la sicurezza dei cittadini, facendoli diventare un perfetto bersaglio. Anche perché, nella nuova configurazione della risposta missilistica voluta da Bush, appariva evidente che quegli strumenti di morte – altro che forza di reazione, se erano sistemi capaci di colpire con il first strike, il micidiale primo colpo da day after atomico.
Anche per questo piccolo giornale, il manifesto, è un giorno importante. Troviamo conferma alla nostra battaglia cominciata nel marzo 2007, quando denunciammo in solitudine e dentro un silenzio rumoroso, che il governo Prodi di centrosinistra aveva aderito al trattato sullo Scudo antimissile, in segreto e senza coinvolgere il parlamento. Schierando fondi, industrie e il nostro territorio a disposizione del patto scellerato. Il Pd (allora Ds e Margherita insieme) alla fine lo rivendicò. Siamo curiosi di sapere adesso quale dichiarazione farà l’ex ministro della difesa Parisi, il sottosegretario Forcieri e l’allora segretario Ds Fassino, tutti grandi sottoscrittori. Un motivo in più perché quella che ancora insiste a chiamarsi sinistra s’interroghi sulle ragioni profonde, a partire dall’opposizione alla guerra, che possono renderla finalmente viva.
Fonte: Il Manifesto
17 settembre 2009