Non bisogna lasciare solo il Dalai Lama, grande difensore dei diritti umani. Alle Olimpiadi con un bel cartello accanto
Patrizia Caiffa
Intervista ad Antonio Papisca docente di relazioni Internazionali e tutela dei diritti umani dell’Università di Padova.
“Con la violenza non si risolvono i problemi ma solo si aggravano”: così Benedetto XVI nel suo appello per il Tibet, nel quale ha espresso, nel corso dell’udienza generale del 19 marzo, “tristezza e dolore di fronte alla sofferenza di tante persone”. Nello stesso giorno il Dalai Lama ha lanciato un appello per la ripresa del dialogo con la Cina, minacciando le dimissioni se le violenze, anche dei tibetani, non si fermeranno. La SIR ne ha parlato con Antonio Papisca, docente di relazioni Internazionali e tutela dei diritti umani dell'Università di Padova.
Come valuta la posizione del Dalai Lama?
“E’ una posizione coerente, anche se difficile. E’ una testimonianza forte. Il Dalai Lama ha già compiuto degli atti importanti, perché ha ‘laicizzato’ la costituzione del Tibet in esilio. Ha agganciato la costituzione alla dichiarazione universale dei diritti umani, quindi ad un’etica pacifica, non violenta. Lui si trova ad essere il capo della parte mondana in esilio, però come capo fa prevalere la dimensione spirituale”.
Però nella storia non sempre i leader spirituali non violenti sono riusciti a controllare i movimenti del popolo, basta pensare all’India dopo l’indipendenza…
“Certo ci sono delle contraddizioni. Però la via dei diritti umani è la via del perfezionamento. Sono dei processi graduali. Una risorsa di potere per portare avanti questi discorsi non violenti è sicuramente la coerenza dei comportamenti con i valori che si professano e l’intelligenza politica. Vediamo se i tibetani sono anch’essi ‘credenti’ e se lo seguono. Altrimenti perderebbero consenso a livello mondiale, perché c’è una grande simpatia nei confronti del Dalai Lama e della causa dei tibetani, da sempre considerati non violenti, testimoni nonostante le sofferenze”.
C’è anche chi contesta al Dalai Lama di non chiedere l’ indipendenza…
“Bisogna stare attenti che non ci siano gruppi di persone che contraddicono la filosofia religiosa del buddismo tibetano. Questo rischio c’è. E’ ragionevole che il Dalai Lama chieda l’autonomia. Lui giustamente fa i conti con la realtà, e chiede intanto l’autogoverno, che significa autonomia avanzata. Il che non esclude che possa e debba esserci la piena indipendenza, per salvaguardare l’identità del popolo, garantita dal diritto internazionale”.
La comunità internazionale sta facendo abbastanza per il Tibet?
“La comunità internazionale deve far sentire la voce e aiutare la popolazione tibetana, che è disperata. E’ in atto un processo di genocidio culturale che uccide l’identità. Deve premere ora, visto che la Cina tiene molto alla sua immagine, perché ha voluto essere eletta nel Consiglio per i diritti umani. Nel suo atto di autocandidatura di un anno fa c’è un impegno forte a ratificare i trattati internazionali dei diritti umani”.
Quali consigli?
“Non bisogna lasciare solo il Dalai Lama. Bisogna difenderlo cogliendo l’elemento di coerenza di quest’uomo, che è un difensore dei diritti umani. A suo sostegno servono dichiarazioni di ripudio della violenza da qualunque parte provengano. A tutti i livelli, agendo con accortezza e furbizia, ci deve essere una fortissima reazione della comunità internazionale, sfruttando la congiuntura storica di una Cina sempre più intrappolata nel sistema mondiale. Fino a qualche tempo fa, la Cina si teneva fuori dal sistema organizzato dei diritti umani. Ora ha cominciato a ratificare i trattati internazionali, e questo comporta l’accettazione di una autorità internazionale di controllo. E’ anche buona la proposta dell’Italia di inviare la troika dell’Ue a Lhasa e a Pechino. Un azione del genere dovrebbe essere condotta all’interno del dialogo Ue-Cina, ossia percorsi politico-diplomatici con scambi di idee sui diritti umani”.
E alle Olimpiadi?
“Alle Olimpiadi le squadre dovrebbero andare con la bandiera nazionale e un bel cartello accanto, durante la sfilata iniziale e durante le premiazioni. Ogni delegazione dovrebbe adottare un diritto umano diverso. Ad esempio il diritto all’identità culturale, il diritto alla vita, ecc. Questo è un modo di fare pressione molto più efficace del boicottaggio. Non serve dare schiaffi agli atleti e umiliare lo sport. Approvo però la proposta che i capi di Stato e governo boicottino la cerimonia di apertura, mandando delegazioni di rappresentanza a livello inferiore”.
A CURA DI PATRIZIA CAIFFA
AGENZIA SIR
SCHEDA
Nel 1959 l'Esercito Popolare Cinese completò l'occupazione del Tibet iniziata nel 1950. Nell’arco di un cinquantennio il governo cinese ha messo in atto un programma sistematico di eliminazione di tutti i punti di riferimento culturale e religioso, con la distruzione di scuole, biblioteche, luoghi di culto e opere d'arte sacra risalenti spesso a più di mille anni fa. Si calcola che in questi quattro decenni oltre 1.200.000 tibetani siano morti a causa della repressione e degli sconvolgimenti sociali ed economici che ne sono derivati. Oltre al Dalai Lama, premio Nobel per la pace 1989, più di 135.000 dei sei milioni di tibetani si sono rifugiati in India e Nepal per sfuggire alla persecuzione religiosa e cercare di preservare le basi della loro cultura.