Niger, i veri motivi dell’intervento italiano
VITA
Il reporter e ricercatore Giacomo Zandonini ha lavorato di recente nel Paese africano in cui l’Italia si appresta a inviare un proprio contingente militare. Ecco il suo sguardo in prima linea.
Cosa succede in Niger? Perché l’Italia sta portando un proprio contingente militare? Il motivo è il controllo dei flussi migratori oppure c’è altro?
Vita.it raccoglie la testimonianza del giornalista e ricercatore Giacomo Zandonini, che ha passato due degli ultimi sei mesi nel Paese africano oggi al centro dell’attenzione europea. Zandonini è stato soprattutto nella regione di Agadez e nei villaggi sparsi nella zona predesertica sia per reportage (a questo link un suo contributo per Openmigration) che per il rapporto sul Fondo fiduciario della Ue per l’Africa promosso dalla rete di ong Concord Europe e per un lavoro di documentazione per l’Oim, Organizzazione internazionale delle migrazioni.
Qual è la situazione attuale in Niger?
Stiamo parlando di una delle nazioni con il reddito medio più basso del mondo, come conferma ogni anno da tempo l’Indice di sviluppo umano dell’Onu. È un popolo che vive di agricoltura, pastorizia e commercio locale. Non ha sbocco sul mare e mentre la zona a sud, dove c’è la capitale Niamey, è più umida e la terra è più fertile, a nord il deserto la fa da padrone e rende una vasta zona del Niger quasi completamente disabitata. Basti pensare che la regione di Agadez, grande come la Francia, ha in tutto solo 500mila abitanti.
È qui che passa la maggior parte dei migranti dell’Africa subsahariana che vogliono andare a Nord?
Agadez è sempre stata una città carovaniera, storicamente quindi è una via di passaggio. In particolare, se veniamo ai nostri giorni, i numeri sono aumentati di molto dopo la caduta di Gheddafi in Libia nel 2011: da allora i confini della Libia non sono più controllati e quindi le reti del traffico hanno potuto organizzare i loro viaggi pressoché indisturbate, con il consenso della popolazione locale, perché il passaggio di migranti, che pagavano cifre molto alte per ogni bene o servizio ricevuto, ha di fatto portato un miglioramento economico a molti abitanti del nord del Niger, che ospitavano le persone di passaggio e le traghettavano dall’altro lato del deserto. Ma dall’autunno del 2016 il traffico che passava da Agadez e avveniva alla luce del sole subisce una forte frenata, perché il governo nigerino inizia un piano di controlli a tappeto lungo una sorta di frontiera invisibile poco fuori la città. Un controllo che nonostante le difficoltà – in alcuni casi nel deserto, dove le uniche strade sono le piste nella sabbia, i militari stessi hanno perso la vita a causa delle ardue condizioni atmosferiche, compreso il rischio improvviso di tempeste di sabbia – ha mutato la rotta migratoria di quella zona.
Dove si sono spostati i flussi?
In diversi villaggi della regione, sparsi nell’area desertica, che in parte sono riuscito a visitare, e nella zona della città di Zinder, soprattutto -ma non solo- per le persone provenienti dalla Nigeria. Agadez rimane comunque un passaggio ma ora gli spostamenti sono “nascosti”, ovvero non più alla luce del sole come prima e per questo, tra l’altro, più rischiosi perché mentre prima – pur con situazioni diversificate – si incrociavano raramente con i traffici di droga e armi, legati anche a gruppi di matrice jihadista, ora potrebbero farlo. Quindi questa mossa paradossalmente potrebbe avere aumentato la possibilità che gruppi estremisti beneficino dei proventi del traffico di persone. La presenza delle forze militari internazionali, del resto, ha già portato a reazioni da parte di leader emergenti jihadisti del nord del Mali, come Adnan Abu Walid Sahraoui, che nei giorni scorsi ha chiamato alla lotta armata contro gli “invasori”.
In quale contesto si inserisce l’invio di militari italiani in Niger?
Si aggiunge ad operazioni internazionali già presenti. In particolare supporta la coalizione – con Francia e Germania – del G5 Sahel, il patto antiterrorismo sancito nel 2014 (ma solo oggi in fase di avvio operativo) da cinque paesi della zona del Sahel: Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger. In Niger, questo patto si affianca all’azione di Eucap Sahel Niger, missione civile dell’Unione Europea che dal 2012 si occupa di sicurezza, addestramento e coordinamento delle forze armate locali e attività di intelligence. L’intervento italiano sembra prevedere – si è ancora in attesa di sapere quali accordi scritti sono stati stipulati – una funzione simile per i militari italiani, ovvero non di combattimento diretto ma piuttosto di formazione e assistenza.
La lotta al traffico di migranti e al terrorismo sono le priorità di questo intervento?
Sulla carta sì. Se guardiamo però al quadro più ampio, della strategia italiana nell’Africa centro-settentrionale, la motivazione geopolitica è per lo meno altrettanto forte. Mi spiego: la Francia ha da pochi anni la propria base militare a Madama, quasi al confine con la Libia, dove si è ipotizzato che possano recarsi anche alcuni militari italiani. Da qui Parigi non controlla il passaggio di migranti ma sa di poter avere un appoggio logistico in caso di necessità relativa a conflitti o episodi critici. Gli Stati Uniti sono presenti con la base per i droni più grande dell’Africa Subsahariana poco fuori Agadez. La Germania è arrivata con la propria base nella capitale a inizio 2017. Da qui la considerazione, da parte italiana, della “necessità” di questa presenza, anche nell’ottica dello scenario libico, da sempre conteso con la Francia e ora più instabile che mai (in queste ore gli scontri in varie zone compresa la capitale Tripoli ha prodotto molti morti tra i clan avversi e un’impennata delle partenze dei migranti con almeno 1400 salvataggi nel solo giorno di martedì 16 gennaio 2018, 400 dei quali riportati in Libia dalla Guardia costiera libica, ndr). Anche se all’opinione pubblica italiana viene presentata come un’azione di controllo antiterrorismo e di gestione dei flussi, l’interesse geopolitico dell’intervento italiano è evidente e prioritario. Poco sappiamo, per ora, di interessi economici e potenziali investimenti privati italiani in Niger. Intanto però, si mette un piede su un territorio tradizionalmente lontano dalla politica estera italiana.
VITA
17 gennaio 2018