Netanyahu ai coloni: non esagerate
Aldo Baquis
La moratoria è scaduta, gli ultraortodossi: «Hussein Obama, questa terra è nostra».
La moratoria di dieci mesi nelle colonie in Cisgiordania si è conclusa ieri e adesso sono in pericolo le trattative di pace israelo-palestinesi. Vista da Gerusalemme, la crisi non ha motivo di esistere. Israele, garantisce il premier Benjamin Netanyahu, non progetta affatto una colonizzazione in grande stile, ma cerca solo di venire incontro alle esigenze immediate di carattere demografico dei 300 mila coloni.
Ma per Stati Uniti e per il presidente dell'Anp Abu Mazen l'ostacolo è molto significativo. Il presidente Barack Obama, alle Nazioni Unite, ha fatto ricorso a tutto il prestigio personale per convincere Netanyahu ad estendere la moratoria di alcuni mesi. In seguito il premier israeliano ha ricevuto una preoccupata telefonata di Angela Merkel e ha ospitato per ore nella propria residenza di Cesarea l'emissario del Quartetto Tony Blair. Queste pressioni non sono però bastate a rendere il premier più malleabile: la moratoria era stata concepita come un gesto di buona volontà, per rimettere in moto i negoziati di pace. Se i palestinesi sono rimasti a guardare per nove mesi, Israele – ha spiegato – non può sentirsi in colpa. Di fronte a questi sviluppi, sia Netanyahu sia Abu Mazen hanno comunque mantenuto un atteggiamento calcolato al millimetro. Il premier israeliano ieri ha ordinato il silenzio totale a tutti i ministri e ha ottenuto dai coloni l'impegno a non compiere azioni provocatorie.
Nemmeno Abu Mazen si è sbilanciato in dichiarazioni perentorie anche se ha ripetuto, da Parigi dove ha parlato alla comunità ebraica, che senza il congelamento degli insediamenti «i colloqui di pace sono una perdita di tempo». Come spesso accade nei momenti di incertezza, Abu Mazen ha sentito la necessità di consultarsi con la Lega araba e il nuovo vertice è stato fissato per il 4 ottobre. Netanyahu sembra non voler lasciare chiudere lo spiraglio delle trattative. E puntuale, allo scadere della moratoria, ha diffuso un comunicato nel quale si è appellato ad Abu Mazen invitandolo a continuare i negoziati per «giungere a un accordo storico» anche a moratoria scaduta.
Anche se non amano discuterne troppo in pubblico, Netanyahu, Abu Mazen e Barack Obama, conoscono il caso di Gerusalemme Est. Dopo la sfortunata visita di Joe Biden – durante la quale il ministro israeliano degli Interni annunciò l’estensione del rione ebraico di Ramat Shlomo – a Gerusalemme Est vige di fatto un congelamento della edilizia ebraica. Nessuna moratoria in merito è stata annunciata, eppure i cantieri attraversano un periodo di torpore. Visto che tutti i protagonisti delle trattative sembrano ancora molto interessati a portarle avanti, la questione è se sia possibile creare anche in Cisgiordania una situazione in cui formalmente non c'è più alcuna moratoria ma di fatto i progetti edili ebraici procedano al rallentatore. Secondo il ministro della Difesa Ehud Barak, le probabilità di una intesa sono il 50 per cento.
Da parte loro i coloni affermano di avere già i permessi per costruire 2.000 nuovi alloggi. Altri 11 mila permessi potrebbero aggiungersi nei prossimi mesi. E nonostante l’appello di Netanyahu alla moderazione, si è svolta a Revava l’annunciata manifestazione per celebrare la fine della moratoria, a cui hanno partecipato circa 2500 persone che hanno fatto volare 2mila palloncini, a simboleggiare le nuove case che intendono iniziare a costruire la prossima settimana. I manifestanti hanno scandito slogan contro il governo e tirato in ballo la Casa Bianca: «Hussein Obama, la terra d’Israele è nostra», hanno detto usando di proposito il secondo nome del presidente Usa.
Fonte: La Stampa
27 settembre 2010