Neonato morto, gli assistenti sociali: “Adesso è troppo tardi per sorprendersi”
Redattore Sociale
Da un lato lo stereotipo dell’assistente sociale che “ruba” i bambini, dall’altro la mancanza di tempo e di risorse. Calbucci, Ordine regionale assistenti sociali: “Difficile intervenire nel disagio sociale complesso quando si lavora solo sull’emergenza”.
BOLOGNA – Stretti fra la sfiducia dei cittadini e la mancanza di risorse. Così si sentono oggi gli assistenti sociali bolognesi. Lo spiega Roberto Calbucci, vicepresidente dell’Ordine regionale e assistente sociale nel reparto maternità dell’Ospedale Maggiore. “Come ordine esprimiamo prima di tutto cordoglio per quello che è accaduto – spiega – perché la morte di un neonato è una perdita per tutti”. Spesso, secondo Calbucci, “i genitori hanno timore di rivogersi agli assistenti sociali: è chiaro che se si parte da un rapporto di sfiducia, di paura, è difficile intervenire ed attivare soluzioni efficaci e condivise. Anche in carenza di risorse, però, se si realizza un rapporto di condivisione e collaborazione si raggiunge quel presupposto che ridimensiona quel conflitto latente, consentendo alla persona di esprimere limiti e carenze, responsabilizzando entrambi al raggiungimento del risultato migliore possibile”.
La “paura”, secondo Calbucci, è dovuta in parte allo stereotipo dell’assistente sociale che “ruba i bambini”, dall’altra alla cronica mancanza di risorse che costringe a lavorare solo sull’emergenza. “Da un lato non è sempre disponibile una soluzione abitativa, offrire un lavoro o un contributo a chi si rivolge a me perché le risorse scarseggiano, dall’altro non posso non intervenire – continua il vicepresidente –: così gli assistenti sociali sono costretti a inseguire le emergenze, mentre manca il tempo per avviare percorsi di lunga durata e soprattutto per fare interventi precoci, infine è importante recuperare in una dimensione di lavoro di comunità nel quale è possibile individuare ed attivare energie nella realtà locale ”.
Un tipo di intervento che Calbucci riesce a mettere in atto nell’ambulatorio del Maggiore per le gravidanze a rischio: “Qui vediamo i genitori mesi prima del parto – spiega – così riusciamo a lavorare insieme a loro, a responsabilizzarli: la richiesta di aiuto è un diritto e non solo un’intervento di controllo. È possibile condividere lo stesso obiettivo comune che è il benessere dei bambini. Eppure ad ogni colloquio la prima cosa che riemerge è la paura di vedersi sottratti i figli”.
Interventi precoci, accompagnamento, continuità dell’assistenza dall’ospedale al quartiere. “Ecco cosa sarebbe necessario migliorare, se davvero vogliamo parlare di adeguamento dei servizi sociali alle nuove forme di povertà”, come proposto oggi dal commissario Anna Maria Cancellieri. “Adesso si parla di assistenti sociali non più specializzati, si chiama in causa il decentramento dei servizi – continua Calbucci –, eppure non sono temi nuovi, non possiamo sorprenderci. Come ordine speriamo che questa sia l’occasione per metterci davvero attorno a un tavolo e costruire un nuovo modello di intervento, adatto a rispondere a una povertà che si sta trasformando”.
E per quanto riguarda i minori Calbucci avanza anche una proposta pratica: “Fare un lavoro comune almeno sul primo anno di vita del bambino, che è quello più delicato”, ricorrendo anche al mondo del volontariato. “Al Maggiore lo facciamo ad esempio con il Gruppo coccole: una quarantina di volontari che si occupano dei bambini con genitori in difficoltà. Sarebbe a volte di aiuto far proseguire l’accompagnamento anche dopo l’ospedale per sostenere famiglie che non hanno reti amicali\parentali, ma è possibile anche utilizzare altre risorse già presenti nei Quartieri, per concentrare le attenzioni nel primo anno di vita, ma il lavoro di avvicinamento delle persone in situazione di bisogno è complesso e richiede ancora più preparazione, in questo l’Ordine si è impegnato realizzando percorsi di formazione che sempre di più si dovrebbero realizzare congiuntamente e organizzare nei contenuti con il contributo di tutte le istituzioni ”.
Fonte: www.redattoresociale.it
11 Gennaio 2011