Nel mondo 38 “predatori della libertà di stampa”
Redattore Sociale
Rapporto Reporters sans frontières. L’elenco comprende, tra gli atri, il presidente ruandese Paul Kagame, il bielorusso Alexandar Lukachenko, l’eritreo Isaias Afeworki e i cartelli di narcotrafficanti messicani. Per l’Italia c’è il presidente del Consiglio Berlusconi.
Sono 38 i "predatori della libertà di stampa" censiti nel rapporto 2011 di Reporters sans frontières, presentato questa mattina a Milano, in occasione della Giornata mondiale per la libertà di stampa. Un elenco che comprende, tra gli atri, il presidente ruandese Paul Kagame il bielorusso Alexandar Lukachenko, il presidente eritreo Isaias Afeworki e i cartelli di narcotrafficanti messicani. Per quanto riguarda l’Italia, anche quest’anno, tra i 38 predatori è presente la criminalità organizzata italiana, che continua a considerare propri nemici i giornalisti che ne parlano. Il rapporto ricorda i casi più noti di giornalisti minacciati (da Roberto Saviano a Lino Abbate a Rosaria Capacchione) così come il mancato sostegno del Primo Ministro italiano, Silvio Berlusconi, che -a novembre 2009- dichiarò che avrebbe voluto strozzare scrittori e autori di cinema che davano una cattiva immagine dell’Italia parlando di mafia e camorra.
Nel rapporto 2011 il “posto d’onore” va al Nord Africa e al Medio Oriente, luoghi che hanno visto negli ultimi mesi eventi drammatici e talvolta tragici. "La libertà di espressione è stata una delle prime richieste dei popoli in rivolta -si legge nel rapporto- una delle prime concessioni dei regimi transitori e uno delle prime realizzazioni, anche se molto fragili, delle rivoluzioni".
Tentativi di manipolare i giornalisti stranieri, arresti arbitrari e detenzione, deportazione, negazione di accesso, intimidazioni e minacce, la lista degli abusi contro i media nel corso della primavera araba "è sconcertante", si legge nel rapporto. Ci sono stati più di 30 casi di detenzione arbitraria in Libia e di un numero simile di corrispondenti stranieri espulsi. Metodi simili sono stati utilizzati in Siria, Bahrein e Yemen, dove le autorità fanno ogni sforzo possibile per mantenere i mezzi di comunicazione a distanza in modo che non possano girare video della repressione. "I media hanno raramente avuto un ruolo così fondamentale nei conflitti -si legge nel rapporto-. Questi regimi, già tradizionalmente ostili alla libertà dei media, hanno trattato il controllo delle notizie e delle informazioni come una delle chiavi per la loro sopravvivenza". Il testo integrale del rapporto, è scaricabile dal sito di "Reporter sans frontiere", www.rsf.org.
Fonte: Redattore Sociale
3 maggio 2011