Nakba Day, versione 2011: una “giornata particolare”
Paola Caridi - invisiblearabs.com
15 maggio, la commemorazione della Nakba. Le rivoluzioni cambiano tutto, anche le manifestazioni.
Nessuno aveva dubbi – tra gli israeliani, tra i palestinesi, tra gli arabi – che il 15 maggio 2011 sarebbe stata una giornata particolare. Nascita di Israele, e parallelamente la commemorazione della Nakba, della “catastrofe” palestinese, la fuga sotto la paura di essere ammazzati di 750 mila palestinesi dalle loro case, i loro villaggi, la loro storia, la loro terra. Che sarebbe stata una giornata particolare, oggi, lo si sapeva da settimane. Le rivoluzioni arabe hanno abituato a questa “chiamata” attraverso l’indicazione di una data precisa. La data precisa era il Nakba Day, 15 maggio, la decisione – comune da nord a sud – era quella di un gesto eclatante: andare ai confini, per dire che quei confini rappresentano ciò che va ridiscusso. La fine dell’occupazione, il diritto al ritorno per i palestinesi, una identità palestinese che si riappropria di una geografia che non è limitata a (un pezzo di) Cisgiordania e a una Striscia di Gaza chiusa da tutti i lati.
Strano Nakba Day, insomma. Non solo le manifestazioni dei palestinesi di Israele, ma i palestinesi a Qalandiya, a Ramallah, al Muro che impedisce loro di andare a Gerusalemme. E poi – per la prima volta – palestinesi alla frontiera tra Libano e Israele, e palestinesi e siriani sul Golan. Infiltrati, li hanno chiamato le autorità israeliane, riferendo sulla reazione durissima delle forze armate di Tel Aviv. Molti i morti, sia lungo il confine libanese, sia sul Golan occupato dal 1967. Moltissimi i feriti, come molti i feriti a Qalandiya e a Erez, al valico tra Gaza e Israele. Una decisione, quella di manifestare lungo i confini, che ancora una volta conferma quanto questo 2011 stia cambiando parametri, comportamenti, strumenti politici. Mai, negli ultimi anni, era successa una cosa del genere. Mai si era preparata in così poco tempo, e con questa partecipazione, una dimostrazione così diversa dal solito. Le rivoluzioni arabe, insomma, sono arrivate ai confini. E questo cambia molto.
Questo 15 maggio l’ho passato, invece, a Torino, con grande gioia. Perché è stato un vero piacere vedere quanto, ancora una volta, il pubblico sia migliori di quanto l’Informazione pensi. E’ stato un piacere presentare di fronte a una sala piena al Salone del Libro un romanzo come quello di Susan Abulhawa, Ogni Mattina a Jenin, pubblicato da poco più di un mese da Feltrinelli. Affresco con le pennellate tipiche di una mano e di uno sguardo femminile, grande racconto del dolore palestinese, ma anche dell’amore, della passione e della terra. Così come è stato un gran piacere moderare un dibattito molto poco ‘italiano’ e molto interno, come quello tra Sari Nusseibeh, Jamil Hilal, Ilan Pappe. Oltre la soluzione dei 2 Stati, considerata impossibile da tutti quanti, la discussione è stata sul futuro possibile, sulle nuove coordinate imposte dalle nuove generazioni palestinesi, e soprattutto su di una identità palestinese che non può rimanere confinata all’interno dei territori dell’ANP. Confini, ancora una volta. Perché l’identità palestinese si riappropria di una geografia che va oltre i confini di Oslo e di una retorica della pace che non risponde più alle richieste di oggi.
Da ultimo, una piccola parentesi egiziana: il ministro degli esteri egiziano Nabil el Arabi è appena stato designato nuovo segretario generale della Lega Araba. Promoveatur ut amoveatur? Stay tuned, soprattutto ora….
Fonte: Blog di Paola Caridi, http://invisiblearabs.com
15 maggio 2011