Nairobi, la diplomazia pensa ai "Peacekeepears"


Mauro Sarti


Pessimista Pierandrea Magistrati, ambasciatore italiano in Kenia: “I media per l’Africa possono fare molto. Ma sono ancora tanti gli stereotipi da combattere. Servono forze di pace interne, africane, per mediare sui conflitti”.


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Nairobi, la diplomazia pensa ai "Peacekeepears"

NAIROBI – “Un ruolo importante è quello dei media. Di gente che può descrivere la realtà di quello che sta succedendo. Senza dare un’immagine stereotipata dell’Africa, della povertà, delle guerre, ma raccontando anche le cose positive che succedono qui. Grazie ai media in questo modo la comunità internazionale potrà capire che l’Africa non è solo un paese da dove estrarre risorse…”. Pierandrea Magistrati è ambasciatore italiano in Kenya. Ha vissuto negli Usa ed è entrato nel servizo diplomatico a Mogadiscio, Somalia, nel 1970. Poi Marsiglia, Roma, Varsavia, i Balcani, Bonn, Berlino. Ambasciatore di pace alla Shalom House di Nairobi, il messaggio di Magistrati alla conferenza internazionale su “Resources and Conflicts in Africa” non è certo ottimista quando parla di Africa: “In Africa l’opinione pubbica occidentale è abituata a vedere un continente che soffre, e questa assuefazione non porta l’attenzione dei media sulla nostra gente. Non ci sono pressioni sui governi per intervenire. Fino ad oggi gli interventi dei paesi occidentali nei conflitti in Africa sono stati pochissimi, e tutti finiti negativamente. Come in Somalia, ad esempio. Servono invece forze di peace-keeping, forze di pace africane, dall’interno, ma è difficile: guardiamo la Somalia, l’Unione Africana aveva deciso di inviare 7.000 peacekeeper africani, ma solo il Ruanda ha risposto mandando 1000 persone. Ancora oggi i peacekeeper africani devono mettersi d’accordo. Per questo dico che sono pessimista”.

“In Africa – continua Magistrati – tutto comincia con i conflitti contro i poteri coloniali: poi, quando la maggior parte dei paesi sono diventati indipendenti, è arrivato il secondo periodo: quello dei conflitti etnici, tribali, conflitti che esistono tutt’ora. I leader di questi paesi erano, e sono, leader deboli nell’affrontare queste crisi. E nell’ovest, ma anche in India, in Cina, si comincia sempre più a vedere l’Africa esclusivamente come un paese molto importante per le sue risorse. La globalizzazione comporta l’accaparramento di risorse, anche in Italia. E per avere il controllo sulle risorse si possono usare diversi metodi: metodi violenti, oppure la minaccia militare, o la corruzione. Ecco, la corruzione è molto diffusa in Africa. E questo è un trend negativo, è già successo in Congo e nel Darfur, per fare un esempio, il problema è molto semplice: chi è esperto di quelle zone sa che in quel deserto c’è sicuramente il petrolio”.

“Cosa possiamo fare, allora? – conclude Magistrati -. Io non sono ottimista. I leader africani non si oppongono abbastanza a questa tendenza. E i poveri possono solo guardare, non hanno strumenti per intervenire: il controllo delle risorse non vuole solo dire “buon sviluppo” per il paese, il rischio è che queste risorse escano dal paese. Dunque, di conseguenza, avere molte risorse, molte materie prime, non migliora necessariamente la vita delle persone. Forse, solo quella di alcune di loro. L’Onu, l’Ue, e anche le altre organizzazioni internazionali, tendono a oggi osservare senza potere fare molto”.

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