Miracolo Livni?
Janiki Cingoli
La vittoria di Tzipi Livni per la premiership di Kadima si è rivelata molto più contrastata di quanto predicessero i sondaggi e gli exit poll, che ancora una volta hanno fatto cilecca. Ma come sostiene Janiki Cingoli, direttore del Centro Italiano per la pace in Medio Oriente, non c’è da meravigliarsene.
La vittoria di Tzipi Livni per la premiership di Kadima si è rivelata molto più contrastata di quanto predicessero i sondaggi e gli exit poll, che ancora una volta hanno fatto cilecca. Il vantaggio di oltre il 10%, anticipato fino a poche ore dal risultato reale che le ha attribuito il 43,7%, si è ridotto all’1,1%, ed anche il suo principale rivale, Mofaz, ha ottenuto oltre il 40% dei votanti. Un partito spaccato a metà, in cui si confrontano e si bilanciano da un lato la forza della tradizione, dall’altro la consapevolezza delle nuove sfide imposte dai mutamenti geostrategici in atto.
Non c’è da meravigliarsene. La base di Kadima è costituita in larga parte da ex militanti dl Likud, ed è evidente che per costoro il linguaggio rude rassicurante di Mofaz era molto più recepibile di quello, assai più sofisticato e sofferto della Livni.
Ancora, Shaul Mofaz, come Meir Sheetrit, l’altro sfidante, sono sefarditi, come larga parte dell’elettorato di Kadima e dello stesso Likud, mentre la nuova leader del partito appartiene alla aristocrazia ashkenazita, di provenienza europea, e la sua famiglia appartiene all’élite israeliana: suo padre, tra i leader dell’Irgun, la formazione armata clandestina della destra durante la guerra di indipendenza, è stato un influente membro della Knesset.
La Livni è inoltre donna, in un paese in cui le attitudini machiste non sono certo irrilevanti, che ha visto recentemente le dimissioni anticipate del suo Presidente della repubblica, incriminato per sexual harassment. La Livni non ha impostato la sua battaglia in termini di gender, come invece ha fatto la Clinton nella sfida per le presidenziali, ed ora sta facendo la stessa Paulin. Ma la sua vittoria costituisce lo stesso una rottura enorme, in un paese che fino ad oggi ha avuto la sua unica Premier con Golda Meir.
Infine, e questo è certamente l’elemento più rilevante, lei non fa parte di quel complesso militare-industriale che costituisce uno dei gangli di potere centrali dello Stato, e di cui al contrario Mofaz, come l’altro sfidante, Avi Dichter, e nel Labour lo stesso Barak, sono parte integrante. Anche se la Livni è stata una operativa del Mossad, i suoi rivali non hanno mancato di battere sul tasto della sua inesperienza militare, riprendendo la famosa battuta della Clinton contro Obama “Chi vorreste che rispondesse al telefono sulla linea rossa alle tre di notte?”.
Malgrado tutto questo, Tzipi Livni ha vinto le primarie, come le ha vinte Obama, e questo vuol dire che anche in un partito anomalo come Kadima la speranza ha prevalso sulla paura, il desiderio di rinnovamento, di pulizia e di nuove risposte alla sfida dei tempi ha prevalso sulla tendenza all’arroccamento.
I sondaggi elettorali avevano peraltro indicato in lei l’unica candidata in grado di contrastare la sfida del leader del Likud Netanyahu, ed anche la prospettiva di poter comunque guadagnare più seggi in caso di elezioni ha avuto il suo peso al momento del voto.
Le sfide a cui la nuova aspirante premier si trova di fronte non sono di scarso peso: dagli Hezbollah vengono rilanciate le minacce di nuove aggressioni; Hamas sta consolidando la sua presa su Gaza e le trattative per il rilascio di Shalit vanno a rilento; l’Iran va avanti con il suo programma nucleare, e Almadinejad continua a minacciare “l’Entità sionista”; il negoziato sul Final Status con Abu Mazen difficilmente potrà arrivare ad un accordo entro l’anno, come previsto nel dicembre scorso alla Conferenza di Annapolis; la stessa trattativa indiretta con la Siria, forse l’aspetto più promettente delle diverse iniziative diplomatiche dell’ultimo periodo di Olmert, richiede scelte difficili e soprattutto sconta la situazione di sostanziale vuoto del vertice Usa, destinata a protrarsi fino all’insediamento del nuovo presidente. Né sono da scartarsi fiammate improvvise e dra mmatiche a cui il nuovo Premier potrebbe trovarsi a far fronte.
Ma è forse sul piano interno che la Livni troverà le maggiori difficoltà, con la necessità di riunificate il suo partito lacerato, con le richieste esose degli alleati del partito religioso Shas per partecipare ad un nuovo governo da lei guidato, e soprattutto dalla concorrenza del leader laburista Barak, che vede come un rischio fatale per le sue aspirazioni il rafforzamento e la stabilizzazione della leadership della Livni, se riuscisse a formare un nuovo governo e a evitare elezioni anticipate.
Ma tuttavia qualche possibilità di farcela ce l’ha: è una leader tosta, e poi non è forse, quella, la terra dei miracoli?
Fonte: Cipmo.org
settembre 2008