Mine: meno vittime che in passato, meno fondi per il futuro?
Alessandro Graziadei - unimondo.org
Il rapporto Landmine Monitor 2013 fa il punto sulla lotta contro le mine anti-persona a 16 anni dalla firma del Trattato di Ottawa.
Il Trattato di Ottawa del 1997 sulla messa al bando delle mine anti-persona e la più recente Convenzione di Oslo sulle cluster bombs, ratificato dall’Italia nel 2011, sono state due tappe fondamentali verso il disarmo umanitario che ha portato lo scorso anno al livello più basso di persone uccise o ferite dall’esplosione di questo tipo di ordigni dall’inizio delle rilevazioni 14 anni fa diminuito da 4.474 a 3.628. Meno vittime quindi, ma anche più fondi e più opere di bonifica sono le tendenze rilevate tra il 2011 e il 2012 dal Landmine Monitor 2013, un rapporto diffuso a Ginevra dalla Campagna internazionale per la messa al bando delle mine (Icbl) che ha fatto il punto sulla lotta contro le mine anti-persona a 16 anni dalla firma del Trattato di Ottawa.
Ma le note positive rivelate dal rapporto 2013 riguardano anche le estensioni di territorio bonificato e il numero di ordigni distrutti. Tra il 2011 e il 2012 si è passati, infatti, da 190 a 281 chilometri quadrati. Anche in questo caso un record, che grazie a stanziamenti complessivi per 681 milioni di dollari del Fondo per la bonifica umanitaria ha permesso di distruggere ben 240.000 ordigni. Secondo i responsabili della Campagna “in questi anni come conseguenza diretta dell’approvazione del Trattato di Ottawa l’uso delle mine anti-persona si è ridotto in modo evidente, ma non è ancora cessato”. Ogni giorno circa 12 persone vengono uccise o mutilate da questi ordigni. Particolarmente critica è la situazione nello Yemen dove, come certifica il Landmine Monitor 2013, tra il 2011 e il 2012 “il numero di vittime degli ordigni è aumentato da 19 a 263”, una situazione limite, ma che interessa da vicino anche Myanmar, Afghanistan, Colombia, Pakistan, Thailandia e Tunisia.
E in Siria? Durante la IV Conferenza degli Stati Parte per la messa al bando delle munizioni Cluster che si è tenuta in settembre a Lusaka in Zambia, l’Italia ha manifestato “serie preoccupazioni circa l’uso di munizioni a grappolo contro i civili nel conflitto in corso in Siria. I fatti riportati dalla Commissione d’inchiesta internazionale ed indipendente sulla Repubblica araba siriana rappresentano una grave violazione degli obblighi degli Stati i quali devono proteggere i civili da azioni che causino danni ingiustificati, a prescindere se questi predetti Stati siano parte o no di una convenzione specifica. L’Italia chiede a tutte le parti coinvolte nel conflitto siriano di astenersi dall’uso di munizioni a grappolo, chiedendo alla Siria di aderire alla convenzione sulle cluster bombs senza ulteriori ritardi”.
Le parole della diplomazia italiane a Lusaka sono state molto apprezzate anche della rete internazionale di ong che segue con attenzione la Convenzione di Oslo sulle cluster bombs. “Siamo molto soddisfatti del contributo offerto dal nostro Paese attraverso la delegazione Italiana, la condanna dell’uso di munizioni cluster della Siria viene espressa in un contesto diplomatico significativo e certamente in un momento importante e delicato” ha dichiarato Giuseppe Schiavello direttore delle Campagna Italiana Contro le Mine. “L’Italia sta procedendo speditamente nella distruzione del proprio stock di munizioni cluster ed è impegnata, da molto tempo, in ambito di cooperazione su numerosi progetti collegati alla mine action ed al reinserimento delle vittime degli ordigni inesplosi” ha precisato Schiavello.
“Purtroppo a questo grande impegno nel 2013 è corrisposto un taglio del Fondo per la bonifica Umanitaria che è stato ridotto di circa il 37%, passando da una dotazione di 2 milioni di euro a 1 milione 250 mila circa” ha concluso Schiavello. Quando si arriva in un territorio infestato dalle mine bisogna prima di tutto raccogliere dati minuziosi. Spesso le mappe sono inesistenti: ci si basa sulle testimonianze della popolazione, sui racconti degli agricoltori, dei pastori, degli stessi sopravvissuti. Inizia poi lo sminamento vero e proprio: un lavoro lento e molto costoso, che va fatto palmo a palmo, metro quadro dopo metro quadro. Oggi ci sono tecnologie per facilitare le operazioni “ma il sistema manuale resta il più sicuro – ci ha spiegato Nino Sergi, fondatore di Intersos – perché è l’unico che garantisce una totale affidabilità”. La bonifica di un territorio circoscritto ad opera delle squadre di sminatori dura solitamente dai 6 agli 8 mesi. Un lavoro pericoloso almeno quanto indispensabile.
Per questo occorre quanto prima ristabilire la dotazione originaria del Fondo per la bonifica umanitaria e il sostegno delle vittime. La Campagna Italiana ha, nelle scorse settimane, lanciato un nuovo appello ai deputati e senatori con un significativo richiamo: “Non c’è guerra che giustifichi la visione di un bambino senza braccia o senza gambe, esseri umani condannati a mero effetto collaterale – ha aggiunto Santina Bianchini Presidente della Campagna Italiana – e solo attraverso questo Fondo umanitario l’Italia può continuare a portare avanti progetti di cooperazione importanti. Tagliarlo equivale a bendarsi gli occhi di fronte allo scempio dell’eredità di queste guerre di cui, le uniche vere vittime, sono le popolazioni non in armi”. Il 75% delle vittime, infatti, sono civili e di queste il 43% bambini.
Non bisogna inoltre dimenticare che se i morti e i feriti diminuiscono, per ammissione della stessa Campagna internazionale per la messa al bando delle mine, le vittime reali di mine anti-persona e cluster bombs sono sicuramente maggiori rispetto alla realtà dei numeri basandosi il rapporto solo sui casi documentati e constatando che i territori maggiormente colpiti sono proprio quelli dove è più difficile raccogliere e trasmettere i dati. Un quadro incompleto, dunque, ma già sufficiente per ricordarci che la strada per la bonifica da questa piaga è ancora lunga. Del resto agli stati firmatari del Trattato di Ottawa mancano ancora potenze mondiali o regionali molto importanti come Stati Uniti, Russia, Cina, India e Pakistan.
Fonte: www.unimondo.org
7 dicembre 2013