Migranti morti in mare. Colpa di Italia e Europa
Redattore Sociale
Cento persone decedute a largo della Libia. Unhcr: una settimana alla deriva senza aiuti, “orrore devastante”. Centro Astalli: “Tragica prova dell’inadeguatezza delle politiche europee sulle migrazioni”. Asgi: “Ong tornino in zona Sar”
La responsabilità dei nuovi naufragi avvenuti domenica al largo delle coste della Libia è di Italia ed Europa. Lo dicono senza mezzi termini le associazioni alla notizia di almeno 100 dispersi dell’ultima tragedia del mare. Secondo l’Unhcr la barca, poi naufragata, è rimasta almeno una settimana a largo senza ricevere aiuto. Di “orrore devastante” parla la portavoce Carlotta Sami, secondo cui all’interno dell’imbarcazione c’erano circa 130 persone, tra cui anche dei bambini. Solo 40 persone sono state recuperate.
La notizia di questi 100 migranti morti dovrebbe provocare indignazione e sgomento – sottolinea Padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli -. Le politiche europee di chiusura mostrano ancora una volta la loro inadeguatezza nel gestire un fenomeno complesso come quello delle migrazioni. Umanità e lungimiranza guidino i governanti nel prendere decisioni che mettano al centro la persona e ispirino i cittadini ad aprirsi all’altro, in un’ottica di promozione umana e solidarietà”. Il centro Astalli ribadisce che la situazione in Libia è “altamente instabile”. “Nei centri di detenzione i migranti, esposti a violenze e abusi, rischiano la vita – continua la nota -. Il tentativo di attraversare il mare per molti migranti è dunque l’unica possibilità di salvezza. Purtroppo come era prevedibile le trattative con la Libia e con i Paesi di transito anche se hanno ridotto rapidamente il numero degli arrivi non hanno cambiato nella sostanza fenomeni troppo complessi da essere risolti nell’immediato. A prova di ciò i migranti continuano ad essere vittime del traffico di esseri umani senza un’alternativa legale che consenta l’arrivo in Europa in sicurezza”. Per questo il Centro Astalli chiede a istituzioni nazionali e sovranazionali: l’attivazione immediata di vie legali che consentano a chi scappa da guerre e persecuzioni di giungere in Europa per chiedere protezione. Di non far accordi con paesi terzi in cui non vengono rispettati i diritti umani e in cui non sia pienamente assicurato il rispetto del diritto d’asilo. Di non ridurre lo sforzo di ricerca e soccorso delle imbarcazioni in difficoltà nel Mediterraneo.
Sulla stessa scia l’Asgi, l’associazioni studi giuridici sull’immigrazione, che parla di “naufragi che potevano essere evitati”. “L’Unione Europea e l’Italia in particolare ne portano la tremenda responsabilità morale.L’area nella quale i tragici fatti si sono svolti infatti è un’area nella quale fino a poche settimane fa operavano le attività di ricerca e soccorso realizzate dalle organizzazioni umanitarie e dalle unità navali italiane. Dette attività sono cessate sia a seguito delle pressioni esercitate dal governo italiano attraverso il cosiddetto codice di condotta imposto alle organizzazioni umanitarie, sia a seguito della proclamata competenza da parte della Libia della propria area Sar, comunque non riconosciuta dall’ Organizzazione Marittima Internazionale (Imo) – spiega l’Asgi -. Tale situazione ha costretto le organizzazioni umanitarie, già oggetto di incredibili campagne di denigrazione e delegittimazione, a ritirarsi dall’area di operazioni nella quale operavano. In violazione delle convenzioni internazionali sugli obblighi degli Stati nel predisporre misure adeguate a garantire il soccorso in mare, l’area di cosiddetta competenza libica è divenuta di fatto una sorta di “area di nessuno”, nella quale le attività di soccorso non vengono affatto garantite, come le stesse specifiche dinamiche del naufragio di cui si è venuti a conoscenza, con i pochi superstiti rimasti in balia del mare per giorni permettono di evidenziare con chiarezza”.
L’Asgi ricorda che non è possibile stabilire quante altre analoghe tragedie siano avvenute nelle settimane scorse e di cui l’opinione pubblica internazionale non è a conoscenza perché i singoli episodi, anche per dimensioni, sono stati facilmente occultati da parte di chi oggi precariamente controlla pezzi del territorio libico. E anche per questo chiede nuovamente con forza il ripristino immediato delle operazioni di ricerca e soccorso nelle cosiddette aree Sar libiche da parte delle autorità italiane ed europee, nonché da parte delle organizzazioni umanitarie che debbono tornare a potere svolgere il proprio operato in condizioni di sicurezza e con il doveroso sostegno e la collaborazione delle istituzioni coinvolte. Infine, l’associazione sottolinea ancora una volta la necessità che l’Unione Europea realizzi al più presto dei corridoi umanitari e dei piani di reinsediamento in grado di fornire una risposta urgente alle persone in chiaro bisogno di protezione che si trovano a vivere in condizioni assolutamente disperate nei paesi che si trovano lungo le principali rotte di fuga.
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