Mass media ed esasperazione della questione rumena


Oliviero Bergamini


I media in Romania e in Italia pongono l’accento sul “pericolo rumeno” provocando un preoccupante “ping pong mediatico”; il loro ruolo dovrebbe essere spiegare, porre in prospettiva, distinguere (senza discriminare), contestualizzare, illustrare la complessità dei problemi, diffondere buon senso e razionalità, piuttosto che giudizi sommari, confusione ed emotività.


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Mass media ed esasperazione della questione rumena

“Rumeni di merda”. Anche se non tradotta, la frase è chiarissima. Era stampata due giorni fa a caratteri cubitali sulla prima pagina di uno dei principali quotidiani della Romania; ripoduceva una delle scritte xenofobe comparse su muri italiani nei giorni scorsi. Un esempio di come i media rumeni, soprattutto quelli legati a partiti di orientamento nazionalista-populista (che in Romania sono numerosi), abbiano dato grande spazio, con toni fortemente sensazionalistici, a quella che viene percepita come una svolta “anti-romena” di stampo razzista da parte dell’Italia.

Ma anche i media italiani non sono senza colpe. Lette con occhio rumeno, le decine di pagine e servizi dedicate da giornali e telegiornali all’omicidio di Giovanna Reggiani, al “pericolo rumeno”, alle prime espulsioni di immigrati e alle nuove “mizure di sicurezza”, hanno un inequivocabile sapore xenofobo.

Non a caso, nell’incontro svoltosi il 6 novembre a Bucarest tra il Ministro delle attività Bersani, l’ambasciatore italiano in Romania e un gruppo di imprenditori italiani, molti hanno criticato il “ping pong mediatico” che in entrambi i paesi ha esasperato i toni del dibattitto sull’“emergenza Romeni” e in Romania ha provocato un improvviso raffreddamento dell’atteggiamento delle autorità – e dell’opinione pubblica – nei confronti dell’Italia.

In un paese dove l’affinità linguistica e culturale, e una interazione economica intensa, ormai quasi ventennale, hanno dato all’imprenditoria italiana un posizione di vantaggio assoluta, le contrapposte ondate di diffidenza e ostilità possono provocare danni gravi.

Le responsabilità, oltre che dell’informazione, sono certamente anche della politica. Molti leader di partito e di governo, in entrambi i paesi, non hanno esistato a cavalcare l’emozione popolare, ad esasperare i toni attraverso una spirale di dichiarazioni, appelli, prese di posizione, attente molto più agli interessi elettorali di breve periodo che ad affrontare in modo costruttivo e ragionevole la situazione e le problematiche di fondo che la sottendono.

Anche su questo livello, sugli aspetti “strutturali” di questa “crisi” italo-romena, sono emerse carenze profonde da parte dei mezzi di informazione. Una prima, grande confusione, basata sulla semplice, ma assolutamente casuale, assonanza dei nomi, è stata fatta tra Rom e Romeni (o “Rumeni”, come si preferiva dire e scrivere in passato). Come noto, i Rom (detti anzhe Tzigani, o – spregiativamente – zingari) sono un popolo di antica origine indiana, diviso in molte comunità che vivono disseminate in diverse nazioni, soprattuto dell’Europa orientale e meridionale. Non avendo un proprio stato, hanno cittadinanze diverse. Una parte dei Rom è di nazionalità rumena.

In Romania i Rom costituiscono un gruppo etnico cospicuo (tra 1 e 2 milioni di persone), ma fortemente discriminato e assolutamente minoritario (non più del 10 % della popolazione romena e forse circa 1/8 del numero complessivo degli Tzigani europei, secondo stime che sono per forza di cose molto approssimative). I Rom romeni vivono nel loro paese in condizioni ancora peggiori di quelle che trovano quando si spostano, ad esempio, in Italia. La polizia con loro è estremamente dura, vengono visti con estrema diffidenza, vivono per lo più nelle campagne povere, o in quartieri degradati delle città, come quello squallido e spettrale di Ferentari a Bucarest, dove furono forzatamente “sedentarizzati” dal regime comunista di Caeusescuu. Nicolae Mailat, da tutti considerato l’assassino di Giovanna Reggiani (sebbene la sua confessione sia finora solo parziale e teoricamente dovrebbe valere anche per lui la presunzione di innocenza fino alla condana definitiva), è stato definito dai media un “Rom romeno”, e questo in Italia ha scatenato una identificazione tra Rom e Romeni assolutamente infondata. La stragrande maggioranza dei Romeni che vivono in Italia (il ministro Bersani ha parlato di 1 milione di loro, cifra ben più alta di quella dichiarata ufficialmente nei rapporti ISTAT) non sono affatto Rom. Anzi, considerano un’offesa essere associati all’etnica Tzigana, che nel loro paese ritengono essere un grave problema sociale e che per lo più disprezzano.

Certamente in Italia esiste anche una criminalità romena “non-Rom”, che però agisce con modalità diverse da quella normalmente associata agli “zingari”. Ma la stampa italiana ha fatto ben poco per chiarire questi elementi in modo preciso e sistematico, favorendo il formarsi di una generica immagini negativa in cui Rom e Romeno si confondono.

Per converso, i media romeni hanno fortemente insistito sulla caratterizzazione “etnica” di Mailat, tendendo più o meno esplicitamente a qualificarlo come “diverso” ed “estraneo” alla comunità nazionale. Ciò è agevolato dall’attuale stato di ebollizione della scena mediatica in Romania. Grazie anche al fatto che alcuni controversi uomini d’affari direttamente coinvolti in attività politiche (come Dan Voiculescu e Dinu Patriciu) stanno espandendo la loro presenza nel mondo dell’informazione nazionale attraverso l’acquisto, il rilancio o la fondazione di nuove testate (ad esempio “Realitate TV”, la rete All News che ha lanciato l’iniziativa del “muro” dove i cittadini potevano scrivere messaggi per Giovanna Reggiani), la competizione per il pubblico è intensa, e incoraggia l’utilizzo di toni estremi. In alcuni casi si è verificato un vero cortocircuito tra politica e media, come quando un gruppo di militanti di un partito nazionalista ha protestato contro le “espulsioni razziste” davanti al consolato italiano di Timisoara, ad uso e consumo delle telecamere della rete televisiva posseduta dallo stesso politico-businessman che è anche capo di quel partito. In questo contesto, gli accenti ultrapatriottici si sprecano, e tendono anche in Romania, seppure in modo ovviamente più selettivo, a virare verso il razzismo. Alcuni volantini di partiti di estrema destra comparsi sui muri di Bucarest sono arrivati a scrivere tout court “Mailat è un Rom, non un romeno”. Come la storia del nazismo ha tragicamente insegnato, rescindere un gruppo dalla comunità nazionale mediante l’attribuzione di una “diversità” sostanziale e irriducibile è il primo passo di ogni persecuzione.

Proprio per questo, la Media Monitoring Agency, una ONG associata a Reporters Sans Frontieres che esegue monitoraggi sistematici e molto accurati dell’informazione rumena, ha criticato con decisione quei media nazionali che tracciano una linea netta di distinzione tra Rom e Romeni, di fatto orientata verso una generalizzata criminalizzazione dell’etnia Tzigana. Dunque, se in Italia il problema è la errata identificazione tra Rom e Romeni, in Romania il problema è opposto: una eccessiva distinzione, di segno discriminatorio.

Tutto questo rimanda a questioni più complessive e strutturali. I Rom sono un grande problema europeo; milioni di persone che nel corso dell’ultimo secolo, e soprattutto degli ultimi decenni, sono per così dire “caduti fuori dalla storia”. Disgregatasi la società tradizionale in cui avevano un ruolo, proprie funzioni sociali e lavorative, gran parte di loro ha oggi un rapporto estremamente problematico con le società “moderne” ai margini delle quali si trovano a vivere, dividendosi tra aspirazioni all’integrazione, reazioni di auto-preservazione, e forme di sopravvivenza che molto spesso avvengono nell’illegalità o ai margini della legalità. I media se ne occupano soltanto secondo il “topos” del “problema di sicurezza”, con vampate di attenzione innescate da delitti o violenze particolarmente eclatanti.

Di fronte a questo il compito dei media, soprattutto di quelli del servizio pubblico, dovrebbe essere quello di spiegare, porre in prospettiva, distinguere (senza discriminare), contestualizzare, illustrare la complessità dei problemi, diffondere buon senso e razionalità, piuttosto che giudizi sommari, confusione ed emotività. E’ evidente che la strada da fare è ancora molta.

Fonte: www.articolo21.info

08 novembre 2007

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