Mali: l’intervento africano non decolla
Il Mondo di Annibale
Da mesi sembra imminente un intervento contro i secessionisti che controllano il Nord. Ma Bamako e la comunità internazionale sono in disaccordo.
Ancora nulla di fatto. Non c’è un accordo tra il governo del Mali e la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Cedeao – Ecowas) per l’invio di truppe nel Paese, diviso in due dopo le vittorie dei ribelli tuareg che ormai controllano le regioni del Nord, comprese le città di Kidal, Timbuktu e Gao. Una conclusione per certi versi paradossale, visto che tutte le parti coinvolte erano da tempo d’accordo sulla necessità di un intervento esterno. La Cedeao aveva proposto da mesi di contribuire alla soluzione della crisi con una forza di 3300 uomini, e tanto il premier maliano Cheikh Modibo Diarra quanto il capo dello Stato, Dioncounda Traoré, si erano rivolti ufficialmente alla comunità internazionale.
L’unità di vedute dei vertici del Paese, però, è meno salda di quanto possa sembrare a prima vista: alla fine di luglio il presidente aveva pesantemente limitato i poteri del primo ministro, fortemente contestato anche da diversi partiti e movimenti politici. E la piazza – che anche negli ultimi giorni ha fatto sentire la sua voce contro l’intervento della Cedeao – non è l’unica forza con la quale le istituzioni del Mali devono scendere a compromessi. Presidente e premier, infatti, si sono insediati a Bamako come autorità transitorie, dopo che un colpo di Stato di militari (i ‘berretti verdi’) guidati dal capitano Amadou Sanogo aveva deposto il precedente capo di Stato, Amadou Toumani Touré, accusato di aver lasciato sole le forze armate impegnate nella lotta proprio alla ribellione tuareg.
Nonostante in seguito a pressioni internazionali abbiano accettato di farsi da parte (ottenendo comunque le formali dimissioni di Touré) i militari conservano la capacità di influenzare le decisioni politiche: la stessa giunta golpista non è stata ancora ufficialmente sciolta.
Questo potere dai contorni indefiniti ha evidentemente pesato anche nelle trattative con la comunità internazionale: Sanogo vuole ‘mano libera’ per i militari maliani sul campo, e accettare la presenza di truppe straniere nelle regioni del sud ancora sotto il controllo governativo, o addirittura nella stessa capitale Bamako, sarebbe già una sconfitta.
Di qui le condizioni poste dalle autorità alla Cedeao: il supporto all’esercito dovrà essere solo ‘logistico’ e soprattutto l’eventuale missione non dovrà operare nella capitale. Troppi limiti, a parere dell’organismo regionale, che a sua volta è osservato con attenzione dall’Onu: i funzionari del Palazzo di Vetro non hanno mai nascosto le loro perplessità sui contorni vaghi dell’intervento. Forse inevitabili, considerato che gli Stati della regione sono, a loro volta, divisi: lo stesso Alassane Ouattara, capo dello Stato ivoriano e presidente di turno della Cedeao ha dovuto ammettere che un recente incontro ad Abuja con le autorità beninesi e nigeriane serviva ad “armonizzare” le posizioni reciproche sull’argomento.
Di fronte a questi ostacoli, anche il presidente ad interim maliano ha finito per tentennare: alla viglia del 52mo anniversario dell’indipendenza ha rivolto un discorso alla nazione in cui ha chiamato i suoi concittadini alla “sacra unione” dietro l’esercito in guerra con i tuareg, oscillando però, nei confronti di questi ultimi, tra minacce e aperture al dialogo. Ma l’ennesimo paradosso è che neanche il ‘nemico’ appare unito: i ribelli tuareg sono divisi tra diverse sigle, protagoniste negli ultimi mesi di imprevedibili riavvicinamenti e immediati allontanamenti: ai laici del MNLA si affiancano diverse fazioni islamiste: ‘Ansar Eddine’, il Mujao (Movimento per l’unità e il Jihad nell’Africa Occidentale) e ‘Al Qaeda nel Maghreb Islamico’ (Aqmi). Quest’ultima, pochi giorni fa, ha minacciato di uccidere sei ostaggi francesi rapiti due anni fa in Niger, se Parigi non farà terminare quello che i qaedisti definiscono un ‘folle interventismo’.
Le minacce non sembrano aver distolto il governo transalpino dai suoi propositi di giocare un ruolo nella crisi (in accordo con l’ormai cinquantennale politica delle sfere di influenza nota come Françafrique): secondo il ministro della Difesa Jean-Yves Le Drian, la Francia darà “supporto logistico” a un’eventuale missione della Cedeao, pur senza inviare truppe.
Questo avviene proprio nel momento in cui l’amministrazione Hollande sta mettendo mano alle linee guida del ‘Libro bianco della Difesa’ per definire la sua strategia in politica estera, partendo dal presupposto che, come ha spiegato il diplomatico Jean-Marie Guéhenno, in questo momento c’è “una domanda di intervento” da parte dei Paesi africani.
Ma anche se non arrivassero richieste esplicite, per quanto riguarda la questione del Mali, Parigi sembra destinata a trovare pochi ostacoli diplomatici: a gestire il dossier sono infatti Alassane Ouattara e il presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré: due dei più fedeli interpreti, finora, della Françafrique.
Fonte: http://ilmondodiannibale.globalist.it/
22 Settembre 2012