Mali: i timori francesi, il supporto italiano, il sangue africano
Andrea Camboni - Osservatorio Iraq
Garantito l’appoggio logistico da parte di Bruxelles e Washington, la Francia ha bisogno di truppe alleate da dislocare sul terreno in una guerra sempre più caratterizzata da combattimenti “corpo a corpo”. Dal supporto logistico statunitense ai droni italiani, l’evoluzione del conflitto maliano si gioca dietro le quinte.
Il senatore Perduca del Partito democratico chiede di parlare: “In Mali stamane c’è stato una specie di colpo di Stato a seguito del quale l’esercito ha preso il controllo della televisione nazionale. […] Cercheremo di tenere informata l’Assemblea anche sugli sviluppi di questo che sembra essere un principio di colpo di Stato, anche se pare non così grave, a quanto riferisce la BBC”.
Nonostante il sostegno incassato dall’Onu, dall’Unione Europea e dall’Unione Africana, l’iniziativa militare di Parigi potrebbe trasformarsi per i militari francesi in una nuova Indocina.
Le truppe “boots on the ground” rischiano infatti di non essere sufficienti per affrontare una guerra che si preannuncia lunga, difficile e combattuta all’arma bianca.
Sono già 1.400 i francesi impegnati nell’operazione e aumenteranno progressivamente fino ad un totale di 2.500 unità, mentre il ministro degli Esteri di Bamako, Hubert Coulibaly, lancia un appello ai paesi Ue chiedendo un aiuto per incrementare le risorse sul terreno e sopperire alla disgregazione dell’esercito maliano intervenuta dopo il colpo di Stato del marzo 2012.
Il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, sembra invece contare sul fatto che i partner europei possano decidere di fornire non solo un supporto logistico ma anche un aiuto in termini di uomini sul campo.
Tuttavia, per il momento, non si registra alcun impegno per quanto riguarda l’invio di truppe, sebbene l’alto rappresentante della politica estera della Ue, Catherine Ashton, abbia sottolineato (al termine della riunione straordinaria del Consiglio affari esteri) che molti paesi non hanno escluso dalle loro opzioni quella militare.
Ad oggi, però, la Francia può contare solamente sui 3.300 soldati del contingente regionale dell’Afisma, la missione internazionale di sostegno nel Mali pianificata dalla Comunità economica dei paesi dell’Africa occidentale (Ecowas) con l’obiettivo di riconquistare alle milizie islamiche la regione occupata nel nord del paese. A questi si aggiungono un reggimento di fanteria e due battaglioni di supporto per un totale di 2mila soldati promessi dal Ciad.
Sul fronte degli armamenti aerei, Parigi ha finora utilizzato 12 aerei, tra cui 2 caccia-bombardieri ‘Mirage F1CR’ e 6 ‘Mirage 2000D’ (entrambi con un carico di 6,3 tonnellate di bombe) di base nel Ciad, 4 Rafale (con capacità di carico pari a 9,5 tonnellate), tre aerocisterne per il rifornimento in volo KC-135 e decine di elicotteri da trasporto e d’attacco.
Oltre ai due aerei Transal della Germania, a un Hercules da trasporto della Danimarca e agli aerei-spia britannici, in appoggio alla flotta francese arriveranno truppe ed equipaggiamento (aereo) americani.
Washington ha infatti sciolto le riserve legali che, nel caso del Mali, ovvero di un governo arrivato al potere con un colpo di Stato, restringevano il raggio di intervento alla sola assistenza umanitaria, rispondendo positivamente alla richiesta di aiuto della Francia.
Ma se Parigi rischia di finire nelle sabbie mobili della guerriglia, gli Stati Uniti potrebbero ripetere l’errore di infilarsi in una trappola, soprattutto in questo momento, con la “bomba del debito” pronta ad esplodere.
Per gli Usa sarà fondamentale recuperare rapidamente l’insufficienza che la sua intelligence sconta nella conoscenza del territorio, che si limita alla capitale Bamako, anche a causa della sospensione dei sorvoli aerei militari voluta dall’ambasciata americana in Mali a seguito del colpo di Stato dello scorso anno.
Dalla sponda nord del Mediterraneo è arrivato anche l’ok del Consiglio straordinario Affari Esteri alla missione Eutm (European Union Training mission), operativa da metà febbraio e destinata alla formazione e alla riorganizzazione delle forze armate maliane, composte da poche migliaia di uomini scarsamente addestrati, alla consulenza sulle operazioni di comando, alla logistica e alla protezione dei civili per un mandato iniziale di 15 mesi e un costo complessivo 12,3 milioni di euro.
Il comandante della missione, il generale Francois Lecointre, ha già ricevuto il via libera per inviare la prima missione tecnica a Bamako al fine di preparare il terreno ai 450 uomini, di cui 200 istruttori, che formeranno il contingente europeo.
Del resto, i ventisette ministri europei non potevano non confermare le posizioni assunte dalla risoluzione Onu 2085 del 20 dicembre 2012, in quanto nei primi giorni dell’ultimo mese dello scorso anno l’Unione europea stava già preparandosi a un’operazione in Africa occidentale, e in particolare proprio nel Mali, come risposta alla perenne crisi del Sahel.
Allineandosi con Gran Bretagna, Germania e Stati Uniti, l’Italia fornirà un sostegno logistico all’intervento francese partecipando alla missione europea con l’impiego massimo di 24 uomini, che però non saranno impegnati militarmente sul terreno.
In luogo dell’intervento militare diretto, il nostro paese metterà a disposizione le proprie basi e i droni predator di stanza ad Amendola (visto che la Cia momentaneamente non ha droni in missione di ricognizione sul Mali), oltre ad occuparsi dei rifornimenti in volo con i Boeing 767 di base a Pratica di Mare, gli stessi usati nel teatro di guerra libico, e del trasferimento di materiali e dei collegamenti aerei con i C 130-J e i C-27J.
Ovviamente – come ricorda il ministro degli Esteri, Giulio Terzi – “sarà necessario l’ampio sostegno delle forze parlamentari”.
Questa mattina, il Consiglio dei ministri prenderà in esame la relazione del ministro della Difesa sulla situazione nel Mali, integrandola con le informazioni in possesso della Farnesina. Solo allora il governo sarà in grado di assumere una posizione definitiva da presentare al Parlamento entro una settimana.
Fonte: http://www.osservatorioiraq.it
18 gennaio 2013