Ma qualcuno lo sa che il 2008 è l’anno dei diritti umani?
Elisa Marincola
Il Servizio Pubblico radiotelevisivo si è accorto che nel mondo qualcosa accade, che ci sono realtà importanti che di questo qualcosa si occupano e preoccupano, e la Rai vuole in qualche misura collaborare.
Il video messaggio del Direttore Generale della Rai Claudio Cappon, trasmesso dai Tg alla vigilia di Natale è stato un segnale rassicurante per quanti seguono gli eventi internazionali e in particolare africani e lavorano per innescare circuiti positivi nei nostri media: il Servizio Pubblico radiotelevisivo, diceva in concreto quel messaggio, si è accorto che nel mondo qualcosa accade, che ci sono realtà importanti che di questo qualcosa si occupano e preoccupano, e la Rai vuole in qualche misura collaborare.
In effetti, decidendo di devolvere la cifra destinata ai regali aziendali al sostegno di due iniziative a favore dei bambini di strada nelle baraccopoli di Nairobi in Kenia dai comboniani Kizito Sesana e Daniele Moschetti, la Rai ha dimostrato di aver già fatto tesoro dell’apertura della sede di Nairobi. Cappon, andando lì per l’inaugurazione, ha avuto modo di toccare con mano la drammaticità della realtà sociale di quei luoghi, e di apprezzare quanti vi hanno dedicato le esistenze, riuscendo anche a restare abbastanza lucidi dal riconoscere la centralità dell’informazione persino in situazioni così estreme come quelle di Kibera e Korogocho.
Un fatto non isolato. Poche settimane prima, infatti,la direzione Generale aveva dato parere positivo alla partecipazione di un piccolo drappello di giornalisti di alcune testate al Seminario internazionale “Coursed by Riches”, organizzato proprio a Nairobi da Africa Peace Point, l’associazione creata da Kizito per lavorare nelle situazioni di conflitto nel continente, insieme a Tavola della pace, Fnsi, Associazione Ilaria Alpi, Articolo 21, e altre realtà italiane. Obiettivo, in questo caso, la formazione dei giornalisti sui meccanismi che collegano la grande abbondanza di risorse con lo scoppio dei conflitti africani.
Un’esperienza importante, vissuta a fondo da tutti noi che vi abbiamo partecipato: la presenza di esperti locali, ma soprattutto di tanti protagonisti di vicende come la guerra per i diamanti in Sierra leone, l’eterno conflitto in Congo, la polveriera Somalia o l’Uganda, ci ha permesso di superare le vicende di cronaca e iniziare a capire l’intreccio di interessi che fanno da esca a quelle guerre, le responsabilità internazionali, ma anche la complessità delle situazioni storiche, culturali, sociali, che rendono così difficile una soluzione definitiva alle crisi. E ci ha tanto coinvolto da spingerci a dar vita a un piccolo nucleo “di azione”, che abbiamo chiamato Gruppo di Nairobi, perché quanto è iniziato alla Shalom House di Kizito non resti isolato ma possa avere un seguito ed estendersi.
Quel seminario-conferenza, poi, ha rappresentato la realizzazione di una tappa importante di un cammino avviato oltre quattro anni fa a Riccione, quando proprio da un confronto organizzato dalla Tavola della pace è stata espressa l’esigenza pressante di inserire nell’agenda del movimento per la pace il capitolo “informazione e comunicazione” come precondizione per smuovere il muro di gomma dell’indifferenza e ottenere voce anche in sede politica.
Da quello e, soprattutto, dall’incontro del 7 settembre 2005, prima della Perugia Assisi di quell’anno, viene lanciata la proposta di organizzare dei momenti di formazione reciproca tra operatori di pace e giornalisti, sulla falsa riga del Seminario annuale di Redattore sociale.
Un percorso non facile, allora, quando grandi eventi come la marcia per la pace Perugia-Assisi, e un anno prima, la manifestazione contro la guerra in Iraq con milioni di partecipanti, avevano difficoltà a conquistare spazi in prima pagina e sulle reti nazionali, per non parlare delle crisi e delle guerre dimenticate in giro per il mondo.
Ma la risposta dei giornalisti ci fu e fu importante, e consentì di aprire varchi, partendo dai media indipendenti fino al servizio pubblico. E s’incontrò con l’analoga richiesta delle riviste missionarie di maggior spazio per l’Africa, con un’informazione di qualità, lanciando insieme la campagna per l’apertura sul posto di una sede Rai.
Il resto è cronaca, con tutti i limiti e le difficoltà tecniche e burocratiche che il lavoro di Enzo Nucci a Nairobi deve incontrare, specie oggi, che deve coprire la crisi keniana, inattesa per i tanti che di quel paese non sanno nulla.
In ogni modo, la Rai ha deciso d’investire sull’Africa, prendendo delle decisioni di portata estremamente innovativa rispetto a una certa pratica diffusa in azienda, non sempre altrettanto sensibile a temi del genere.
Ci saremmo aspettati, allora, un’analoga ricaduta innovativa sul “prodotto” Rai. E qualcosa si è visto, grazie, però, quasi esclusivamente per la buona volontà di tanti che lavorano, a fatica, nelle varie strutture e redazioni.
Restano ancora sorde le stanze dove si stabiliscono palinsesti e si decide la gestione delle risorse. Da quelle stanze negli ultimi anni sono partite tante telefonate, alcune anche inopportune, in cui si è fatto e disfatto il buon nome della Rai. Ma i loro autori non devono aver dimestichezza con parole come ‘pace’ e ‘diritti’.
Lo si capisce dal silenzio quasi totale sull’avvio, lo scorso 10 dicembre, dell’Anno dei Diritti Umani, che culminerà il prossimo 10 dicembre 2008, per i sessant’anni dall’entrata in vigore della Dichiarazione universale dei Diritti umani. Una scadenza a cui l’Onu sta dedicando un intero anno di iniziative, e che avremmo voluto veder celebrata in maniera strutturata anche dal nostro paese,entrato pochi mesi fa nel nuovo Consiglio Onu per i Diritti Umani e impegnato anche nella presidenza di turno del Consiglio di Sicurezza.
Così non è, vista la difficoltà che sta vivendo in Parlamento il varo della legge per dedicare a queste celebrazioni un budget ridicolo (un milione di euro, meno di quanto speso dieci anni fa per i 50 anni).
La Rai potrebbe però fare la differenza. Il servizio pubblico, infatti, dovrebbe per sua missione lavorare per costruire una cultura diffusa sensibile ai diritti e al valore della pace. Ha avuto anche le giuste sollecitazioni, con la bozza di idee presentata dalle realtà organizzate intorno alla Tavola e alle riviste missionarie, per inserire negli spazi informativi e nei palinsesti il tema centrale dei diritti umani. Tra tanti annunci per l’anno nuovo, ci saremmo aspettati di sentire fosse pure una campagna di spot, o la dedica di qualche veloce angolo di qualche contenitore a una riflessione, al racconto di realtà, alla comicità, perfino, sul buco nero dei diritti umani. Ma nulla si è mosso.
Un tema che non può neanche venir liquidato come roba che non fa audience: i diritti sono roba anche di casa nostra, come dimostrano i troppi incidenti sul lavoro o i senza dimora morti di freddo, o la situazione delle carceri e degli ospedali, i migranti respinti nei campi-lager della Libia, l’inattaccato potere delle mafie e persino la precarietà diffusa e l’emergenza rifiuti in Campania.
E nell’Azienda, le professionalità ci sono e c’è anche una grande voglia di fare, di rompere l’accerchiamento delle false notizie alla Paris Hilton, e tornare a parlare di cose concrete, della vita della gente. Anche in modo leggero, come sa fare uno come Fabio Fazio o con il linguaggio dell’inchiesta alla Report. Dimostrando sempre, anche con l’odiata audience in mano, che il pubblico risponde.
Ma a non rispondere su questa scadenza resta, sembra, ancora viale Mazzini. Speriamo solo che sia per quel cartello “chiuso per vacanze di Natale”. A quando la riapertura? Vogliamo riprendere il testimone di Kizito e Moschetti e portare il loro, di messaggio, in casa Rai?