“Ma che ci sta succedendo?” Israele vista dagli israeliani
Paola Caridi - invisiblearabs.com
Elenco disordinato degli ultimi articoli di intellettuali israeliani sui cambiamenti della società, il razzismo, il doppio standard, i palestinesi.
Nelle pieghe della cronaca della regione, tutta giustamente concentrata sulla sorprendente rivoluzione tunisina, sulla mia scrivania gerosolimitana impilo articoli, saggi, riflessioni, parole di intellettuali israeliani che per un attimo si sono fermati, si sono guardati attorno, e hanno scritto di Israele. E’ come se vi fosse stata una chiamata alle armi dell’intelligenza, e in molti, nel giro di pochi giorni, poche settimane, hanno deciso che bisognava capire cosa sta succedendo, nel profondo, alla società israeliana. Soprattutto dopo la lettera dei rabbini che chiedevano di non affittare case ai non ebrei, e la decisione della Knesset di istituire una commissione parlamentare per indagare sulle ong israeliane che si occupano di diritti umani e civili.
Amon Dankner è un caso esemplare. Direttore di Maariv, quotidiano di larga diffusione in Israele, Dankner rappresenta il mainstream nazionale. Ebbene, le sue parole sono oggi pesanti come pietre: Dankner crede che, di questo passo, le persone moderate, di buon senso, democratiche non abiteranno più in Israele. Se ne andranno. E parla esplicitamente di un’autocensura che non c’è più, di razzismo imperante contro gli arabi, di doppio standard, di cose che nei giornali italiani hanno poco spazio. Una lettura – che consiglio caldamente – che spesso fa a botte con la descrizione che di Israele c’è in alcuni giornali italiani. Eppure anche questa è Israele, l’Israele reale descritta dagli israeliani in carne e ossa.
It seems that things that were repressed within the Israeli soul and well-hidden through shame are suddenly bursting forth with a sense of liberation, dancing obscenely in the public square. It’s now acceptable to be overtly racist and to be proud of it. It’s acceptable to disparage democracy and be proud of that. Acceptable to steal and rob and trample on rights when it concerns Arabs. And acceptable to be proud of this. There are Knesset members for whom this is one of their specialties and they do it with smiles they don’t even bother to conceal. There are entire parties whose tenor and tone arouse feelings of horror and terrifying memories.
How is it possible for example that there are people who sat and calculated the needs for feeding children and removed these necessities from the list of products permitted to enter Gaza? They sat and counted sweets and halva and toys and who the hell knows what else and crossed them out with an “x” and explained to us that this was a critical part of toppling Hamas’ rule. And we took these wicked fools seriously and put our faith in them. After what happened with the Marmara we lifted the sweets siege and even permitted the import of coriander into Gaza. No disaster happened besides that we remained in this great exposed space loitering in front of the gates of Gaza though our own naked, wicked stupidity.
Non so se Dankner ha letto la notizia di un opuscolo che chiede esplicitamente per i palestinesi i campi di concentramento. L’ho trovata sulla webzine israeliana più interessante di questi ultimi mesi, 972mag. Spero veramente che non sia vero, che nessuno legga queste pagine, che si siano sbagliati.
Aeyal Gross vede questa parte della storia dal suo punto di vista, di docente che insegna diritto internazionale e costituzionale all’università di Tel Aviv. Cosa è cambiato, si chiede. Perché qualcosa è cambiato, da prima.
What, then, has changed? I believe the most central change is that until recently one thought that it is at least possible to relatively freely report and protest injustices and human rights violations. Of course, even in this context freedom of speech was relative. Jews enjoyed more of it that Arabs, and any one researching Israeli constitutional law can see the different attitude taken by the Israeli Supreme Court to cases involving speech by Jews vs. speech by Arabs. In recent years we have seen more threats to the freedom of speech of Palestinians even within Israel.
But in spite of this discrimination, the possibility to report and protest what’s going on existed on a relatively consistent level. The shift we are witnessing in the last few years is an attack on freedom of speech, in way that aims to allow the deepening of the violations of other human rights, and the worsening of the oppression inherent to the occupation, including the attacks on civilian population, and the dispossession and discrimination.
[…]
The attack on freedom of speech is not only in the form of the parliamentary investigation. It is joined by many other steps, some of which I have discussed in previous posts. Among them, the attacks on Israeli academia by groups who are supposedly examining whether university instruction is “patriotic” enough, and the fact that the Knesset education committee even bothered to conduct discussion of these “reports”; the harsh attack on human rights groups and on the New Israel Fund by a few groups who pretend to “monitor” human rights groups, but actually are engaged in attempts to de-legitimize them; the arrests of demonstrators in East Jerusalem, both those protesting the dispossession of Palestinians in Sheikh Jarrah and those protesting the discrimination of women in the Western Wall; the arrests of some of the leaders of the protests in Bil’in as well as the violence towards those demonstrators, ending more than once in death; and the recent sentencing of Israeli activist Jonathan Pollak to jail for a demonstration against the Gaza War.
Potrei continuare, citando articoli su articoli, commenti, opinioni. Zvi Barel, su Haaretz, sulla legalità israeliana che salta in Cisgiordania. Yair Lapid, su Ynet, su razzismo, sfera pubblica, sfera privata nel paese, dove l’autocensura è saltata. Sempre su Haaretz, Yossi Sarid, sul sogno di Lieberman che è però “l’incubo di Israele”, di una Israele diversa, e la cronaca della manifestazione di sabato sera a Tel Aviv, la più numerosa degli ultimi anni, contro quello che la Knesset ha deciso sulle Ong, in cui viene citata anche una petizione a difesa delle associazioni per i diritti umani firmata da 60 giuristi tra i più importanti del paese, compresi i presidi delle più note facoltà di legge. E poi Max Blumenthal, sul suo blog, sottolinea il razzismo in aumento nelle scuole, segnalato da un gruppo di insegnanti al ministro dell’educazione.
Potrei continuare, ma mi sembra ci sia già parecchio da leggere. Poi, come ogni buon web-navigante, provate a seguire il filo. Troverete molto, nelle pieghe della Rete.
Fonte: invisiblearabs.com
17 gennaio 2011