Luce verde per i bombardamenti Usa in Siria
NEAR EAST NEWS AGENCY
Nel discorso televisivo alla nazione, il Presidente Usa ha annunciato ieri che bombarderà la Siria ed estenderà i raid aerei in Iraq nel tentativo di distruggere l’Isil.
Gli Usa bombarderanno le aree della Siria occupate dallo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isil). Ad annunciarlo è stato ieri il Presidente statunitense Barack Obama nel suo discorso alla nazione. La missione americana prevederà anche un’estensione dei bombardamenti in Iraq nello «sforzo inarrestabile e continuo di sradicare i fondamentalisti dell’Isil e distruggere il loro regno del terrore».
«Daremo la caccia ai terroristi che minacciano il nostro paese ovunque essi siano – ha dichiarato Obama – questo è un principio fondamentale della mia presidenza: chi minaccia l’America, non troverà un paradiso sicuro».
Nel suo discorso di 15 minuti il presidente ha anche annunciato l’invio di altri 500 soldati statunitensi per assistere e consigliare le forze di sicurezza irachene. Salgono così a 1.500 i militari di Washington impiegati in Iraq. Gli Usa, inoltre, addestreranno e armeranno i ribelli siriani che combattono sia lo Stato islamico che il presidente siriano Bashar al-Asad.
Obama ha però ribadito che il suo piano di «distruzione» dell’Isil non comporterà il ritorno di truppe americane di terra in Medio Oriente. Ciononostante, ha ammesso che «ogni volta che si decide per un’azione militare, ci sono dei rischi soprattutto per i soldati che eseguono queste missioni». «Ma – ha subito precisato – voglio che il popolo americano capisca come questa operazione sia differente dalle guerre in Iraq e Afghanistan. Non avrà truppe combattenti su terra straniera». Obama ha così provato a smarcarsi dalle accuse di chi ora lo attacca per la sua politica interventista, proprio lui che aveva conquistato visibilità politica per la sua opposizione alla guerra irachena del 2003. Durante la sua presidenza ha cercato di evitare il coinvolgimento statunitense in campagne militari mediorientali (non dimenticandosi però di bombardare la Somalia e lo Yemen) spesso attirandosi le accuse di chi, non solo tra i repubblicani, lo definisce troppo «cauto» in politica estera.
L’inversione a U ora del presidente nobel per la pace è una chiara ammissione del fallimento delle sue politiche nella regione. Un fallimento che si inserisce nel totale fiasco della «guerra al terrorismo» annunciata per anni con gran fanfare da Washington. Dati che balzano ancora più agli occhi oggi che a New York ricorre il 13esimo anniversario degli attacchi alle Torri Gemelle.
Secondo l’Intelligence americana l’Isil non rappresenta una «credibile minaccia» per gli Stati Uniti d’America. Tuttavia, secondo la Cia, l’organizzazione fondamentalista mette a rischio la vita (e gli interessi) degli americani in Medio Oriente. Inoltre, presso le cancellerie europee e statunitense il timore è che gli occidentali che si sono unite alle file dello Stato islamico possano costituire una minaccia alla sicurezza una volta tornati nel proprio Paese dopo aver combattuto in Siria.
Washington ha cominciato a compiere “limitati” attacchi aerei contro obiettivi dell’Isil in Iraq a inizio agosto nel tentativo di aiutare le forze curde e irachene a fronteggiare i miliziani fondamentalisti. Il presidente Obama aveva dichiarato a più riprese che un intervento più deciso sarebbe iniziato solo quando sarebbe stato formato un governo iracheno di larghe intese che avrebbe potuto garantire la partecipazione di tutte le forze politiche del Paese. Cosa che è avvenuta martedì quando il neo primo ministro, Haider al-Abadi, ha incassato dopo molte difficoltà la fiducia del parlamento iracheno.
Alcuni ufficiali statunitensi accusano Obama di aver deciso di bombardare la Siria e l’Iraq senza prima aver cercato l’autorizzazione del Congresso. Infatti, il presidente americano deve ricevere l’approvazione del Congresso prima di poter attaccare. Così avvenne all’indomani degli attacchi dell’11 settembre quando l’allora George Bush fu autorizzato a «stanare i terroristi» in Afghanistan. Obama ha provato a più riprese ad abrogare questa legge, ma l’ha anche utilizzata quando gli ha fatto comodo per i suoi bombardamenti in Somalia e Yemen contro «obiettivi terroristici».
Obama, dunque, è pronto per la guerra così come la quasi totalità dei suoi cittadini che vedono con favore l’utilizzo di bombe per fermare l’Isil. La Casa Bianca ha incassato l’ok di Riyad per l’addestramento dei ribelli siriani in territorio saudita. L’accordo tra i due alleati riflette anche le paure dell’Arabia Saudita relative alla minaccia rappresentata dallo Stato islamico nella regione. Una minaccia che il re Abd Allah bin Abd al-Aziz al-Saud ha contribuito per tre anni a far crescere quando i «terroristi» servivano a far cadere Bashar al-Asad in Siria.
La scelta di addestrare i ribelli siriani può essere letta come un segno di debolezza per Obama. Per molto tempo, infatti, il presidente è stato pressato dai suoi collaboratori (tra cui l’ex Segretario di Stato americano Hillary Clinton) per armare i ribelli impegnati a combattere al-Asad. Obama, però, aveva sempre rifiutato: c’era allora incertezza sulla composizione delle forze ribelli siriane e tanta era la paura che le armi di Washington potessero finire in mani sbagliate. Non si capisce perché ora – mentre il caos regna sempre sovrano in Siria e le forze “moderate” hanno dei legami quantomeno discutibili con qa’edisti e Isil – ci si possa invece fidarsi.
La Casa Bianca ha ieri annunciato anche che darà 25 milioni di dollari al governo di Baghdad per combattere lo Stato islamico. Isil che sarà combattuto anche finanziariamente. David Cohen, sottosegretario del Dipartimento del Tesoro per l’intelligence finanziaria, ha scritto che Washington lavorerà con altri paesi (specialmente quelli del Golfo) per bloccare le reti esterne che finanziano l’organizzazione fondamentalista ostacolandone così l’accesso al sistema finanziario globale.
Fonte: http://nena-news.it
11 settembre 2014