Lotti a Nairobi: "Vi racconto la mia marcia. Sotto l’acqua solo i più fortunati avevano gli stivali… "
Flavio Lotti
"Non avevano le scarpe da ginnastica i bambini che il 15 settembre, hanno preso parte all’ottava Marcia internazionale per la pace di Nairobi. Per la verità molti di loro non avevano nemmeno le scarpe. Così come non ce l’avevano i loro fratelli e sorelle più grandi…". Dal Kenia scrive il coordinatore della Tavola della pace.
Non avevano le scarpe da ginnastica i bambini che, ieri, 15 settembre, hanno preso parte all’ottava Marcia internazionale per la pace di Nairobi. Per la verità molti di loro non avevano nemmeno le scarpe. Così come non ce l’avevano i loro fratelli e sorelle più grandi. I più fortunati avevano gli stivali. Gli altri solo un paio di ciabatte infradito di plastica, quelle che noi mettiamo per andare in spiaggia quando fa molto caldo. Ieri a Nairobi invece faceva freddo e, al posto della nostra sabbia, c’era fango dappertutto. La pioggia insistente di questi giorni ha colto di sorpresa gli organizzatori della Marcia mettendone a serio rischio la realizzazione. Per tutta la notte della vigilia una pioggia torrenziale aveva scandito le ore esaurendosi solo alle prime luci dell’alba. Eppure, alle sette del mattino sono lì, nel cuore di Kibera, ad attendere l’arrivo della gente. A Kibera, la più grande baraccopoli dell’Africa che ospita tanta gente quanto l’Umbria, o ci vivi perché non hai alternative o ci vai quando c’è il sole per vedere l’inferno. Quando piove è peggio. Ma se non lo vedi non riesci nemmeno ad immaginartelo.
Alle nove, quando la marcia muove i primi passi, ci saranno solo i più coraggiosi. Poche centinaia di persone che sfidando il freddo e il fango che ti schizza da tutte le parti sono riuscite a raggiungere il luogo non-luogo della partenza. Non è come alla Perugia-Assisi che la gente arriva con i pullman, con il treno o con la propria auto. Qui a Nairobi, se vuoi andare alla Marcia per la pace ci devi andare a piedi. Con le scarpe o con le ciabatte. Lungo strade battute solo da altri piedi (l’asfalto è un privilegio riservato solo ai pneumatici delle macchine). Per chilometri e chilometri. E se piove fai bene a startene a casa, se ce l’hai. O nella baracca che ti sei costruito o che hai affittato a caro prezzo. In pochi hanno i soldi per comperare un ombrello e se piove non hai nulla con cui proteggerti. Nonostante il cielo cupo non prometta nulla di buono, infatti, nessuno dei marciatori ha un ombrello o un impermeabile per affrontare l’emergenza.
Eppure la marcia prende il via. Gioiosa, chiassosa, orgogliosa. C’è molta stampa. Questo è un anno elettorale e i promotori della Marcia, Mike Ochineg di Africa Peace Point e padre Kizito Sesana della Comunità di Koinonia, sono riusciti ad ottenere la partecipazione dei leader dei tre principali partiti in competizione, il partito di governo e due dell’opposizione. E’ un fatto di grande rilievo perché più si avvicinano le elezioni e più cresce il rischio della violenza. Nei giorni scorsi una donna è stata violentemente aggredita per il sol fatto di essersi candidata. Per questo alla testa della marcia della pace viene disteso un grande striscione che chiede “elezioni libere dalla violenza”. Sarà questo il filo conduttore di tutti gli interventi che aprono e chiudono la Marcia. Discorsi appassionati che invitano a rinunciare alla violenza, ad apprezzare, custodire e valorizzare le diversità, a promuovere un po’ più di giustizia e di diritti per tutti. La pace si misura con la politica in Kenya come in Italia.
Il ritmo della Marcia è lo stesso che segna il passo quotidiano degli africani che devono farsi in quattro per guadagnarsi qualche misero scellino al giorno. La distanza che separa la miseria di Kibera dal ricco cuore di Nairobi non è lunga, poco più di cinque-sette chilometri e il corteo la percorre velocemente. Via via si ingrossa. Alla fine saranno millecinquecento, forse duemila. Arrivano altri bambini, altri ragazzi di strada, alcuni già finiti dai fumi della colla e delle benzine di scarico provenienti dall’aeroporto. Altra gente arriva non si sa da quale altro angolo della città con i propri cartelli e la propria voglia di vivere. La Marcia della pace di Nairobi è innanzitutto una marcia per la vita. Kizito è contento perché la polizia ha finalmente dato l’autorizzazione a marciare fino al parco della Libertà che sta nel centro. In passato l’aveva sempre rifiutato perché temeva fosse violenta e forse perché è meglio che i disperati di Kibera restino nel loro inferno invece di mescolarsi con i ricchi del centro. Il Forum Sociale Mondiale che si è tenuto proprio a Nairobi all’inizio dell’anno ha invece dimostrato che si può organizzare anche una grande manifestazione in centro senza che ci sia alcun episodio di violenza.
Ieri mattina, però, nel centro di Nairobi di ricchi se ne sono visti ben pochi, un po’ perchè il tempo era pessimo, un po’ perché era sabato e gli uffici riaprono lunedì. Così il parco della libertà è stato occupato dai poveri delle baraccopoli che hanno concluso la manifestazione con una bellissima festa piena di canti, suoni, balli, acrobati e mangiafuoco. Padre Kizito ricorda ai partecipanti che l’idea di questa marcia gli è venuta proprio partecipando alla Perugia-Assisi del 1999. E che questa ottava edizione segna il simbolico avvio della prossima Perugia-Assisi. Io sono lì a testimoniarlo con la mia presenza. Una ventina di ragazzi e ragazze di Korogocho e Kibera saranno con noi il 7 ottobre a continuare quella marcia in Italia. Sulle magliette distribuite ai partecipanti c’è stampato lo stesso slogan della Perugia-Assisi “all human rights for all” (Tutti i diritti umani per tutti). Qui questo slogan ha il sapore concreto di una sfida a tutti coloro che, direttamente e indirettamente, con la propria indifferenza, continuano ad alimentare l’ingiustizia. Un’utopia forse, ma invocata a gran voce da centinaia di milioni di donne, uomini di ogni età privati persino della dignità. E’ bene che la Perugia-Assisi cominci a Nairobi, la città dove s’infrange ogni retorica della pace. Ci servirà a riflettere sul significato autentico di questa parola tanto invocata. Ci servirà a riflettere sulle nostre colpe storiche e sulle nostre responsabilità presenti. Ci servirà a ricordare che non ci può essere pace nel mondo fino a quando continueremo a tollerare queste ingiustizie. “C’è la pace dei governi, ha concluso padre Kizito, basata sul potere. C’è la pace dei militari basata sulle armi. E poi c’è la pace della gente basata sul rispetto dei diritti fondamentali delle persone”. Questa è la pace che noi possiamo e dobbiamo costruire rimboccandoci le maniche e ritornando a marciare tutte le volte che sarà utile e necessario.
Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace
Perugia, 16 settembre 2007