L’Iran sceglie il presidente. Il mondo aspetta e spera
Sara Volandri
Da stamane urne aperte per quarantasei milioni di elettori chiamati a scegliere chi sarà il loro presidente per i prossimi quattro anni. Quasi 50 milioni alle urne: Minacce dei Pasdaran agli studenti: “Stroncheremo ogni tentativo di rivolta”.
Dopo gli ultimi roboanti comizi di venerdì scorso, dopo gli ultimi fuochi della campagna elettorale più rovente e ricca di veleni degli ultimi anni, ieri l’Iran ha osservato la consueta giornata di silenzio. Da stamane urne aperte per quarantasei milioni di elettori chiamati a scegliere chi sarà il loro presidente per i prossimi quattro anni. Un passaggio politico decisivo per i rapporti politici interni alla Repubblica sciita, ma soprattutto per gli equilibri diplomatici internazionali, con il mondo intero che ha gli occhi puntati sul voto di Teheran.
In lizza ci sono quattro candidati (le altre 470 candidature, tra cui 42 donne, inizialmente presentate sono state bocciate dal Consiglio dei guardiani n.d.r.) ma la sfida finale sarà senza dubbio una partita a due tra l’attuale Capo di Stato Mahmoud Ahmadinejad e il riformista Mir Hossein Moussavi. Gli altri due sfidanti sono Mehdi Karrubi, ex presidente del Parlamento, e l’ex comandante dei Pasdaran Mohsen Rezai. Di sensibilità più riformista il primo, più vicino ai conservatori il secondo; in ogni caso si tratta di due personaggi che esercitano uno scarso appeal tra la popolazione e nessuna chance di vittoria. La domanda è in tal senso molto semplice: riuscirà l’ultraconservatore Ahmadinejad a conservare la sua discussa presidenza oppure sarà costretto a cedere il passo al “resuscitato” Moussavi (che già fu premier negli anni 80) aprendo così la via a una nuova fase politica nel Paese? Gli ultimi sondaggi (che però vanno presi con le molle) indicano un probabile ballottaggio tra i due candidati, con una significativa rimonta di Moussavi sul presidente in carica. Pure conducendo una campagna elettorale molto energica e di grande presenza fisica, sulle corde di quel populismo virulento che lo ha reso celebre nel mondo, Ahmadinejad presenta infatti agli iraniani un bilancio presidenziale più che deludente. I toni bellicosi impiegati verso l’Occidente sono buoni ad aizzare gli animi degli ambienti più conservatori della sua base ma non riempiono la pancia della gente. La tanto sbandierata ripresa economica non c’è stata, anzi, la crisi finanziaria globale ha aggravato le condizioni di vita della popolazione, con l’aumento della povertà e un tasso d’inflazione schizzato oltre il 25% e una disoccupazione che pare inarrestabile. In assenza di una politica economica generale, a ben poco sono serviti gli sporadici “bonus” governativi per le classi più disagiate e le fondazioni di mutualismo religioso.
Anche in politica estera il bilancio appare assai deficitario. In teoria il presidente doveva difendere il semplice diritto del suo popolo a usufruire di energia nucleare a scopo civile e aveva tutti gli strumenti diplomatici per farlo. Nei fatti ha solo indebolito la sua causa, alimentando il sospetto che la Repubblica sciita voglia in realtà dotarsi di un arsenale atomico. Le sparate a ruota libera contro le Nazioni Unite, le grottesche provocazioni sul “mito” dell’Olocausto, le minacce di ritorsioni militari contro i “nemici” dell’Iran (Israele in primis) hanno isolato il paese dal resto del mondo, anche dai suoi storici alleati. Negli stessi ambienti conservatori è cresciuta la diffidenza nei confronti di un presidente che sembra a suo agio solo nel pathos della propaganda, ma che si perde ogniqualvolta le sue parole devono trasformarsi in proposta politica concreta.
In tal senso Moussavi può contare sulla stanchezza degli iraniani nei confronti di Ahmadinejad, in particolare tra i blocchi sociali più conservatori, ossia le classi popolari delle periferie urbane e i piccoli contadini delle aree rurali che stavolta potrebbero in parte far mancare il voto al presidente.
E naturalmente sulla forza demografica di decine di milioni di giovani ostili a un regime dominato da un clero sciita avulso dalla realtà che, per il timore di essere debordato dalla vitalità delle nuove generazioni, stringe la vite dei diritti civili.
Inquietante da questo punto di vista il messaggio Yadollah Javani, responsabile politico dei pasdaran, al riformista Moussavi: “Stroncheremo sul nascere ogni tentativo di provocare in Iran una rivoluzione di velluto o colorata”.
Fonte: Liberazione
12 giugno 2009