“L’intervento in Siria destabilizzerebbe l’Europa”
Gianni Rossi - www.articolo21.org
Intervista al generale Fabio Mini a cura di Gianni Rossi su Articolo21.
E’ uno dei massimi esperti di strategia geopolitica, è stato capo di Stato maggiore del Comando NATO per il Sud Europa e dal gennaio2001 ha guidato il Comando Interforze delle Operazioni nei Balcani. Dall’ottobre 2002 all’ottobre 2003 è stato anche il capo delle operazioni di pace perla NATO in Kosovo nell’ambito della missione KFOR. Oggi, l’ex-generale di corpo d’armata Fabio Mini (nella foto) è anche saggista e autore di libri sulle crisi politico-militari nel Mediterraneo, scrive tra l’altro su Limes e Repubblica, ed è schierato sul fronte del movimento pacifista. A lui abbiamo rivolto alcune domande sui “venti di guerra” in Siria.
Per quale “impellente necessità umanitaria” gli occidentali dovrebbero fare una guerra di “liberazione” in Siria?
“Non c’è nessuna impellenza, soprattutto guardando agli ultimi due anni, quando la comunità internazionale se l’è presa molto comoda di fronte alla catastrofe umanitaria che nel frattempo stava avvenendo. E adesso è ancora meno imminente, proprio perché ci sono molti dubbi che la questione delle armi chimiche sia un pretesto. Nel dubbio, bisognerebbe almeno che gli ispettori dell’Onu emettessero un proprio giudizio. Anche se gli ispettori dell’Onu, soprattutto quando hanno precedenti di collaborazione con le grandi potenze, non sono indenni da influenze esterne. Può essere utile ricordare l’esempio degli esperti inviati in Iraq per la questione delle armi chimiche, quando sostennero la tesi degli Usa e il solo esperto americano che si azzardò a esternare dei dubbi fu trattato come un traditore e visionario”.
A questo proposito, le dichiarazione del compagno di sventura dell’inviato de La Stampa, Domenico Quirico, lo storico belga Pierre Piccinin, sul fatto che abbiano sentito i ribelli di aver loro usato il Sarin, non le sembra convalidare questi dubbi?
“Sì! Questo non solo convalida i dubbi, ma in termini giuridici le testimonianze dirette sono vere prove che si possono portare in un tribunale, mentre le cosiddette analisi di Intelligence o le loro informazioni non sono mai sostenute in tribunale, proprio perché i Servizi dovrebbero svelare le fonti e rivelare i metodi con i quali hanno ottenuto tali informazioni. Una cosa che i servizi segreti, in quanto tali, non fanno quasi mai. Quindi, se Quirico e Piccinin hanno una testimonianza di prima mano, e se potessero confermarla in sede giudiziaria, sarebbe una svolta determinante in tutta la campagna diplomatica e mediatica avviata dagli Usa, per reclutare alleati sulla scorta delle loro informazioni”.
Rispetto ad interventi passati degli alleati come in Kosovo, dove lei ha svolto un ruolo di primo piano, e nelle guerre contro l’Iraq, questa volta si è levato un forte appello del Papa Francesco come “organizzatore” del movimento pacifista e non, invece, da parte di gruppi o ambienti politici. Come mai?
“C’è da dire che i tempi sono cambiati, i papi cambiano e le esperienze passate qualche cosa insegnano non a tutti, ma a quelli che hanno in mente la pace di sicuro. Gli errori e i drammi provocati in Kosovo, in Iraq e in Afghanistan hanno segnato fortemente tutta l’opinione pubblica. E quella americana in particolare è stremata dalle guerre. C’è poi un fattore fondamentale ed è quello della perdita quasi totale di credibilità da parte degli Stati Uniti; gli stessi alleati nell’ambito della NATO e i paesi amici ormai non prendono per oro colato tutto quello che l’Intelligence e la diplomazia americana dicono di in tutto il mondo. Il generale Colin Powell, quando era Segretario di Stato, fu costretto a mettere in piedi una sceneggiata a livello globale. Ed era in buona fede, almeno a sentire le sue memorie. Il tempo di Colin Powell è passato e, nel frattempo, si sono rivelati anche grossi macigni sulla credibilità americana, con gli interventi di Wikileaks e del transfuga Snowden. Ormai, penso che nemmeno Obama creda più alla propria Intelligence”.
Quali sarebbero i pericoli per l’Europa nell’eventualità di un intervento armato in Siria? E non crede che questo sia un modo strumentale degli USA per contrastare l’autonomia e la ripresa economica del nostro continente?
“Fra i rischi c’è anche quello che l’intervento in Siria faccia svanire i piccoli progressi fatti dall’Europa per uscire dalla recessione e dalla crisi. Ci troviamo in una situazione molto fragile dal punto di vista economico e politico in Europa e un coinvolgimento anche indiretto in un’azione, che già si preannuncia inefficace, ma soprattutto estremamente pericolosa per tutto il Medio Oriente, spaventa i mercati e spaventa la gente, proprio nel momento in cui l’unica risorsa per risollevare le nostre sorti sarebbe la fiducia.”
C’è poi da domandarsi: a chi andiamo a portare il nostro “aiuto”?
“L’ho scritto anche nel mio libro “Mediterraneo in guerra” (Einaudi edizioni, n.d.r.). La situazione in Siria è talmente degradata che ormai siamo al paradosso che l’unica parvenza di democrazia sia con Assad al governo. In realtà, la sua uscita sarebbe la vera svolta democratica, ma in questi due anni di guerra la comunità internazionale ha perduto una visione razionale del problema e i ribelli nella grande maggioranza hanno sviluppato una visione prettamente confessionale ed estremista. Per questo, penso che l’uscita dalla crisi in Siria sia possibile solo garantendo al popolo siriano e ai milioni di rifugiati una speranza di ritorno a casa con l’appoggio della comunità internazionale, veramente orientata ai loro bisogni, piuttosto che agli interessi e alle manovre politiche”.
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