Liberazione e immigrazione, la sfida della cittadinanza
Piergiorgio Cattani - unimondo.org
Il presente non ci parla più di nemici esterni e di dittature, ma ci rimanda a un mondo interdipendente dove i fronti cadono e nello stesso tempo si moltiplicano: liberazione fa rima con immigrazione.
Non ha portato bene a Gianfranco Fini aver posto, alcuni anni fa, il problema della cittadinanza italiana degli immigrati e in particolare dei figli di stranieri nati qui. Forse il contitolare della famigerata legge Bossi-Fini non era la persona adatta per compiere una sterzata meritevole ma non capita dalla tradizione politica di appartenenza: la destra italiana, strattonata tra il peronismo berlusconiano, le nostalgie fasciste e i razzismi “padani”, non è mai stata liberale; quindi necessariamente poco incline a certe conquiste di civiltà. Se però non abbiamo una legge adeguata e moderna sulla cittadinanza è colpa anche della sinistra che, nei pochi periodi di governo, è stata vinta non tanto dagli avversari quanto dai tatticismi interni e dalla assoluta mancanza di idealità, nonostante i reiterati sfoggi di perbenismo. Poi sono arrivati i governi tecnici e ora le probabili ammucchiate che, con tutta probabilità, non permetteranno di cambiare di un millimetro la situazione presente. Eppure la questione cittadinanza è decisiva.
Oggi festeggiamo la Liberazione. Moltissimi sono gli eventi per ricordare le lotte partigiane, il sacrificio di molti per la nostra libertà. Affinché il concetto di liberazione non sia qualcosa di metafisico, nostalgico o retorico, dobbiamo declinarlo al presente, nel mondo contemporaneo. Il presente non ci parla più di nemici esterni che occupano con le armi il paese e neppure di dittature feroci da rovesciare, bensì ci rimanda a un mondo interdipendente in cui i fronti di divisione cadono ma nello stesso tempo si moltiplicano. Liberazione fa rima con immigrazione.
Riporta l’attenzione sul tema un articolo di Cinformi, il Centro informativo sull’immigrazione della Provincia Autonoma di Trento: “il Presidente della Repubblica ha concentrato la propria attenzione, riguardo all’immigrazione, sulle secondi generazioni. Nel novembre 2011, incontrando i nuovi cittadini italiani al Quirinale nell’ambito del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, Napolitano aveva detto: «Sono convinto che i bambini e i ragazzi venuti con l’immigrazione facciano parte integrante dell’Italia di oggi e di domani, e rappresentino una grande fonte di speranza. Si tratta di una presenza che concorre ad alimentare quell’energia vitale di cui oggi l’Italia ha estremo bisogno. All’interno dei vari progetti di riforma delle norme sulla cittadinanza, la principale questione aperta rimane oggi quella dei bambini e dei ragazzi. Molti di loro non possono considerarsi formalmente nostri concittadini perché la normativa italiana non lo consente, ma lo sono nella vita quotidiana, nei sentimenti, nella percezione della propria identit໓. Dopo queste parole ha ripreso vigore la campagna “L’Italia sono anch’io” che mira appunto a sensibilizzare l’opinione pubblica su questo problema. Il Comitato ha scritto qualche giorno fa al nuovo presidente del Senato Pietro Grasso che a sua volta, poco dopo la sua elezione, ha affermato: “Già in campagna elettorale mi sono fatto portavoce dei diritti di cittadinanza dei minori stranieri. Di tutti quei bambini che – per lingua, istruzione e tradizioni acquisite – si sentono in tutto e per tutto italiani. Quindi difenderò in maniera concreta e fattiva l’acquisizione di questo diritto”.
Le cariche istituzionali parlano all’unisono, ma infine non si arriva mai a nulla. Purtroppo neanche la presenza ai vertici di una persona attenta ai temi dell’immigrazione come Laura Boldrini è garanzia sufficiente per sperare in un cambiamento. Ancora una volta saranno probabilmente le realtà locali a dover affrontare da sole la situazione: a fronte di sindaci leghisti che emanano ordinanze anti immigrati, moltissimi altri enti riescono almeno a dare segnali innovativi.
A Torino, nel dicembre scorso, il Consiglio comunale ha istituito la cosiddetta “cittadinanza civica” per i figli di immigrati, una sorta di cittadinanza onoraria dall’alto valore simbolico ma purtroppo senza risvolti pratici. Altri piccoli comuni, da Mandello a Besnate, hanno tuttavia seguito l’esempio del capoluogo piemontese. In futuro sarà la gestione concreta del problema a portare alle necessarie soluzioni. Regioni, provincie e comuni dovranno lavorare in questa direzione, approntando servizi adeguati e aperti ai “nuovi italiani”, come appunto il servizio Cinformi. Alla fine si arriverà a un cambiamento di mentalità, perché la storia lo impone. Speriamo di arrivarci con non troppo ritardo.
Fonte: www.unimondo.org
25 aprile 2013