Libano, tornano antiche paure
Maurizio Musolino - nena-news.globalist.it
Il timore tra la gente che il paese possa precipitare in una nuova guerra civile e’ frutto della caotica situazione politica interna e dagli schieramenti anti o pro Siria.
Il luogo dove sorgeva "l'Old" cinema di Beirut è oramai meta di pellegrinaggio, come tanti dei luoghi che ricordano le ferite ancora aperte del Paese dei cedri. A pochi metri è sorto infatti alcuni anni fa un enorme mausoleo dedicato ad Hariri e alla sua scorta e sempre nella stessa piazza dei Martiri si sono rincorse in tempi diversi oceaniche manifestazioni del popolo degli Hezbollah e raduni non meno numerosi di quanti vedevano nell'Occidente il salvatore da evocare. L'Old cinema, distrutto durante i giorni terribili della guerra civile, è rimasto sempre lì, immobile, a ricordare ai libanesi i drammi della piaga dello stato confessionale, polpetta avvelenata lasciata dopo la sua dissoluzione dal colonialismo francese.
Davanti a questo rudere passa ogni mattina Hamzie, giovane studente libanese che lavora a fianco delle ong palestinesi a Shatila, per andare all'università americana in fondo alla commerciale via Hamra. Quando quattro anni fa gli chiesi del cinema, Hamzie rimase sorpreso, l'espressione del suo viso voleva dirmi che non apparteneva ai suoi giorni e che non ne conosceva la storia, ma sapeva che non era così e che quei tempi potevano tornare quando meno te lo aspetti.
L'altro giorno ho sentito Hamzie al telefono per sapere come andavano le cose e l'ho trovato preoccupatissimo. Ha iniziato proprio ricordandomi quella discussione sul Old Cinema,
La crisi siriana rischia di investire l'intero Libano, facendo saltare i fragili equilibri attuali. In molti libanesi, insiste Hamzie, regna la disillusione,
L'esplodere del vulcano siriano, registratosi in questi giorni, rende giorno dopo giorno il Libano sempre più consapevole di essere la prossima tessera di un dòmino mondiale da tempo in azione. E così poco a poco le parti libanesi iniziano a schierarsi in modo sempre più deciso, prendendo posizione chi con il governo di Damasco, chi con gli oppositori. Ma anche in questo il Libano mostra una sua particolare vocazione alla "confusione": se dalla parte sciita è pressoché unanime l'appoggio a Bashar Al Assad, gli Hezbollah, stretti alleati dell'Iran con la caduta del governo siriano si vedrebbero precludere il corridoio con Teheran, non accade lo stesso fra i maroniti. La maggiore componente dell'universo cristiano libanese è divisa in tre. Da una parte quelli che fanno capo al generale Aoun – oggi al governo insieme al Partito di Dio – saldamente alleati del governo di Damasco, dall'altra le Falangi libanesi, schierate con gli insorti seppur con mille distinguo.
Due settimane fa Sami Gemayel, rampollo della famiglia maronita che da decenni influenza la politica libanese, dichiarava: è inconcepibile non capire che non può esistere un regime peggiore di quello di Bashar, anche se mille sono i dubbi che forze islamiche, a partire dai Fratelli Musulmani, possano costruire una democrazia e far aumentare i livelli di istruzione, benessere, sanità e occupazione. In mezzo molti esponenti del partito Kataeb desideroso di non rompere l'alleanze antisiriana con le Falangi e con i sunniti del partito Futuro di Hariri, ma anche preoccupati di quanto potrà accadere ai loro coreligiosi che vivono a Damasco con la caduta dell'attuale governo.
I sunniti invece si dividono in quanti come il partito Futuro, non perdono occasione di attaccare Bashar e di chiedere un intervento armato per abbatterlo, in quanti come le forze legate alla tradizione nasseriana e panaraba (particolarmente forti a Sidone) non nascondono simpatie verso il partito Baath, e infine in quanti – forse la maggioranza – resterebbero volentieri fuori dal conflitto. Proprio a questi ultimi parla il generale Jean Kahwayi, capo dell'esercito libanese, che in occasione della giornata che celebrava la nascita dell'esercito libanese dichiarava
. A questo proposito è bene ricordare come intorno al villaggio di Khirbet Daoud, alla periferia di Arsal, nella valle della Beqaa, da diverse settimane si registrano scontri fra oppositori di Assad e esercito siriano, scontri che hanno fatto registrare diversi morti libanesi, specie fra quanti erano impegnati in operazioni di contrabbando. Capofila invece degli interventisti anti Siria – almeno a parole – è il leader druso Walid Jumblatt.
Una miscela esplosiva, quindi, specie se si aggiunge al fatto che nel 2013 il Libano sarà impegnato in difficili – come sempre – elezioni legislative e che già da settimane si parla di possibili riforme elettorali con la conseguenza di un inasprirsi delle divisioni fra le forze politiche. Una sensazione che viene ben denunciata dal segretario del Pc libanese Khaled Hadadad, unica forza non confessionale del paese: il Libano è sempre più fragile, serve una reale riforma per farne uno stato vero, fin quando questo non accadrà saremo sempre sull'orlo del baratro, con vecchie ferite pronte a riaprirsi, e soprattutto con un disagio sociale che viene sempre messo in secondo piano.>
L'ombra della storia recente copre il cielo azzurrissimo del Paese dei cedri e fanno paura ai libanesi gli echi degli scontri che da mesi interessano Tripoli, dove da troppo tempo si succedono spari e morti. Una tensione altissima che ha caratterizzato la vita del capoluogo libanese, dove si confrontano nella zona nord della cittadina – precisamente nei quartieri di Bab al Tabbaneh e Jabel Mohsen – le comunità sunnite e alawite. Un confronto anche questa volta dalle molteplici chiavi: da una parte i riflessi della vicina Siria sono sicuramente centrali, dall'altra le due comunità sono da anni anche divise sulla politica interna, la prima sostiene Hariri mentre la seconda è da sempre vicina agli Hezbollah.
C'è poi anche chi afferma che la tensione a Tripoli sia creata ad arte per allentare il controllo dell'esercito dai confini con la Siria sulla direttrice verso Homs e Hama per lasciare campo libero all'Esercito Libero Siriano. La stessa direttrice che appena due mesi fa ha visto l'uccisione – proprio per opera dell'Armata libanese – di Ahmad Abdul Wahed, imam sunnita vicino ad Hariri e alle frange estreme di questa religione. Lo sceicco era stato ucciso perchè non si era fermato ad un posto di blocco mentre si recava ad Homs. Sulla sua auto furono trovate armi e materiale informatico. Ancora una volta polemiche e sospetti hanno seguito l'uccisione di un personaggio estremamente in vista. Il deputato di Tripoli Khodour Habib ha più volte chiesto in Parlamento: "L'area totale di Bab al Tabbaneh e Jabel Mohsen è di soli 5 chilometri quadri, come è possibile che 60mila soldati non riescono a riportarla alla calma?", chiaramente senza ricevere nessuna risposta.
Torna così inevitabilmente alla mente quella teoria del "caos costruttivo", somma di provocazioni e sedizioni finanziate e promosse da apparati di intelligence, centri studi e ong, che così bene ha funzionato in Ucraina, Serbia, e nelle cosiddette "primavere arabe". Il Libano da anni ne è palestra. Basta ricordarsi l'uccisione di Rafik Hariri nel 2005 e delle manifestazioni antisiriane, i fatti di Nahar al bared, il campo profughi palestinese distrutto nel 2007 dall'esercito libanese per stanare l'organizzazione sunnita Fatah al islaam, vicina agli ambienti qaedisti e finanziata da quella Banca Mediterranee tanto vicina alla famiglia Hariri. Oppure a quello che accadde l'anno dopo a Beirut, nel 2007, dove gli scontri armati fra seguaci di Hariri e Gea Gea da una parte e Hezbollah dall'altra hanno rischiato di riportare indietro le lancette dell'orologio ai giorni della guerra civile.
Ma a riscaldare l'estate libanese non sono solo le conseguenze che possono arrivare dalla Siria. Preoccupa sempre di più anche una crisi economica, che seppur arrivata in ritardo inizia a far sentire pesantemente il peso sulle spalle delle classi basse e medie. Sempre Hamzie mi racconta come non è raro vedere nelle strade di Beirut piccole manifestazioni che contestano la riduzione di stipendi e la chiusura di aziende. Uno scontro sociale che negli ultimi mesi ha messo in crisi anche quell'alleanza della "resistenza" – uscita fortissima dopo il conflitto contro Israele del 2006 – che oggi si divide sulle ricette economiche da adottare. In particolare Hezbollah sembra più incline, insieme al suo alleato Aoun, a seguire vecchie ricette non dissimili da quelle che ben conosciamo in Europa, mentre le forze di ispirazione nasseriana e il Pc libanese contestano ciò chiedendo una svolta capace di far pagare i costi alle classi più ricche e agiate.
Un rimescolamento che rischia di avere pesanti conseguenze nelle elezioni politiche del prossimo anno, sempre che non si realizzi quello che iniziano a paventare in molti: ovvero che Israele approfitti dell'instabilità della regione e delle divergenze interni libanesi per regolare i conti lasciati in sospeso nel 2006 con Hezbollah, magari con l'accusa di un coinvolgimento nell'attentato contro cittadini israeliani in Bulgaria
Fonte: http://nena-news.globalist.it/
11 Agosto 2012