Libano, le bombe inaspriscono la crisi politica
Giorgia Grifoni - nena-news.globalist.it
Dopo l’attentato contro Hezbollah, il presidente Suleiman blocca la formazione di un governo tecnico e “neutrale”. Israele: il Partito di Dio sposta i missili dalla Siria.
I numeri li ha diffusi ieri il ministero della Salute: quattro morti e 77 feriti, di cui dieci in gravi condizioni, per l’autobomba che ha squarciato ieri pomeriggio Haret Hreik, in quella grande roccaforte Hezbollah che è la periferia Sud di Beirut. Nella città di Tripoli, invece, un uomo è morto negli scontri scoppiati nei quartieri rivali di Jabal Mohsen e Bab al-Tabbaneh un’ora dopo l’esplosione avvenuta a Beirut.
Il bilancio dell’ultimo attentato nel Paese dei Cedri, il quarto in meno di tre mesi, non è solo umano, ma soprattutto politico: “Il Libano – ha dichiarato il segretario generale del Partito di Dio Naim Qassem al network di Hezbollah al-Manar – è sulla strada della distruzione, se non si raggiunge subito un accordo tra le parti politiche”. La risposta all’attentato, secondo Qassem, è un “governo di unità nazionale”: un dialogo che, a detta del ministro dell’Interno ad interim Marwan Charbel, è “l’unica soluzione in grado di proteggere la stabilità interna ed evitare altri attentati”.
L’attentato di ieri a Beirut, il terzo contro Hezbollah, si inserisce così nell’epopea della formazione del governo libanese e ne rimescola le carte. A nove mesi di distanza dalla designazione di Tammam Salam come capo del governo, la formazione del gabinetto è ancora in stallo: l’esecutivo precedentemente guidato da Najib Miqati, di fatto “a trazione Hezbollah”, aveva mantenuto una facciata di neutralità nel conflitto siriano pur appoggiando indirettamente il regime di Bashar al-Assad.
Il nuovo esecutivo, se e quando sarà formato, si propone invece di tenersi alla larga dai conflitti regionali, soprattutto da quello siriano: lo scotto da pagare per Hezbollah è di ritirarsi completamente dalla guerra a Est. Meglio ancora, per la coalizione del 14 marzo sostenuta da Riyadh, sarebbe escludere Hezbollah dal governo con un governo “neutrale”.
Da giorni, fonti vicine al presidente Suleiman davano il capo dello Stato pronto a dare la sua benedizione a un governo “neutrale”: un gabinetto tecnico di “fatto compiuto”, voluto dalla coalizione del 14 marzo – guidata dall’ex primo ministro Saad Hariri e composta dal blocco anti-siriano – e non rappresentativo dell’assemblea eletta. Già in passato il portavoce del parlamento e leader del partito Amal Nabih Berri aveva dichiarato la pericolosità di una tale mossa: il governo non otterrebbe mai la fiducia in Parlamento, facendo ripiombare il Paese dei Cedri nel caos del 2007, culminato negli scontri armati tra i due blocchi rivali nel maggio 2008. Ora, a quasi 24 ore dall’attacco, come scrive il quotidiano al-Joumhouriya “la formazione dell’esecutivo [tecnico] è diventata una questione del passato”.
Puntuale è arrivata all’una di notte la conferma sul quotidiano Daily Star: il presidente Suleiman, secondo una fonte a lui vicina, non ha alcuna intenzione di firmare ora il decreto per la formazione di un governo neutrale. Piuttosto, concederà più tempo alle parti per le consultazioni. Consultazioni che sono nell’impasse più totale, perché come Hezbollah e i suoi alleati si oppongono al gabinetto neutrale, così il Movimento Futuro e i partiti con esso coalizzati rifiutano la proposta dell’8 marzo: una formula a 9-9-6 ministri che rappresentino tutti i partiti politici, in cui entrambi i blocchi avrebbero potere di veto. Troppo pericoloso per chi, come la coalizione del 14 marzo, si oppone al cambiamento di una legge elettorale basata su censimenti e divisioni amministrative di un secolo fa, quando i cristiani maroniti erano ancora la setta preponderante in Libano e gli sciiti erano quasi dei reietti. Un cambiamento che Hezbollah considera una priorità.
Tra le dichiarazioni dei politici e la paura di un nuovo attacco, intanto Hezbollah starebbe spostando in Libano i missili a lungo raggio in suo possesso nascosti in alcune basi siriane: a riferirlo è stato ieri il New York Times, citando Ronen Bergman, analista della sicurezza israeliano in contatto con l’intelligence di Tel Aviv. Gli stessi missili che, secondo le giustificazioni date da Tel Aviv, l’aviazione israeliana aveva tentato di distruggere con numerosi raid in territorio siriano.
Fonte: Nena News
3 gennaio 2014